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22 Set, 2017

Noi ci proviamo a costruire ponti…

Non è facile costruire ponti, nel tempo che stiamo attraversando.
Vincono la rabbia, le divisioni, il rancore.

Noi stiamo provando a fare qualcosa di diverso: nel Lazio, con la coalizione guidata da Nicola Zingaretti. E nel Paese, dentro al progetto di Giuliano Pisapia.

Lunedì Zingaretti e Pisapia saranno insieme sullo stesso palco alla festa dell’Unita’ di Roma, alle 20.30.

Un’occasione di confronto preziosa, comunque la si pensi. Per chi ha ancora voglia di cucire…

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22 Set, 2017

La PL contro l’omotransfobia nasce dall’esigenza di rilanciare politiche sociali e dall’impulso del Mieli

Gaynews.it

Non ce la farà, con tutta probabilità (anche se forse sarebbe meglio dire certezza) a concludere positivamente il suo iter la legge nazionale contro l’omotransfobia. Altre priorità, altre urgenze che si è dato a quanto pare questo Governo. La non volontà concreta di riconoscere il bisogno di tutelare diritti negati e persone. In questo scenario, lo scorso giugno, alla Regione Lazio è stata presentata una proposta di legge regionale – quindi con altri ambiti di competenza e di intervento – contro contro atti discriminatori, vessazioni, se non proprio violenze psicologiche e fisiche contro le persone Lgbti.

Tra i depositari di questa proposta di legge c’è anche la consigliera regionale Marta Bonafoni alla quale abbiamo chiesto di fare un po’ il punto della situazione.

Com’è nata questa proposta di legge regionale contro l’omotransfobia?

È nata da una doppia esigenza: da una parte produrre un testo quadro che potesse mettere insieme e rilanciare le politiche che già in questi anni abbiamo messo in campo con grande convinzione in Regione contro l’omotransfobia. Ad esempio la norma sui servizi sociali e approvata due anni fa, in cui tutti i servizi sono destinati a tutte le famiglie senza distinzione tra omogenitoriale o eterosessuale. C’è poi il più grande progetto contro l’omofobia nelle scuole messo in campo già dal primo anno dell’amministrazione Zingaretti o della legge contro il bullismo che richiama esplicitamente l’articolo 21 della Carta europea dei diritti dell’uomo e quindi le discriminazioni per orientamento sessuale o in ultimo i patrocini che non sono mai mancati al Pride come al Gay Village fino a quest’anno con l’inserimento di Roma e del Lazio nel pacchetto turistico nazionale e internazionale come città gay-friendly. L’esigenza è stata dunque quella di fare sistema di queste politiche. Per implementarle ha dato vita a questa proposta di legge quadro.

L’altro impulso ci è stato dato dalla grande spinta del circolo Mario Mieli e delle associazioni in considerazione della spinta culturale che può rappresentare una regione grande come il Lazio. Il tutto per sbloccare una legge nazionale contro l’omotransfobia, ancora in Parlamento e che purtroppo non muove i propri passi.

Quali sono i punti principali della proposta di legge?

La legge parla in egual modo di prevenzione e di contrasto e della presa in carico delle vittime dell’omotransfobia. Quando parliamo di prevenzione parliamo di scuola e formazione e pertanto una grande alleanza tra studenti – famiglie – docenti impegnati in corsi di formazione, progetti di sensibilizzazione, vere campagne contro la discriminazione, sugli stereotipi di genere e l’orientamento sessuale.

C’è poi il welfare e politiche del lavoro, il pari accesso, una modulistica che potrà sembrare banale sul come si viene nominati, ad esempio uomo – donna o cosa, si tace l’orientamento sessuale dal quale dipende anche il riconoscimento del proprio esistere e il diritto a essere ciò che si è. Centri di ascolto per le vittime, sulla falsariga di quello che la Regione sta facendo da anni contro la violenza sulle donne e poi per le politiche attive del lavoro garantire parità di accesso. La legge fa peraltro riferimento anche alla Regione e ai dipendenti regionali, guardando anche in casa propria.

Politiche attive che si concretizzano in una formazione adeguata sulla vigilanza rispetto alla possibilità e opportunità di poter fare carriera per le persone omosessuali, transessuali, di eguale retribuzione rispetto ai loro colleghi eterosessuali. C’è poi anche una parte dedicata alla responsabilità sociale delle imprese e un loro monitoraggio, su quelle laziali. Altrettanto importante è l’ambito socio-sanitario con servizi di integrazione letti e declinati in virtù della lotta all’omotransfobia. Infine il capitolo comunicazione e cultura.

Un articolo è dedicato al Corecom – organismo di controllo sulla comunicazione presente in Regione e prevista in tutte le Regioni – che può promuovere progetti e segnalare le emittenti che si distinguono per una buona informazione o, al contrario, per una cattiva informazione su questi tipo di temi. Quindi direi formazione, informazione sensibilizzazione e la prevenzione.

In cosa consisterebbe la modulistica per l’accesso al lavoro di cui parlava prima?

L’esempio cui ci siamo rifatti è quello di Facebook che al momento consente di segnarsi come “uomo”, “donna” o “altro”. Una questione su cui il Movimento “No Gender” – e che è un altro elemento di allarme che ci ha spinto a depositare questa proposta di legge – sta partendo con una iniziativa dal nome Il bus della libertà dove anche la modulistica sarà oggetto di interesse. Una campagna contro la libertà di orientamento sessuale e di scelta e che individua in questo aspetto dei problemi dal loro punto di vista. Questa estate si sono verificati diversi casi di strutture turistiche che non hanno ricevuto coppie gay e qui si rientra nel campo del monitoraggio che magari consentiranno una premialità alle imprese cosiddette virtuose. Ad esempio la partecipazione o meno a un bando.

Secondo lei questa proposta di legge nel suo iter sarà oggetto di ostruzionismo da parte dell’opposizione?

C’è una certezza, non c’è un timore! Viviamo tempi di regresso, di paura del diverso e invece di impegnarci a valorizzare le differenze e renderle parte comune cisi chiude nelle certezze che vacillano. C’è stato, da questo punto di vista, un discorso di grande schiettezza con il movimento lgbti e reciproca. Si tratta di una legge depositata lo scorso giugno e per la quale si può dire che non vedrà la conclusione del proprio iter in questa legislatura che si concluderà nella prima metà del 2018. La scommessa su cui punteremo da autunno è l’apertura dei tavoli di partecipazione che a partire da questo testo di legge possano rendere la proposta più ricca e completa. Credo che dovrà essere tra i punti prioritari della prossima legislatura, tanto più che con certezza che il Governo non avrà legiferato. Altrettanto certamente troveremo ostacoli molto ideologici, poco informati e diretti da una ben organizzata ideologia “No Gender” che ha i suoi addentellati nelle istituzioni.

In parlamento giace, come detto, la legge nazionale contro l’omotransfobia. Se questa proposta di legge regionale venisse approvata potrebbe rappresentare uno stimolo per l’approvazione di quella nazionale?

Se approvata, noi ovviamente agiteremo la legge regionale. Un tentativo che vogliamo fare da subito, dialogando con il livello nazionale, in particolare con i tavoli di partecipazione di fare sia da pungolo per quella nazionale ma con una nostra legge messa in sicurezza, in quanto si chiedono solo deleghe regionali che evitano l’attesa di una legge nazionale senza la quale quella regionale non può essere operativa. L’approvazione significherebbe ridare forza a un intero movimento che continua a farsi sentire fuori ma che non trova una voce forte all’interno delle aule parlamentari.

Altre regioni vi hanno chiesto informazioni su questa proposta di legge per presentarne una propria?

Non in termini di consiglieri regionali, ma so che altri rappresentanti territoriali del movimento si sono incuriositi e vorranno fare la stessa operazione nelle loro regioni di appartenenza. D’altronde penso che anche questo sarà il valore aggiunto dei tavoli di cui parlavo prima, per aprirsi al confronto anche con altre regioni.

Perché, secondo lei, nel nostro Paese è così difficile approvare una norma che tutela le persone lgbti e punisce invece chi viola i diritti di queste persone soprattutto quando questo ostruzionismo proviene non da aree politiche di centro destra, bensì dalla sinistra stessa?

Questa è la domanda delle domande… Quando sono entrata in politica, non pensavo di incontrare un tale livello di barriera rispetto a certi temi. Da una parte c’è l’egoismo, il nichilismo, cifre del nostro tempo trasversali nel rapporto con tutti i diversi: migranti rifugiati, donne. La fragilità economica del nostro Paese è diventata anche culturale e di tenuta democratica e d’altra parte c’è una politica che ha smesso di avere un ruolo di progresso dell’intera società ponendosi di fatto dall’altra parte della barricata rispetto alla politica degli anni, quella dei diritti conquistati delle donne, del sistema sanitario, di un percorso in salita per i diritti. Oggi quella salita la fanno chi cerca di difendere quei diritti acquisiti e di affermarne di nuovi. Solo con un grande lavoro di rete fra i pezzi di società sia dentro sia fuori dalle istituzioni si potrà avere una chance. Personalmente in questo momento non sono ottimista, trovo che c’è una bella effervescenza ma che dall’altra parte non c’è quel livello di mobilitazione e dialogo con le istituzioni che riesca a fare andare a dama certe battaglie che possono rappresentare una vittoria per tutti, perché è bene ribadirlo non si tolgono diritti ma se ne aggiungono.

18 Apr, 2017

Braccia nere, contributi bianchi

Alessandro Tricarico, Il Manifesto

È passato poco più di un mese dallo sgombero del Ghetto di Rignano, anche se sembra che da queste parti non sia cambiato nulla: tutte le mattine decine di migranti sulle loro pesanti biciclette in ferro partono per andare al lavoro nei campi. Li incontriamo costeggiando gli immensi campi di grano che si inchinano al passare del vento, immagine simbolo dell’agricoltura di queste zone al pari dei suoi ulivi nodosi. Poco più avanti, quando lo sterrato lascia spazio all’asfalto, scorgiamo altri banchi di ciclisti, con telai in carbonio e tute dai colori cangianti. Ci rendiamo conto di aver appena attraversato un confine immaginario.

LA MARCIA Siamo diretti a Borgo Mezzanone, frazione del comune di Manfredonia. Oggi c’è la marcia No-Caporalato promossa da Leonardo Palmisano insieme ad un gruppo di scrittori e intellettuali. Il luogo dell’incontro è simbolico, in questa piccola frazione a vocazione agricola, oltre al Cara, esistono due ghetti divisi per provenienza: quello detto «dei bulgari» e la pista di decollo del vecchio aeroporto che ospita le baracche degli africani. In quest’ultimo la presenza di migranti provenienti dal Ghetto di Rignano è aumentata dopo lo sgombero. Come anche i furgoncini dei caporali e lo sfruttamento della prostituzione. Tra le tante sigle che hanno aderito a questa marcia troviamo Amnesty, Migrantes, Granoro e Lega Coop Puglia. Ci sono anche dei ragazzi di Libera arrivati da Torino. La richiesta principale è l’aumento di controlli da parte dell’ispettorato del lavoro, così da garantire un regolare contratto a chi realmente coltiva la terra.

STORIA DI MUSTAFA Mustafa trentenne somalo, ci racconta che nonostante sia stato assunto con un regolare contratto agricolo, gli sono state dichiarate all’Inps soltanto 5 giornate di lavoro a fronte di un mese di raccolta. Chiediamo a Mustafa come mai, lui alza le spalle in segno di resa: da queste parti funziona così. Complice anche la legge che permette alle aziende agricole di aggiornare trimestralmente il registro d’impresa. Decidendo, ad esempio, quante giornate attribuire a ciascun lavoratore solo a raccolta finita, con tutte le ingiustizie e i ricatti che ne conseguono. (Legge 28 novembre 1996, n. 608)

Infatti, secondo il segretario provinciale della Cgil Daniele Calamita «la compravendita delle giornate agricole è una pratica ancora presente. Tra le cause principali troviamo la disoccupazione dilagante che attanaglia la nostra provincia e un mancato sviluppo territoriale partecipato. Purtroppo viviamo in un clima di totale illegalità». Stando alle tabelle Inps sul lavoro agricolo, nel 2015 la percentuale di lavoratori italiani dichiarati nell’agro di Foggia aumenta con l’aumentare delle giornate lavorative, mentre il numero dei lavoratori africani diminuisce: gli italiani con meno di 10 giornate lavorative sono il 16,19%, percentuale che cresce al 66,33% quando le giornate dichiarate sono più di 51, limite minimo annuale per accedere ai sussidi. Mentre la percentuale di lavoratori stranieri passa dal 31,85% (10gg) al 5,17% (51gg).

FALSI BRACCIANTI Questi dati, però, sono facilmente confutabili passeggiando nelle campagne foggiane durante i periodi di messa a dimora delle piante stagionali o durante la raccolta. Il meccanismo è semplice e rodato: un imprenditore utilizza manodopera in nero – spesso stranieri sprovvisti di documenti – attraverso il caporale, vendendo a sua volta il requisito contributivo, al costo di 15-20 euro per giornata di lavoro, a suoi parenti o amici, oppure a estranei, questi ultimi tramite i consulenti del lavoro o dipendenti di associazioni di categoria. I finti braccianti si versano a loro volta i contributi necessari per poter ricevere l’assegno di disoccupazione, malattia, maternità e benefit familiari. Due mesi di finto lavoro seguiti da reali assegni di disoccupazione.

C’è persino chi ha creato finte aziende agricole con l’obiettivo di vendere giornate di lavoro. Tutti lo sanno e a tutti sta bene. Un dipendente di una delle principali associazioni di categoria, che preferisce restare anonimo, lo conferma: «Qui in ufficio ho la fila di persone che vorrebbero comprare le giornate di lavoro per le loro mogli o i loro figli», una pratica più che usuale, «pensa che delle circa 200 aziende che seguo, negli ultimi 2 anni solo tre hanno ricevuto dei controlli dall’ispettorato del lavoro e in nessuna di queste sono state rilevate anomalie».

Avere un ghetto dal quale attingere braccia a basso costo gioca a favore di questa logica perversa. A ciò va aggiunta la sudditanza psicologica e linguistica dei lavoratori africani, dovuta alla ghettizzazione e alla mancanza di reti relazionali al di fuori di esso. Una subordinazione molto preziosa per le aziende e i caporali che fanno affari alle loro spalle.

Radere al suolo i ghetti non serve a niente se al contempo non si riesce a capire che il fulcro del problema è all’interno dei meccanismi di assunzione. Nel 2014 Guglielmo Minervini lo aveva intuito. Con il progetto «Capo free-Ghetto out» mise a disposizione 800.000 euro da utilizzare come incentivo per le aziende che assumono lavoratori stranieri: 500 euro per ogni assunzione non inferiore a 156 giornate lavorative nel biennio oppure 300 euro per ogni assunzione sotto le 20 giornate. Gran parte di quei soldi (circa 700.000 euro), a distanza di 3 anni, sono ancora lì. Quasi nessuna impresa ha beneficiato dei fondi per paura di essere mappata e vedersi costretta, in futuro, a regolarizzare i migranti anche dopo l’esaurimento degli incentivi.

Nel frattempo, nelle due strutture messe a disposizione dalla regione, casa Sankara e masseria Arena, le giornate trascorrono lentamente e i ragazzi bivaccano in attesa che qualcuno decida di attingere alle liste di lavoro. Alcuni di loro si sono organizzati e hanno già chiamato il loro caporale, magari riducendosi lo scarno salario pattuito a causa del rischio e delle distanze che il caporale è obbligato a percorrere. Anche se per pochi soldi, meglio lavorare che vagare nel nulla. Difatti i furgoncini arrugginiti con targhe dell’Est Europa transitano tranquillamente davanti a questi centri, presidiati, nel migliore dei casi, da un paio di volontari della protezione civile.

I FALSI AMICI Anche se il ghetto fisicamente non c’è più, il sistema di accoglienza e smistamento lavorativo che si è generato al suo interno negli ultimi 15 anni ne esce indubbiamente rafforzato. Molti lavoratori migranti hanno trovato in queste baracche una società disposta ad accoglierli, a dar loro un lavoro. Spesso per i più giovani che non parlano italiano, il caporale e la maman nigeriana sono gli unici punti di riferimento. Soprattutto se in alternativa c’è la mancata accoglienza da parte di una Foggia sempre più intollerante e xenofoba, che crea così condizione di inferiorità sociale e di emarginazione.

STORIA DI KEITA Un esempio è il maliano Keita Haroun, arrivato in Italia nel 2011 e da allora residente del ghetto; in un ottimo inglese dice, con fierezza, di essere l’unico barbiere della baraccopoli. Scorre sul suo telefono le foto dei suoi clienti: teste rasate con motivi tribali disegnati in bassorilievo sul cuoio capelluto. Non parla né capisce una sola parola di italiano, questo perché in 6 anni non ha mai avuto necessità di spostarsi dal ghetto. Lì aveva un negozio che gli permetteva di vivere dignitosamente e, pagando una tangente, era sicuro che fosse l’unico a fornire quel tipo di servizio.

Lui, come tanti, in questo luogo ha trovato il proprio lavoro che nulla ha a che vedere con l’agricoltura, contribuendo alla creazione di una vera e propria borgata con tutti i tipi di servizi: dal meccanico al macellaio, dall’emporio al bar. Tutto questo in una zona franca con le mille sfumature di illegalità che ne conseguono.

14 Apr, 2017

Naufragio con cento morti a largo della Libia

Rachele Gonnelli, IL Manifesto

Sono annegati in 97 a sole sei miglia dalla costa ovest di Tripoli, tutti migranti arrivati in Libia dall’Africa subsahariana. Erano a bordo di un grosso gommone bianco stracarico ed evidentemente danneggiato già in partenza: il portavoce della guardia costiera di Tripoli, Ayoub Qassem, ha detto all’agenzia Reuters che la base dell’imbarcazione non ha retto, si è sfasciata, portando a fondo la maggior parte delle persone a bordo, tra cui quindici tra donne e bambini.

La guardia costiera libica è riuscita a recuperare solo ventitrè naufraghi, quelli in grado di nuotare. I migranti salvati sono stati portati nella caserma della guardia costiera a Qarqaresh, alla periferia della capitale, dove – sempre secondo le dichiarazioni di Ayoub Qassem – sono stati rifocillati e curati. E nelle prossime ore probabilmente verranno trasferiti nei nuovi centri di detenzione per migranti aperti a Tajura, nei sobborghi a nord-ovest della città, che per altro sarebbero già stracolmi.

MARE DI MORTI Questi 97 morti, ufficialmente «dispersi in mare», vanno ad aggiungersi ai 664 morti o dispersi stimati dall’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) fino al 9 aprile scorso, quasi tutti – oltre il 90 per cento – in naufragi simili sempre lungo la rotta Libia-Italia. Oltre agli africani, per lo più in fuga dalla grave siccità che ha colpito il Sahel, si sono recentemente aggiunti verso quest’unica porta d’ingresso pericolosa e illegale verso l’Europa anche migranti che hanno fatto un percorso molto più lungo. Il portavoce dell’Oim a Roma, Flavio Di Giacomo, fa infatti notare che tra gli oltre 2.100 migranti soccorsi in mare e portati in Italia di recente, c’erano anche circa 500 bengalesi e 50 siriani.

La rotta del Mediterraneo centrale è però sempre più rischiosa. L’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, calcola che si è passati da 1, 8 morti a 3,4 ogni 100 arrivi. Ma il rischio di morire, o di essere torturato e abusato, è molto frequente anche a terra, in Libia.

MERCATO DI SCHIAVI Un recente rapporto dell’Oim – che ha avuto molto risalto sulla stampa britannica in questi giorni corredato da interviste a migranti sbarcati in Italia – parla del mercato degli schiavi in Niger e a Sahba, nel sud ovest della Libia, dove i prezzi per un uomo o una donna oscillano tra i 200 e i 250 dollari. Come già riportato dalle testimoonianze raccolte dalla ong romana anti-tratta BeFree, i migranti subsahariani sono venduti e comprati dai trafficanti libici, e le donne violentate e costrette a prostituirsi, con il supporto di migranti ghanesi o nigeriani assoltati come «kapò» nei compound di detenzione. L’ufficio libico dell’Oim calcola che in Libia i migranti in attesa di imbarcarsi per l’Europa, quasi sempre dal porto di Sabrata, sulla costa di nord-ovest, siano tra gli 800 mila e il milione.

ONG CONTRO FRONTEX Le accuse formulate due giorni fa dal direttore esecutivo dell’agenzia europea Frontex, Fabrice Leggeri, contro le ong che salvano – ha ammesso – «i due terzi dei migranti in mare con le loro navi di soccorso mentre mai come oggi quel tratto di Mediterraneo è pieno di navi pubbliche», cioè militari e le 11 di Frontex. Leggeri ha accusato però le ong umanitarie di collaborare con i trafficanti: «sappiamo di casi in cui gli scafisti hanno dato ai migranti che si imbarcavano i telefoni delle ong». La denuncia di Frontex viene definita «una fake-news» dall’imprenditore Michael Buschheuer a capo e della ong tedesca Sea Eye che nel 2016 da sola ha salvato oltre 5.500 vite umane. Mentre Riccardo Gatti, della ong spagnola Proactiva Open Arms a bordo della nave Golfo Azzurro, ha detto che nell’ultimo mese hanno subito intimidazioni e pressioni «da parte di forze di polizia e ufficiali di Frontex», saliti a bordo per frugare nei conti e negli stili di vita degli operatori.

PAESE «SICURO» L’Italia e la Ue firmano Memorandum e promettono centinaia di milioni a Tripoli e ai capitribù del Fezzan per tenersi i migranti, ma la situazione non è affatto pacificata. Si è anzi innescata una nuova escalation della guerra civile per il controllo del Fezzan e della via tra Sebha e Jufra tra la «Brigata 12», fedele al generale Haftar, e le milizie misuratine chiamate «Terza forza». Tanto che gli ambasciatori di Russia, Usa, Cina, Gb e Francia – riporta l’agenzia Nova – si dicono preoccupati.

12 Apr, 2017

Parco ZeroSei in finale per Aviva!

Care amiche e cari amici, è con grande emozione che vi comunichiamo che il Parco ZeroSei, con 18815 voti, è ufficialmente rientrato nelle fasi finali del concorso Aviva!

Siamo arrivati terzi su cinque progetti selezionati!

Prossima ed ultima tappa: 10 maggio, per la valutazione finale della giuria e per l’affidamento dei fondi!

Noi ce la metteremo tutta… Un grande ringraziamento ad ogni singola persona che ha votato e sostenuto il progetto

#insiemeperilterritorio #dirittoalgioco #ilparcoditutti

https://community-fund-italia.aviva.com/voting/progetto/schedaprogetto/16-465

parco-zero-sei-finale

11 Apr, 2017

La Ru486 nei consultori e la salute delle donne

Proprio ieri la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi alla Pisana ha deciso di fare un consiglio straordinario sulla sanità il prossimo 26 aprile.

La richiesta si è levata dai banchi della destra, infuriata in questi giorni per la decisione di #Zingaretti e sui non obiettori del San Camillo e sulla sperimentazione dell’RU486 nei consultori.

In questo bell’articolo di Cecilia D’Elia un bel po’ delle solide argomentazioni che porterò in aula anche io, tra due settimane.

07 Apr, 2017

La scuola la centro è il miglior investimento per la politica

Oggi per la consegna del kit3D della RegioneLazio sono stata all’Istituto Vincenzo Gioberti di Trastevere, il “liceo alberghiero” come dice con sacrosanto orgoglio la dirigente scolastica.

Ho trovato una scuola straordinaria: piena di energia, voglia di fare, sorrisi.
Mille progetti che parlano di inclusione, dell’incontro con gli altri, del recupero della tradizione che si sposa con l’innovazione, col coinvolgimento delle famiglie e di tutto il corpo docente.

I ragazzi di sala, le pasticcere, la cucina, la caffetteria: un posto bello, pensato ogni giorno per consegnare un futuro possibile ai 1200 tra ragazzi e ragazze che lo frequentano.

La forza dell’applauso che ha accolto in aula magna la consegna dei tablet, della stampante e dello scanner 3D stava ad indicare una cosa senza dubbio: una comunità coesa, cooperativa, appassionata.

Giusto allora stare accanto a realtà come queste, per aiutarle a crescere. Fondamentale insistere nel battere lo stesso tasto: la scuola al centro.

E’ il miglior investimento che può fare la buona politica.

31 Mar, 2017

Il kit 3D nelle scuole della Regione Lazio: uguaglianza e opportunità

Oggi ho iniziato la mia giornata insieme agli studenti e ai docenti (e anche a qualche genitore) dell’IIS Einaudi di Roma.

Ho consegnato loro il kit 3D che la Regione Lazio sta distribuendo in più di 200 scuole del nostro territorio. Stampanti e tablet che attraverso l’innovazione tecnologica fanno entrare negli istituti un punto di vista forte e chiaro: il nostro investimento nella scuola pubblica.

Per dare a tutti gli #studenti uguali opportunità, indipendentemente dalle famiglie di appartenenza e dai quartieri in cui vivono. Per scommettere sulla formazione degli insegnanti, e sulla loro cooperazione con i ragazzi e le famiglie.

Perché investire sui #giovani vuol dire questo: non metterli al centro dei discorsi magari dimenticandoseli un attimo dopo. Ma affiancarli e rafforzarli nel loro percorso di crescita e formazione.

Alle ragazze e ai ragazzi il kit è decisamente piaciuto!
* le foto le hanno fatte loro 😀

18 Mar, 2017

La legge sulla canapa industriale spiegata agli studenti della Sapienza

Bella, tanto. E anche parecchio utile l’iniziativa a cui ho partecipato ieri nell’aula magna del dipartimento di Chimica e Tecnologia del Farmaco della Sapienza.

Si parlava di canapa industriale.

Dal punto di vista economico, per un nuovo modello di sviluppo.
Dal punto di vista scientifico, con i molteplici utilizzi a cui si presta.
Dal punto di vista legislativo, visto che sia il Parlamento che la Regione Lazio hanno approvato recentemente due leggi ad hoc.

Io di mio ho ripercorso il “viaggio” che abbiamo fatto approvando la nostra legge (la numero 1 del 2017). Un viaggio coi piedi piantati nella memoria e nelle tradizioni contadine del Lazio ma con gli occhi puntati verso il futuro e l’innovazione.

Al centro lei, la pianta di canapa, la più resiliente che c’è.
Così preziosa in tempi di crisi, in cui non basta resistere, ma serve rinnovarsi e costruire risposte nuove.

11 Mar, 2017

Pisapia, il Campo Progressista e la forza di un sorriso collettivo

La cultura che è un bene comune e che vuol dire conoscenza, quindi anche il rispetto delle differenze. “Io che mi occupo di Terra”, e l’esperta di energie che sottolinea: c’è energia positiva in questa sala!

L’inclusione e la cittadinanza, con la vergogna della legge sullo ius soli che “riposa” al Senato. E quel fermento che sale nel Paese e profuma di donne, e di un nuovo femminismo che chiede e include.

La periferia nella bellezza della voce di Giorgia che vibra: “Venite a farvi una passeggiata a Corviale, a noi ce piace sta co’ la gente”.

Il lavoro qualificato e il reddito minimo, che se non ci sono né l’uno né l’altro “le mafie ringraziano”. Con la bracciante che racconta commossa di quella collega che “come fai a ribellarti se quei 18 euro al giorno sono gli unici che entrano a casa a fine mese”.

E quindi fuori il welfare dal patto di stabilità. E sotto con un nuovo centrosinistra che inizi dalla lotta alle disuguaglianze.

#LaPrimaCosaBella è stata forte e piena. Di gentilezza, di allegria.

Bella perché ha la forza di dire che non è esattamente la prima, perché di cose belle intorno a noi ce ne sono a bizzeffe, solo a volerle guardare.
Bella perché è solo l’inizio. Perché in 1500 oggi abbiamo detto sì: partiamo.