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16 Set, 2015

Partita cabina di regia contro violenza di genere

Ieri ho preso parte alla prima riunione della Cabina di regia per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere nata dalla legge regionale del marzo 2014.

E’ stata una riunione ricca e concreta, dove a prevalere è stata senza dubbio la voglia di collaborare per mettere mano a una delle questioni più odiose del nostro tempo.

Ci siamo dati (della cabina fanno parte donne e uomini, e poi l’intera giunta Zingaretti, in una logica di politiche globali al contrasto della violenza che è quella che ci suggerisce la Convenzione di Istanbul) un piano di lavoro serrato ma anche molto pragmatico: partiremo dalle linee guida per i servizi anti-violenza, proveremo a scrivere un bando europeo specifico, stiamo pensando a una grande giornata di formazione per tutti gli amministratori del Lazio.

Sappiamo che la strada è in salita, perché molto c’è da fare e perennemente scarse sono le risorse a disposizione.

Ma ieri abbiamo mosso un primo passo importante: il percorso della Cabina nasce con la forza e la passione di chi è capace e ha voglia di fare squadra, per migliorare questo nostro mondo.

14 Set, 2015

L’altra metà della foto

I detenuti ungheresi che con le loro divise grigie tutte uguali vengono de/portati a completare il muro di Orban. Costretti così ad espiare la loro pena – loro che sono ristretti e senza libertà – infliggendo la medesima pena a quegli altri uomini vestiti a casaccio che gli sfilano davanti. Attoniti nello sguardo gli uni e gli altri.

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Il poliziotto turco che non riesce neppure a guardarlo il faccino di Alan, e per questo gira la testa di lato, verso destra, fragile mentre lo porta in braccio. Lui che in rappresentanza di uno Stato intero deve pattugliare le spiagge del Mediterraneo e garantire sicurezza. E invece quel corpo fra quelle braccia in divisa sembra pesare quanto una montagna e non più una manciata di chili.

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Le famiglie tedesche, madri padri figli nonni tutti, che quasi hanno sorrisi più larghi degli stessi migranti mentre donano loro cibo, vestiti, giocattoli, o anche soltanto un passaggio in macchina che li porti un po’ più in là lungo il chilometraggio della loro esistenza.

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Ecco. Nel mezzo di questo esodo di vite che sta facendo la storia, sono sempre più convinta che è guardando l’altra metà della foto che possiamo davvero renderci conto del fatto che il dramma dei rifugiati non sta soltanto parlando a noi.

Parla di noi.

11 Set, 2015

La Resistenza oggi marcia a piedi scalzi

E’ in questi giorni di settembre che, settantadue anni fa, comincia la guerra di Liberazione. Con la firma dell’armistizio, la gente è confusa, stordita ma intanto, impetuosa, cresce la rivolta di popolo contro l’esercito nazista. Nei ricordi ancora vivi (a saperli cercare) di quei giorni, si affacciano storie straordinarie ma in apparenza poco rilevanti, quelle del fornaio, del contadino, della suora coraggiosa. Sono le storie delle persone comuni, quelle che cambiano il mondo davvero, in profondità. C’è una relazione impressionante, a quella scala “minore”, a quelle grandi profondità delle viscere di una società, con le storie e le immagini dei migranti e dei rifugiati che oggi fuggono dalla fame e dalla guerra. Sono persone alla ricerca, spesso disperata, di un’esistenza da vivere con libertà e dignità. Oggi come settantadue anni fa. Per molti, essenziali aspetti, la Resistenza non è finita, la lotta per la Liberazione neppure, si è semplicemente arricchita di nuove lingue e nuovi colori. Un tempo aveva le scarpe rotte, oggi se le è tolte e marcia scalza.

 

Veniamo da giornate in cui in centinaia di piazze e strade d’Italia si è celebrato il settantaduesimo anniversario dalla firma dell’armistizio. E l’inizio della guerra di Liberazione.

Mi è capitato, come rappresentante istituzionale, o semplicemente da militante antifascista, di frequentare alcune di queste piazze, a Roma o in qualche cittadina della Provincia. E voglio raccontarvi cosa – tra l’altro – ho visto e sentito.

Storie innanzitutto di una rivolta di popolo, che accompagnò le ore immediatamente successive l’annuncio del generale Badoglio, la firma dell’8 settembre, radiodiffuso alle 19.45 della sera tanto nelle mense delle caserme quanto nei bar di paese. Storie poi di soldati e popolani che insieme, alla rinfusa, con pochissimi mezzi e tantissima fame si organizzano velocemente per reagire all’oppressore, l’esercito nazista aiutato dai fascisti che aderiscono alla RSI. Cominciano le prime battaglie, le azioni di guerriglia, i primi caduti della Resistenza.

Storie di comandi confusi, lo stordimento di chi si ritrova dalla sera alla mattina ad avere nemico chi prima era un alleato, e nemici ora diventati a loro volta gli alleati. Storie anche piccolissime: c’è il fornaio, il contadino, i bambini, quel ragazzo, i ferrovieri, l’impiegato della posta, la suora coraggiosa, il prete disobbediente, tantissime donne. Tutti uniti a combattere contro l’invasore.

Bene, nelle piazze di questo ultimo 8 settembre mi è capitato di vedere le foto e sentire le storie di questi uomini e donne, accanto alle foto e alle storie dei rifugiati. Sì, le foto dei migranti che in queste settimane sono entrati nelle case degli italiani attraverso la televisione e hanno invaso le nostre coscienze. Alcuni ammassati in convogli piombati, tragiche e precise rievocazioni anche quelle.

Quel tessuto civile e democratico, nato dalla Resistenza e scritto nella nostra Costituzione, vive, deve vivere, oggi. Anche gli uomini e le donne che sbarcano ora sulle nostre coste o risalgono i binari ferroviari fin nel cuore dell’Europa ripudiano la guerra, scappano dall’oppressore. Ancora di più: hanno ingaggiato una battaglia enorme per la libertà e la dignità. Quella battaglia è anche la nostra, banalmente anche solo perché il mondo è uno solo, non esiste il “loro” mondo e il “nostro”.

Oggi più che mai, allora, la memoria degli anni che furono deve essere viva, presente, utile ai giorni che affrontiamo e non solo a guardarci alle spalle. Radici che devono finalmente poter far nascere un albero migliore, più giusto, con frutti forti che abbiano un sapore buono per i molti e non solo per i pochi.

La Resistenza non è finita, la lotta per la Liberazione neppure, si è semplicemente arricchita di nuove lingue e nuovi colori. Sta a tutte e a tutti noi declinarla in questi tempi, che sono fragili e incattiviti, ma hanno molte luci che resistono. In mezzo alle ombre.

Buona marcia scalza.

Comune-info

20 Lug, 2015

San Lorenzo, la memoria è un giardino

Il 19 luglio ho partecipato alla commemorazione del bombardamento di San Lorenzo (qui le foto). Questo è il testo del mio intervento.

La memoria non è un museo.

La memoria è un giardino che va curato, coltivato, innaffiato tutti i giorni.

San Lorenzo da 72 anni è questo per Roma: il giardino della memoria.

Lo è perché porta addosso quella ferita, verticale, visibile, che si guarda in faccia: la memoria di quelle 3000 bombe e di quei 3000 morti.

Lo è perché in tuttti questi anni ha saputo trasformare quella ferita in una forza: in una comunità solida, dal tessuto ricco, una fabbrica di iniziative che certo vedono nel 19 luglio il loro apice, ma che vivono tutto l’anno, in queste strade, grazie all’attività delle tantissime associazioni, delle realtà culturali e sociali che tutti i giorni costruiscono democrazia e antifascismo.

San Lorenzo ha memoria anche di quello che è stata prima di quel 19 luglio del 1943: un quartiere di immigrati, poi sfollati. Rifugiati.

Sono ore dolorose queste per Roma. Quello che è successo a Casale San Nicola ci ha aperto gli occhi sul nostro peggior presente, sulla peggiore Europa: le botte, la violenza, quei saluti romani che tornano, contro chi scappa oggi da altre guerre, altri bombardamenti. Dalla fame.

Però – ecco – qui vicino, ci sono strade che nelle settimane scorse ci hanno parlato anche di altro: delle code di macchine in fila per portare solidarietà concreta a quegli eritrei che si erano visti chiudere in faccia le frontiere.

A Roma esistono gli uni ed esistono – soprattutto – gli altri: sta a noi – a tutto noi – far vincere gli uni sugli altri. Bloccare la violenza con la forza della solidarietà, della buona accoglienza. Che poi diventi convivenza. Come è accaduto tanti anni fa qui a San Lorenzo. Si è diventati, e si è, cittadini e cittadine insieme.

So che da anni a San Lorenzo si coltiva il sogno di una casa della memoria, che c’è un progetto partecipato che ruota intorno alla programmazione europea. Negli anni passati si preferì usare risorse per costruire un mausoleo al gerarca Graziani. Noi abbiamo chiuso il rubinetto a quell’offesa.

Ora sono qui per dire che se vorrete sono a disposizione per affiancarvi nella costruzione di quel progetto. Di una casa della memoria che non è per San Lorenzo ma per tutta Roma. Non per quello che è stato, ma per la civiltà e la società che vorremmo costruire.

Per il futuro.