Top

30 Set, 2013

Femminicidio, ripartiamo dalle nuove generazioni

“Mai più violenza – Mai più complici”, il progetto promosso dalla Consulta femminile regionale per le Pari opportunità conferma che la via intrapresa dalla giunta Zingaretti e dalla sua maggioranza per prevenire e combattere la violenza di genere, è un percorso articolato fatto di diversi e significativi passaggi.

Il  femminicidio è un reato che va affrontato con politiche di prevenzione, formazione e con l’applicazione degli strumenti legislativi. Lo scorso luglio come gruppo Per il Lazio, abbiamo portato e fatto approvare in Consiglio regionale, una mozione passata all’unanimità. Ma l’impegno più grande e difficile da mettere in campo, proprio come quella mozione affermava è quello culturale che investa le nuove generazioni di ragazze e i ragazzi, e trasmetta loro il ripudio di ogni forma di violenza e per un nuovo diritto di  cittadinanza.

Per questo il progetto della consulta che coinvolge gli studenti e attraverso il teatro li porta ad  approfondire i risvolti sociali, culturali ed il dramma umano delle donne colpite dalla violenza di genere, coinvolgendo anche le loro famiglie e la cittadinanza,  è un passaggio importante del capillare lavoro da fare per diffondere la cultura della non violenza in ogni ambito.

Motivare le giovani generazioni ad essere protagoniste del cambiamento e nel frattempo inviare un messaggio forte all’intera cittadinanza sono gli obiettivi primari di questo progetto, che ha saputo mettere in campo un network di istituzioni, ministero dell’Istruzione, presidenza della Repubblica, presidenza del Consiglio dei ministri, Senato e Camera dei deputati, e ovviamente regione Lazio, impegnate ognuno per il proprio segmento a sostenere e dare forza alla campagna “Mai più complici”.

26 Set, 2013

Donne salvate

Quando si comincerà a proteggere davvero le vittime finanziando in maniera adeguata i centri anti-violenza che da anni chiedono risorse per le proprie fondamentali attività? Quando si affronterà il problema della presa in carico psicologica degli uomini che maltrattano le donne? Quando si deciderà di introdurre nelle scuole un’educazione mirata a disinnescare comportamenti violenti e alla gestione dei conflitti? Problemi che il decreto legge non affronta.
Leggi l’articolo

23 Set, 2013

Centri antiviolenza, rischio chiusura

Arriva in parlamento il DL sul femminicidio, dove nemmeno si parla dei luoghi in cui, ogni anno, oltre 14mila donne trovano assistenza psicologica e rifugio se sono vittime di soprusi in famiglia. Eppure molte di queste realtà sono allo stremo per mancanza di fondi. E ad alcune non resta che chiudere i battenti.

Finanziamenti a singhiozzo. Affitti salati da pagare. Rischio di sfratti. Pochissime risorse da investire. Il lavoro che si trasforma automaticamente in volontariato. Fino, in alcuni casi, alla chiusura di centri e case rifugio per donne maltrattate che dovrebbero svolgere un ruolo centrale e determinante nel contrasto alla “guerra silenziosa” che ogni anno fa in Italia centinaia di vittime.

La situazione dei centri anti violenza (CAV) in Italia peggiora di giorno in giorno, nell’indifferenza del Palazzo. Tagli e difficoltà ad accedere periodicamente alle programmazioni regionali, una mannaia. Il decreto sul femminicidio, varato durante l’ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva, non menziona nemmeno i CAV. Per Titti Carrano, presidente della D.i.Re (Donne in rete contro la violenza), nel dl manca “qualunque riferimento al riconoscimento del ruolo che i centri svolgono da anni in Italia: chiediamo il loro coinvolgimento nei tavoli tecnici che si occupano di violenza e lo stanziamento di specifici e adeguati fondi definiti nella legge di stabilità”.

Un provvedimento (andrà in aula il 23 settembre) che esclude – come previsto dalla Convenzione di Istanbul – gli interventi di prevenzione. Come quelli svolti dai CAV: supporto legale e psicologico alla donna maltrattata, collaborazione con forze dell’ordine e servizi sociali, Telefono Rosa h24 per le emergenze, attività di promozione culturale con corsi nelle scuole, convegni, seminari e iniziative di vario genere. Poi le case rifugio per ospitare le donne in pericolo e impossibilitate a tornare a casa per paura del compagno aguzzino.

Sono 124 le donne uccise nel 2012 e 14mila quelle che si rivolgono, ogni anno, ai 63 centri anti violenza aderenti a D.i.Re. A questi vanno aggiunti un’altra quarantina autocensiti per un totale di 100 centri presenti sul territorio nazionale. E nel 2013 sono in aumento le donne che si rivolgono ai CAV, sintomo di una maggiore consapevolezza.

“E’ arrivata un’ingiunzione di pagamento, siamo a rischio sfratto” denuncia Cinzia Maroccoli, presidente del CAV di Potenza, l’unico dell’intera Basilicata. Si caratterizza per costituirsi parte civile ai processi contro gli uomini maltrattanti. Aperto dal 1989, fino al 2001 è andato avanti con autofinanziamenti. “I soldi arrivano a singhiozzo – spiega – Siamo ancora in avanzo della cifra del 2011 mentre non conosciamo ancora l’importo per il 2013”. In mancanza di risorse, ecco la riduzione dei servizi, il lavoro delle operatrici che diventa volontariato e la morosità nella locazione di 1200 euro al mese. Il CAV ha anticipato soldi e si è indebitato con la banca, con la speranza che arrivino i finanziamenti regionali. Prima o poi. Assenti le risorse per ampliare la casa rifugio al momento capace di ospitare 5 donne. “A volte dobbiamo rifiutare le richieste per mancanza di posti e indirizzare le donne maltrattate verso altre strutture di accoglienza” spiega la presidente “La nostra è precarietà esistenziale, non riusciamo a prospettare un intervento di lungo periodo. Ci negano un futuro”. E due signore ospitate sono all’ottavo mese e sul punto di partorire.

Altri centri rifugio sono stati costretti direttamente a chiudere. Come il caso a Cosenza del “Roberta Lanzino”. Parliamo con la responsabile, Antonella Veltri, che racconta come nel 2010 abbiano preso la sofferta decisione per la mancanza di fondi. Ad oggi sono morosi con il proprietario dello stabile. Rischiavano di chiudere anche il centro di supporto legale e psicologico, per fortuna è arrivata una boccata d’ossigeno: “La Provincia ci ha assegnato un posto”. Un passo importante.
“Ovviamente il lavoro” afferma Veltri “resterà volontario e una qualsiasi spesa sarà coperta da autofinanziamenti o iniziative autorganizzate (riffe o vendita di candele per strada)”. I pochi spiccioli in arrivo dalla Regione non sono sufficienti.

Se al Sud si evidenziano situazioni limite, al Nord i CAV versano in condizioni poco migliori. A parte il Trentino che è la regione più virtuosa e più attenta al finanziamento dei centri. Secondo un calcolo dell’Unione europea, ogni Paese dovrebbe prevedere un posto sicuro per vittime di violenza di genere ogni 10mila abitanti. In Italia ne servirebbero circa 6mila. Nella realtà sono soltanto 500. A fine anno potrebbero essere ancora meno le case rifugio. Così come le operatrici spesso disincentivate da tale corsa ad ostacoli.

In Emilia Romagna il CAV di Lugo adesso è riuscito ad accedere a finanziamenti comunali ma ha rischiato la chiusura. “Il nostro è volontariato puro” racconta Nadia Somma, presidente dell’associazione Demetra donne in aiuto “Abbiamo ridotto a 6 ore alla settimana il nostro intervento: tra affitto, rimborso benzina, elaborazione progetti, spese varie non avevamo più soldi”. E invece servirebbero risorse anche per corsi di formazione a procure e forze dell’ordine: “Spesso” continua Somma “un agente confonde le violenze domestiche per conflitti familiari non intervenendo a dovere sul compagno maltrattante”. Mentre nel caso di affidi in comune, si costringe la donna a continuare ad incontrare l’uomo che dopo il distacco diviene maggiormente violento.

La rete D.i.Re promette battaglia per modificare il decreto in Parlamento. Così come alcuni parlamentari sensibili al tema. Celeste Costantino, deputata di Sel, ha intrapreso un viaggio nazionale nei centri, chiamato #RestiamoVive, per testimoniare le difficoltà in cui versano queste strutture,  raccogliere dati e numeri, ascoltare dalla viva voce delle operatrici le difficoltà del lavoro quotidiano:  “Dal Nord al Sud del Paese i CAV si ritrovano a lavorare in una situazione davvero insostenibile. Al più presto serve un piano di finanziamento nazionale per la prevenzione, percorsi di aiuto per gli uomini maltrattanti, un Osservatorio nazionale, l’introduzione dell’educazione sentimentale nelle scuole, proposta di legge, quest’ultima, che ho già depositato. Il dl femminicidio è stato scritto senza tenere conto della complessità del tema e con un’ottica da ‘pacchetto sicurezza’. Un’occasione persa dopo aver votato all’unanimità la Convenzione di Istanbul”.

Giacomo Russo Spena, L’Espresso

19 Set, 2013

Il femminicidio delle larghissime intese

La storia è lunga, il dibattito tra le femministe complesso e accidentato, fin da quando nel senso comune cominciò a farsi strada l’idea che la violenza contro le donne non era una questione di offesa al pudore o alla morale,in cui si sono per decenni esercitati giudici e penalisti su quanto la “provocazione” femminile desse o non desse adito al desiderio irrefrenabile dell’uomo cacciatore e su come le mogli non dovessero rifiutarsi al debito coniugale.
Leggi l’articolo

05 Set, 2013

Il decreto sul femminicidio è solo repressivo, va cambiato

Per Barbara Spinelli, avvocata esperta di femminicidio e consulente Onu, “la logica di questo decreto non è basata sulla tutela dei diritti umani, ma sulla repressione. Le raccomandazioni Onu ci dicono che il principale problema in Italia è, seppur in presenza di leggi idonee, il pregiudizio di genere e la mancanza di formazione degli operatori.
Leggi l’articolo de Il Manifesto

11 Lug, 2013

Rosi, uccisa dall’ex denunciato per stalking

“Ora che mia figlia è morta siete venuti tutti. Ma per due anni no, per due anni di denunce no. E ora mia figlia è morta. L’avete tutti sulla coscienza. Questa non è giustizia, lui avrebbero dovuto rinchiuderlo”. La madre di Rosi Bonanno, davanti alla sua abitazione di via Occhiuta, ha sfogato così la sua rabbia, spiegando che la separazione tra i due era avvenuta proprio “perchè mia figlia era in pericolo”.
Leggi l’articolo (da zeroviolenzadonne.it)

04 Lug, 2013

Regione Lazio: un primo passo per il contrasto della violenza di genere

L’approvazione della mozione contro il femminicidio da me presentata e sottoscritta dalle consigliere del gruppo “Per il Lazio” e dai presidenti delle commissioni sanità (Rodolfo Lena) cultura (Eugenio Patanè) e sicurezza (Baldassare Favara), dimostra un grande senso di responsabilità da parte del Consiglio regionale, sensibile su un tema di grande urgenza sociale. Sono pienamente soddisfatta del risultato ottenuto, frutto di un dibattito partecipato e approfondito. La mozione era un atto doveroso nei confronti delle tante donne uccise brutalmente per mano di un uomo, in molti casi ex compagno o marito.

Di particolare rilievo l’impegno ribadito anche in aula dall’assessora alle pari opportunità Concettina Ciminiello che ha assicurato come richiesto dalla mozione, il rifinanziamento dei centri antiviolenza nel Lazio, a partire dal prossimo assestamento di bilancio, nonché la convocazione del tavolo con le associazioni e le realtà che nel nostro territorio si occupano di violenza di genere.

Il voto di oggi che arriva dopo poche settimane dall’avvio dei lavori del consiglio regionale, conferma la nostra volontà di porre il contrasto della violenza di genere tra le priorità del lavoro del consiglio e della giunta. E il dibattito che ne è seguito in aula ha confermato che i tempi sono maturi per puntare alla soluzione di un problema prima di tutto culturale sulla cui risoluzione la regione Lazio investirà energie e risorse.