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02 Mar, 2017

Una rete contro la violenza di genere

Questa mattina nella Sala Nobile di Palazzo Savelli, il Comune di Albano, sono intervenuta al primo appuntamento del corso di formazione qualificata per il contrasto alla violenza sulle donne e sui minori “Protection Network”.

Focus della mattinata era la costruzione delle reti e dei protocolli d’intervento sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza di genere.

E’ ora infatti che la città pubblica, fatta di istituzioni, enti locali, Asl, forze di polizia, operatori, tribunali, insegnanti, consultori, servizi, ma fatta anche di associazioni del privato sociale attive su questo tema, si mettano insieme strutturandosi in un’azione corale e multidisciplinare che dia una risposta globale al problema. La violenza si consuma quasi sempre nelle mura domestiche, ma non è una faccenda privata: è una questione culturale e che ha a che fare con tutta la società. Per questo dobbiamo sentirci tutti e tutte coinvolte.

La sala piena di questa mattina e la qualità alta degli interventi dei relatori suggeriscono che siamo sulla strada giusta.

13 Feb, 2017

Sessismo, nessuno è immune dalle discriminazioni di genere

Monica Lanfranco, Il Fatto Quotidiano
12 febbraio 2017

La sottovalutazione e il disconoscimento degli effetti e dei pericoli culturali, sociali, simbolici e pratici del sessismo non si trova solo in ambienti aggressivi e totalmente privi di minimi requisiti democratici che eleggono, per esempio, il quotidiano Libero come loro megafono. Penso che questo sia il dato più rilevante sul quale ragionare, volendo trovare il lato utile dell’ignobile e ripetitiva trovata del quotidiano con il titolo sulla sindaca Raggi

Benissimo che Maria De Filippi da Sanremo sanzioni chi, invece che ascoltare cosa ha da dire una donna, si concentri sul suo abito, ma non si può dimenticare che per oltre due decenni Mediaset, imitata presto anche dalla Rai, ha veicolato trasmissioni, (ben analizzate nel Corpo delle donne) dalle quali due generazioni di giovani hanno attinto modelli relazionali e identitari. Una catastrofe educativa passata inosservata e sottostimata.

Il martellamento continuo attraverso la tv prima, e i social poi, ha normalizzato il linguaggio sessista, impreziosito dalla definizione di trash che ne ammanta una qualche dignità subculturale, fino a giustificarne l’uso: parlare così, quindi pensare così ti rende parte del gruppo dominante, ti rende una persona moderna, diretta, smart, cool. Il sessismo attraverso la lingua penetra così tanto nel subconscio fino a scomparire come violenza, aggressione, umiliazione, disumanizzazione, quale invece è.

Un breve racconto. Durante una recente formazione per un gruppo di attivisti di sinistra, tra cui molti giovani, propongo la visione del video Parole d’amore, perfetta escalation che evidenzia il sessismo collettivo inconscio veicolato in frasi di uso quotidiano. L’impatto è forte: ogni volta che lo mostro c’è chi ammette quanto l’insulto e il disprezzo che si subisce, (e spesso senza accorgersene si veicola), sia diffuso e ormai invisibilizzato dalla routine, a scuola, nei luoghi di lavoro, per strada. Un ragazzo però, sostiene che una di queste frasi non si possa più ritenere offensiva, perché, pur inizialmente rivolta alle donne, oggi è adoperata anche tra maschi.

La frase è: “hai le tue cose?” Prima considerazione: una frase sessista smette di esserlo se il bersaglio cambia? Se si vuole evidenziare un atteggiamento scorretto, perché invece di dire “sei nervosa?“, che è il contenuto sotteso, si sceglie di parlare delle mestruazioni? Qui la faccenda si fa interessante. L’attivista sostiene che molte donne (lui dice la maggioranza, e cita anche la scienza) subiscono squilibri rilevanti durante il ciclo, che incidono sull’umore e quindi sul comportamento.

Faccio presente che le donne in Italia prima della metà degli anni ’60 non avevano accesso in magistratura anche a causa del pregiudizio legato alla fisiologia (nel ciclo si verifica uno squilibrio che mina la capacità di valutazione in tribunale, si diceva): questa risulta una notizia nuova per quasi tutta l’aula.

Quando invito a trovare una frase analoga rivolta agli uomini vengono fuori situazioni in cui manca la centralità del corpo maschile: si potrebbe dire, per canzonare il nervosismo maschile, “non ne hai presa ieri sera“. Faccio notare che anche in questo caso, pur alludendo al nervosismo causato dalla mancata soddisfazione sessuale, si sta rovesciando sull’altra la responsabilità. Insomma: con grande fatica si arriva a definire che (forse) una frase di peso quasi simile a hai le tue cose? potrebbe essere “non ti è venuto duro“?

A ben guardare, però, tranne che nei casi gravi e pervasivi, la mancata erezione è un incidente che non invalida la qualità di giudizio e l’affidabilità degli uomini, mentre l’inattendibilità e l’irresponsabilità delle donne, mestruate tutta la vita dai 13 ai 55 anni circa, diventa uno stigma per un intero genere anche grazie a quella semplice frase. Non ci trovavamo in un circolo di lettori del quotidiano di Feltri, ma in un luogo dove si fa politica esattamente contro le visioni del mondo enunciate dalle sue pagine. A riprova che nulla e nessuno è immune dalla misoginia quotidiana, perché essa è così radicata dentro di noi da doverla continuamente disvelare, riconoscere ed espellere non solo dalle nostre parole, ma soprattutto dalla nostra mente e dal nostro modo di ragionare.

06 Feb, 2017

Oltre duemila all’assemblea nazionale di “Non una di meno”

“Siamo una marea, diventeremo oceano”. Con queste parole si conclude a Bologna la due giorni di “Non una di meno” sui temi del femminismo e contro la violenza di genere.

In oltre duemila da tutta Italia hanno costruito la seconda tappa del percorso verso lo sciopero generale dell’8 marzo che si svolgerà in maniera diffusa in tutte le città d’Italia.

Welfare, lavoro, migrazioni e linguaggio sono stati solo alcuni degli argomenti affrontati nei tavoli tematici nelle aule dell’università di Bologna, tutti declinati in una lettura di genere per il protagonismo femminile e lgbtqi.

“Contro la strumentalizzazione del sessismo in chiave razzista e per la libertà di circolazione per le richiedenti asilo” è l’approccio per la libertà di movimento delle donne migranti. “Vogliamo ribadire che la nostra autodeterminazione sessuale non si tocca, siamo orgogliosamente poco produttive e anomale” hanno raccontato dal microfono dell’aula gremita di donne che hanno applaudito.

Contro le politiche di welfare sono state contestate le pratiche che vogliono la donna riproduttiva e obbligata alla maternità .

Sull’obiezione di coscienza è stato denunciato quanto la situazione in Europa stia peggiorando e per questa ragione una delle rivendicazioni è stata proprio l’abolizione dell’articolo 9 della 194 che prevede gli obiettori dagli ospedali pubblici: “Combattere la retorica dell’aborto come evento traumatico. Se lo stato ci nega i diritti ci auto organizzeremo. Diffonderemo l’autogestione per l’utilizzo consapevole di farmaci e tecniche per l’interruzione volontaria di gravidanza”.
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Relativamente ai centri anti violenza la volontà espressa dall’assemblea è stata quella di “sottrarli alla logica di istituzionalizzazione che li vuole rendere dei servizi neutri” sottolineando che il centro anti violenza deve essere un “centro di elaborazione di politiche femministe e non un servizio assistenziale”.

Sul tema della narrazione nei media mainstream delle tamatiche di genere l’appello è stato quello all’attenzione alle parole perché la violenza sulle donne non venga giustificato con espressioni quali “raptus di follia”.

Il prossimo appuntamento sarà quello del 22 e 23 aprile a Roma per continuare dopo lo sciopero nazionale di marzo.

Intanto diverse le iniziative promosse per le prossime settimane: hashtag ‘disturbanti’ sui social contro le frasi sessiste, conferenze stampa coordinate da tutte le città di Italia e flash mob in piazza con i colori del movimento nero e fuxia. Inoltre per invitare allo sciopero dell’8 marzo è stato annunciato che verranno apposti dei timbri sulle banconote.

da Zic (Zero in condotta)

25 Apr, 2016

La Fisiologia della Nascita – Dai prodromi al post partum

Giovedì 26 Maggio alle ore 17,30
Biblioteca di Villa Mercede
Via Tiburtina, 113

Il Melograno propone, in esclusiva per Roma,
la presentazione del libro
La Fisiologia della Nascita – Dai prodromi al post partum
scritto da Anita Regalia, Giovanna Bestetti, Roberta Spandrio,

Questo volume, che noi riteniamo essere un importante contributo verso un cambiamento necessario e auspicabile nelle pratiche di assistenza ostetriche e mediche, nasce dall’esperienza clinica e di formazione nei corsi per ostetriche e medici tenuti dalle autrici, a cui si aggiunge il contributo di diversi professionisti.
Ciò che li accomuna è l’essere impegnati da anni nel desiderio di modificare l’attuale metodo di assistenza alla nascita fisiologica. L’intento è cercare di mettere in relazione il sapere di base a quello clinico/critico fondato sulle evidenze scientifiche (ma non solo), affinché si possa favorire la fisiologia, tradurre in pratica assistenziale il principio che le diversità sono tante, rigenerare la pratica ostetrica unendo “mani, cervello e cuore”. Il testo è attraversato dalle parole delle donne, dagli operatori e da intermezzi poetico-letterari per ricordare che il linguaggio sulla nascita non è soltanto quello medico.

Se siete operatrici della nascita, medici, ostetriche, se state per diventare mamme, se già lo siete, ma soprattutto se credete, come noi, nella necessità di questo cambiamento, venite a passare un pomeriggio con noi!

Interverranno:

Roberta Spandrio e Anita Regalia, autrici del libro
Marta Bonafoni, consigliera della Regione Lazio
Gabriella Pacini, ostetrica libera professionista dell’Associazione Il Melograno

Modererà gli interventi Romana Prosperi Porta, presidente dell’Associazione Il Melograno Centro Informazione Maternità e Nascita di Roma

Durante l’incontro verrà proiettato il corto dal titolo “La prestazione – Sex like a birth”

E in principio ci fu la speranza…

Speranza di contribuire a cambiare l’attuale assistenza alla nascita in Italia nelle sue espressioni di indifferenza, ignoranza e paradossalità. Speranza di riuscire a svelare le ricadute di un’assistenza che non rispetta la libertà.” Roberta Spandrio, Anita Regalia, Giovanna Bestetti

In collaborazione con:
Il Melograno – Centro Informazione maternità e Nascita, sedi di Monterotondo e Rieti
Freedom for Birth, Rome Action Group
Creattivamente Ostetriche
Mamma Doula
Vita di Donna

 

22 Apr, 2016

“Così i curdi siriani hanno abbandonato Marx per mio padre”

Claudio Gallo, La Stampa

La figlia del filosofo americano Murray Bookchin “Niente lotta di classe, tutto il potere alle assemblee locali. A Kobane si sperimenta la vera democrazia”

Debbie non è solo la figlia di Murray Bookchin, il teorico del comunalismo. Scrittrice e giornalista, ha pubblicato un libro scottante sul vaccino anti-polio americano infettato da un virus potenzialmente cancerogeno, tra gli Anni 60 e 80. Ma, certo, è anche la figlia di suo padre, appassionata curatrice dell’eredità intellettuale del filosofo, figlio di ebrei russi emigrati in America.

Dal leader del Pkk Abdullah Öcalan ai curdi di Kobane, tutti hanno abbandonato Marx per suo padre: che cos’è il comunalismo?
«Il comunalismo è l’idea che la democrazia funzioni meglio quando i cittadini decidono insieme in assemblee locali. Si guardano in faccia e discutono di argomenti importanti per la comunità, inviano delegati revocabili ai consigli regionali. Il potere resta a livello locale e non è mai trasferito allo Stato-nazione. Mio padre vedeva nelle assemblee la possibilità di formare un senso di cittadinanza sempre più illuminato. La gente dovrebbe reclamare la politica come qualcosa che si pratica invece di votare per qualcuno e sperare in bene. Il comunalismo comprende ciò che mio padre chiamava una “economia morale”, in cui la gente decide insieme sull’uso delle risorse naturali per la produzione economica, avendo in mente l’impatto ambientale».

Una visione senza denaro né mercato: com’è possibile?
«Oggi diamo il capitalismo per scontato, ma non è un comandamento di Dio. Nella maggior parte della storia le società hanno funzionato senza. Come mio padre ha sottolineato per la prima volta negli Anni 60, la rotta di collisione del capitalismo con la natura minaccia la sopravvivenza della nostra specie. La sua logica “cresci o muori” impone un incessante sfruttamento delle risorse naturali. La crescita rapace e l’individualismo, a cui ha dato vita, hanno portato al riscaldamento globale che rischia di rendere il pianeta inabitabile per i nostri nipoti. Per ciò che riguarda il denaro, ci sono molti esempi nella storia di persone che hanno lavorato insieme per il bene della società senza doverlo usare: dalle società primitive ai grandi kibbutz israeliani. Il comunalismo crede che, in una società libera, ognuno contribuisca al benessere della società con le sue differenti abilità, interessi e desideri».

Com’è arrivato il comunalismo tra i curdi?
«Quando Abdullah Öcalan fu condannato all’ergastolo, l’avvocato gli portò in prigione molti libri, tra cui alcuni di mio padre tradotti in turco, come L’ecologia della libertà e From Urbanization to Cities (Dall’urbanizzazione alle città). Öcalan era diventato scettico sul marxismo-leninismo che aveva portato a trent’anni di guerra con lo stato turco. Così si convinse che, abbracciando le idee di mio padre, i curdi avrebbero potuto raggiungere l’autogoverno e una vera democrazia, anche dentro ai confini turchi. Con il concetto di confederalismo democratico, Öcalan ha incorporato il pensiero di mio padre, ma poi ha aggiunto idee originali, specialmente l’enfasi sul ruolo delle donne».

Cosa rimproverava suo padre a Marx?
«Mio padre aveva un enorme rispetto per Marx, ma per lui il marxismo contemporaneo viveva nel passato. La “analisi di classe” e le tattiche impiegate dai rivoluzionari negli Anni 30 andavano superate. Bisognava capire perché i lavoratori non avevano fatto la rivoluzione. Respingeva la visione del proletariato come “classe egemonica”. Per lui il cambiamento sociale poteva avvenire soltanto appellandosi alla gente, ai cittadini in quanto parte di comunità che non cercano solo l’eguaglianza economica ma anche aria e acqua pulite, cibo sano, e la fine di tutte le forme di gerarchia e oppressione: razza, etnia, genere… Aveva visto che in Europa Orientale il socialismo non aveva portato la libertà. Credeva che il potere dovesse essere decentralizzato e portato a livello municipale, non consegnato a un partito centralizzato».

Perché i curdi sarebbero così importanti?
«Nel Rojava (l’area curda della Siria ndr) è stata creata una società dove le donne e gli uomini di qualsiasi etnia o religione lavorano insieme per tracciare il futuro delle comunità. La pianificazione economica è attenta all’ecologia, si pratica la forma più democratica di governo esistente, pur in condizioni di guerra. Un esempio affascinante».

Nel 2015, i curdi siriani sono stati accusati da Amnesty si aver demolito le case degli arabi..
«Seguire i progressi del progetto sociale nel Rojava è entusiasmante, tuttavia in condizioni di guerra si compiono errori, che vanno riconosciuti e corretti. Le prove raccolte sollevarono però alcuni dubbi, tra cui la veracità di certe interviste e alcuni aneddoti che non furono confermati. Molti pensano che quei fatti indeboliscano la credibilità del rapporto».

Curdi comunalisti e Washington insieme contro l’Isis: non è una strana alleanza?
«Dovrebbe essere una coalizione naturale, visto che gli Usa e la Ue si presentano come campioni della democrazia. L’Occidente riconosce che i curdi sono i suoi migliori alleati contro l’Isis, teme però che la Turchia spalanchi le porte agli emigranti verso l’Europa. Così si è piegato ai turchi e ha escluso i rappresentanti del Rajava dai colloqui di Ginevra sul futuro della Siria. Hanno chiuso un occhio sul sostegno di Ankara all’Isis e sui bombardamenti turchi delle città curde del Sud-Est, dove, con la pretesa di cercare i terroristi del Pkk, i militari hanno ucciso centinaia di civili innocenti, compresi bambini. Se credessero davvero alla democrazia, americani ed europei dovrebbero invitare i rappresentanti del Rojava a Ginevra e incoraggiare l’espansione del suo modello in Siria. Sarebbe un modo per favorire una soluzione pacifica e democratica che permetta alla gente di rimanere a casa invece di dover fuggire».

Un Rojava autonomo dovrà fare i conti con la Turchia: ci sarà una nuova guerra?
«Sono una giornalista, non un’analista mediorientale, non so predire se ci sarà una guerra. La mia impressione è che la gente abbia ragione a temere la svolta autoritaria di Erdogan. Un regime autoritario porterà più disordini e instabilità. Una cosa negativa per la gente della regione, che mina i nostri sforzi per sconfiggere l’Isis. Spero che i leader occidentali vorranno usare tutto il loro peso per fermare la violenza di Erdogan contro il popolo curdo e insistere per un ritorno al negoziato. È chiaro che la “questione curda” non può essere risolta militarmente. Prima Erdogan riprenderà i negoziati, meglio sarà per la società turca e per il mondo intero».