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Monica Lanfranco, Il Fatto Quotidiano
12 febbraio 2017

La sottovalutazione e il disconoscimento degli effetti e dei pericoli culturali, sociali, simbolici e pratici del sessismo non si trova solo in ambienti aggressivi e totalmente privi di minimi requisiti democratici che eleggono, per esempio, il quotidiano Libero come loro megafono. Penso che questo sia il dato più rilevante sul quale ragionare, volendo trovare il lato utile dell’ignobile e ripetitiva trovata del quotidiano con il titolo sulla sindaca Raggi

Benissimo che Maria De Filippi da Sanremo sanzioni chi, invece che ascoltare cosa ha da dire una donna, si concentri sul suo abito, ma non si può dimenticare che per oltre due decenni Mediaset, imitata presto anche dalla Rai, ha veicolato trasmissioni, (ben analizzate nel Corpo delle donne) dalle quali due generazioni di giovani hanno attinto modelli relazionali e identitari. Una catastrofe educativa passata inosservata e sottostimata.

Il martellamento continuo attraverso la tv prima, e i social poi, ha normalizzato il linguaggio sessista, impreziosito dalla definizione di trash che ne ammanta una qualche dignità subculturale, fino a giustificarne l’uso: parlare così, quindi pensare così ti rende parte del gruppo dominante, ti rende una persona moderna, diretta, smart, cool. Il sessismo attraverso la lingua penetra così tanto nel subconscio fino a scomparire come violenza, aggressione, umiliazione, disumanizzazione, quale invece è.

Un breve racconto. Durante una recente formazione per un gruppo di attivisti di sinistra, tra cui molti giovani, propongo la visione del video Parole d’amore, perfetta escalation che evidenzia il sessismo collettivo inconscio veicolato in frasi di uso quotidiano. L’impatto è forte: ogni volta che lo mostro c’è chi ammette quanto l’insulto e il disprezzo che si subisce, (e spesso senza accorgersene si veicola), sia diffuso e ormai invisibilizzato dalla routine, a scuola, nei luoghi di lavoro, per strada. Un ragazzo però, sostiene che una di queste frasi non si possa più ritenere offensiva, perché, pur inizialmente rivolta alle donne, oggi è adoperata anche tra maschi.

La frase è: “hai le tue cose?” Prima considerazione: una frase sessista smette di esserlo se il bersaglio cambia? Se si vuole evidenziare un atteggiamento scorretto, perché invece di dire “sei nervosa?“, che è il contenuto sotteso, si sceglie di parlare delle mestruazioni? Qui la faccenda si fa interessante. L’attivista sostiene che molte donne (lui dice la maggioranza, e cita anche la scienza) subiscono squilibri rilevanti durante il ciclo, che incidono sull’umore e quindi sul comportamento.

Faccio presente che le donne in Italia prima della metà degli anni ’60 non avevano accesso in magistratura anche a causa del pregiudizio legato alla fisiologia (nel ciclo si verifica uno squilibrio che mina la capacità di valutazione in tribunale, si diceva): questa risulta una notizia nuova per quasi tutta l’aula.

Quando invito a trovare una frase analoga rivolta agli uomini vengono fuori situazioni in cui manca la centralità del corpo maschile: si potrebbe dire, per canzonare il nervosismo maschile, “non ne hai presa ieri sera“. Faccio notare che anche in questo caso, pur alludendo al nervosismo causato dalla mancata soddisfazione sessuale, si sta rovesciando sull’altra la responsabilità. Insomma: con grande fatica si arriva a definire che (forse) una frase di peso quasi simile a hai le tue cose? potrebbe essere “non ti è venuto duro“?

A ben guardare, però, tranne che nei casi gravi e pervasivi, la mancata erezione è un incidente che non invalida la qualità di giudizio e l’affidabilità degli uomini, mentre l’inattendibilità e l’irresponsabilità delle donne, mestruate tutta la vita dai 13 ai 55 anni circa, diventa uno stigma per un intero genere anche grazie a quella semplice frase. Non ci trovavamo in un circolo di lettori del quotidiano di Feltri, ma in un luogo dove si fa politica esattamente contro le visioni del mondo enunciate dalle sue pagine. A riprova che nulla e nessuno è immune dalla misoginia quotidiana, perché essa è così radicata dentro di noi da doverla continuamente disvelare, riconoscere ed espellere non solo dalle nostre parole, ma soprattutto dalla nostra mente e dal nostro modo di ragionare.

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