Top

15 Mag, 2017

La scala delle gravità e il senso del rigetto

di Mimmo Cortese, Comune-info

Le dichiarazioni di Debora Serracchiani, dopo l’orribile stupro di una ragazza triestina di 17 anni, fanno rabbrividire. Questo delitto diventa “socialmente e moralmente ancor più inaccettabile” perché è stato commesso da un profugo iracheno, dice la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia.
.
Evidentemente, non essendo sicura di essere stata sufficientemente chiara, dopo due righe cerca di spiegarsi meglio rincarando la dose: “Riesco a capire – aggiunge – il senso di rigetto che si può provare verso individui che commettono crimini così sordidi” rompendo il “patto di accoglienza” con il nostro paese.
.
Queste scellerate e inaccettabili parole vanno lette tutte assieme, il razzismo è coniugato strettamente alla sua istigazione attraverso una parola precisa: il “rigetto”. Il rigetto è “verso gli individui”, cioè verso persone in carne ed ossa. Non è l’atto odioso l’obbiettivo, è quella persona che l’ha commesso. Ma, e qui la gravità se possibile sprofonda, quella speciale persona è talmente speciale da non avere né un nome, né un cognome. Quella persona è lo straniero, il profugo. Che si permette addirittura di sbagliare, di commettere un delitto.
.
Non so come si possano definire allora quelle parole, se non come un solleticare, e sollecitare, gli istinti più ciechi e violenti in circolazione nel nostro paese.
Ci sarebbe stato da augurarsi, a stretto giro di posta, una dichiarazione di scuse e di ammissione di un grave errore. Invece è arrivato un laconico e glaciale tweet senza nessuna scusa, nessun dispiacere, nessun chiaro rigetto di quelle oscene e violente parole: gli stupri sono tutti uguali ma – viene anzi ribadito – questo è peggio di altri, la rottura di quel patto di cui sopra lo certifica. Non una parola infine sulla “comprensione” del “senso di rigetto”, evidentemente ribadito.
.
Affermare la maggiore gravità di un delitto, nel caso in cui a commetterlo sia un profugo o uno straniero, è un atto di grave discriminazione che internazionalmente si definisce xenofobia, indissolubilmente legata al razzismo quando lo straniero ha caratteri somatici ben identificabili e proviene da terre lontane. Affermare di “capire il senso di rigetto” verso lo straniero è una chiara istigazione al razzismo e alle pieghe violente e intolleranti che sempre più spesso si manifestano nel nostro paese.
.
Ci sarebbe stato da aspettarsi, a questo punto, che il suo partito prendesse nettamente le distanze invitandola ad un gesto pubblico significativo. Ma, fino ad ora, un inquietante silenzio occupa l’agorà.
.
Eppure, nonostante quanto scritto e detto sia già sufficientemente e tristemente chiaro, c’è ancora un aspetto che va considerato. Un aspetto da cui, forse, discende questo modo di parlare, questo singolare approccio alla lingua.
.
Alcuni mesi fa Renzi, nel pieno delle polemiche legate alla sua famiglia, affermò: “Se mio padre è colpevole merita una pena doppia“. Solo in apparenza questo genere di affermazioni potrebbero essere definite delle semplici e innocue spavalderie da “bar”.
Il segretario del PD ha sempre cercato, usando questo linguaggio, di essere percepito come “popolare”, come colui che scende dallo scranno dorato e distante del politico e parla con le espressioni della gente. Chiaro e semplice!
.
Non rendendosi conto che, seguendo questa strada, l’esito più probabile sarebbe stato confondere la chiarezza con la grossolanità e la semplicità con la superficialità. Non rendendosi conto che la chiarezza e la semplicità non hanno alcuna contiguità con il linguaggio che si manifesta nel cosiddetto buon senso del chiacchierare quotidiano, men che meno con le parole che accompagnano la reazione istintiva alle cose che ci succedono. Chiarezza e semplicità sono il frutto del lavoro lungo e difficile per arrivare al cuore di ogni questione. Sono il frutto della riflessione approfondita, delle domande indagate in ogni loro piega, delle verifiche sulle conseguenze delle scelte intraprese. Sono il frutto di ciò che si definisce senso della responsabilità.
.
In realtà l’uso di questo linguaggio ha delle conseguenze ancora più serie. Quando diventa sistematico e perdura nel tempo, soprattutto quando arriva ed emana dai centri del potere, si sedimenta sempre nel profondo, predispone e orienta le persone a un modo di pensare, prefigura sempre lo sviluppo di una cultura.
.
Chiedere l’eventuale pena doppia, addirittura con l’enormità di farlo per il proprio padre, non è stata solo una boutade e non ha mostrato affatto – come voleva essere nei suoi intenti – un rigore e un senso dell’etica più profondo, quella richiesta ha detto molto invece sul concetto di giustizia dell’ex premier. Ha detto di un giustizialismo mascherato e veicolato dal “sentire comune” del momento, come ricordava il ministro Minniti qualche giorno fa. Pena doppia! Dando per implicito, come messaggio di fondo, che le regole del diritto definiscono i rapporti e la convivenza solo se placano, subito, il nostro dolore, la nostra urgenza.

E’ in questo filone, credo, che si possono interpretare anche le parole di Serracchiani, il suo linguaggio. Allo stesso modo, sia pure in maniera più greve e incomparabile, rispetto alle capacità comunicative del segretario, il punto sul quale va a concentrarsi è sempre lo stesso, è il concetto di diritto, di giustizia.
Lo stupro commesso da un profugo rifugiatosi nel nostro paese, dice la presidente del Friuli Venezia Giulia, è più grave perché rompe il patto di accoglienza. E’ più grave dello stupro commesso dal marito? Quel patto d’amore ha un valore minore? E’ più grave dello stupro commesso da un branco di italiani? Il patto di civiltà ha meno valore? Quella moglie e quella ragazza avrebbero una minore ferita, una minore offesa, minore dolore, minore vergogna, minore disperazione in quelle circostanze? Naturalmente no. Ma “oggi” il patto di accoglienza sommuove e confonde la pubblica opinione.La scala delle gravità è una variabile dei tempi.

09 Mag, 2017

Canale di Sicilia mortale: 200 dispersi in due naufragi

Alfredo Marsala, Il Manifesto

Voleva salire su quel maledetto gommone per dare un futuro migliore al bimbo che portava in grembo ormai da nove mesi. Finalmente sarebbe toccato anche a lei dopo mesi di stenti e privazioni nei casermoni lungo la costa libica; al suo fianco il marito. Ma quando tutto sembrava pronto, ecco la tragedia. Quel figlio per il quale aveva deciso di partire è venuto alla luce mentre si trovava in spiaggia; il bimbo c’è l’ha fatta, lei no. E’ morta di parto, mentre il marito, distrutto dal dolore, saliva sul gommone col viso pieno di lacrime, tenendo tra le braccia il neonato.

A raccontare questa straziante storia sono stati alcuni testimoni soccorsi nel Canale di Sicilia, giunti poi a Lampedusa a bordo della «Golfo azzurro» della ong Open Arms, che ha salvato in totale 500 persone, molti siriani, 300 delle quali trasferite poco dopo sulla nave Prudence di Msf sulla quale vi sarebbero il neonato col suo papà, diretta a Crotone. «Ho sentito questo terribile racconto – dice Pietro Bartolo, medico del poliambulatorio di Lampedusa – ma mi sono occupato di un altro bimbo, di appena un mese, che abbiamo trasferito in elisoccorso all’ospedale di Agrigento a causa di una grave crisi respiratoria. In questo sbarco c’erano 15 bambini, molte donne e molti siriani, che hanno ripreso la via di Lampedusa dopo lo scellerato accordo che l’Europa ha fatto con la Turchia. I siriani non si vedevano da tempo e il fatto che siano riapparsi è un segnale che deve far meditare la politica».Nel giro di poche ore sono stati lanciati due allarmi per circa 200 persone disperse in mare. Almeno 113 migranti si sarebbero trovati a bordo di un gommone che si è capovolto al largo di Az Zawiyah, in Libia, ha riferito Flavio Di Giacomo dell’Oim. Gli uomini della guardia costiera libica e alcuni pescatori sarebbero riusciti a salvare solo sette persone, sei uomini e una donna. Secondo i sopravvissuti sul natante si trovavano 120 persone, tra cui 30 donne e 9 bambini.

Sempre al largo della Libia sarebbero dispersi altri 80 migranti, come riferito dai sopravvissuti soccorsi dal cargo danese Alexander Maerks e giunti a Pozzallo (Rg). La tragedia sarebbe avvenuta intorno alle 8 di domenica. Durante la navigazione un gommone con circa 120 persone, probabilmente per l’eccesso di carico, ha cominciato ad imbarcare acqua e si è ribaltato, facendo cadere tutti i migranti in mare. Solo una quarantina di loro è riuscita ad aggrapparsi al natante, rimanendo in acqua per molte ore. Fino a quando non sono riusciti a salire sul mercantile «Maersk».

Il comandante del cargo danese ha confermato il naufragio e ha rivelato che alcuni dei cadaveri sono stati recuperati da un’altra nave impegnata nei soccorsi. Il sostituto procuratore di Ragusa, Marco Rota, ha aperto una inchiesta per naufragio colposo. Accertamenti sono in corso per verificare se il naufragio sia avvenuto in acque libiche o internazionali. Tra i dispersi ci sarebbe anche uno scafista, mentre la polizia sta valutando la posizione di tre persone sospettate di far parte del gruppo alla guida del gommone. Sempre a Pozzallo, la polizia ha arrestato uno dei presunti scafisti dei quattro gommoni, con a bordo 408 migranti sbarcati dalla nave Fiorillo: si tratta di un somalo di 19 anni, Nasrudin I Said, indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Altri scafisti, hanno ricostruito i testimoni, sono rientrati in Libia con un altro gommone dopo avere smontato i motori e lasciato alla deriva i natanti in attesa dell’arrivo dei soccorritori in acque internazionali. In manette anche un marocchino che avrebbe tentato l’ingresso clandestinamente che era destinatario di un ordine di carcerazione per furti e rapine commessi a Padova nel 2013. Rimangono sotto osservazione nell’ospedale di Pozzallo le 20 donne in gravidanze ricoverate due giorni fa, 11 delle quali con minacce di aborto: erano a bordo del cargo danese Alexander Maerks.

Dopo il boom di sbarchi nel weekend (oltre seimila), salgono a 43.245 gli arrivi di migranti nel 2017, il 38,54% in più rispetto al 2016, che alla fine è risultato l’anno record con 181mila stranieri giunti via mare; 5.551 i minori non accompagnati. I richiedenti asilo trasferiti in altri paesi europei secondo il piano della relocation sono 5.415.

06 Mag, 2017

Presentazione proposta di legge contro le discriminazioni di genere

Martedì 6 giugno 2017, ore 19
Gay Croisettes – Via San Giovanni in Laterano (lato Colosseo)

Conferenza stampa di presentazione della proposta di legge regionale

“Nome contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere”

Saranno presenti:
Mario Colamarino, Presidente circolo Mario Mieli

Sebastiano F. Secci, portavoce del Roma Pride

Marta Bonafoni, consigliera regionale di Art. 1 Movimento democratico e progressista

Simone Lupi, consigliere regionale del Pd

21 Apr, 2017

Biotestamento, si può ma con riserva: il medico decide

Eleonora Martini, Il Manifesto

Molte critiche ma anche un ampio consenso. Il testo di legge che introduce le Dichiarazioni anticipate di trattamento è stato licenziato ieri dalla Camera con 326 voti favorevoli e solo 37 contrari. Malgrado i tanti mugugni delle destre e degli oltranzisti pro-life, presenti anche nel centrosinistra ma questa volta messi in sordina. E malgrado gli ultimi “ritocchi” apportati al testo con gli emendamenti presentati dalla maggioranza in Aula nelle ultime ore, dopo 14 mesi di discussione in Commissione Affari sociali, che hanno mandato in aria l’asse Pd-M5S e trovato anche l’opposizione di SI e Mdp.

IERI L’ULTIMO STRAPPO, quando un altro emendamento presentato dal deputato Mario Marazziti (Ds-Cd) passa con la riformulazione suggerita dal relatore di maggioranza Donata Lenzi e depotenzia le Dat che possono essere disattese dal medico che le ritenesse «manifestatamente inappropriate o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente», oppure qualora si fossero rese nel frattempo disponibili nuove terapie.

I deputati a 5 Stelle protestano, per «la forma» e per «la sostanza»: «Sul biotestamento ci siamo confrontati per un anno e mezzo in commissione – scrivono in una nota i membri della Affari sociali – e quindi l’emendamento Marazziti avrebbe dovuto essere oggetto di discussione in quella sede. Invece, è arrivato ieri sera in Comitato dei nove e lì è sostanzialmente passato. Un blitz che appare legato a equilibri politici e non alla qualità del testo. Sottolineiamo come a fronte dell’approvazione di questo emendamento sia stata bocciata la nostra richiesta di dare maggior peso al ruolo del fiduciario del paziente. Purtroppo quanto avvenuto è un compromesso al ribasso che rende le Dat suscettibili di interpretazioni». Un emendamento, questo, che è stato bocciato anche da Sinistra italiana: «Questa norma insieme a quella approvata mercoledì, che scarica i medici dall’obbligo professionale di soddisfare le richieste del malato, sono due paletti importanti alla volontà del paziente – afferma la deputata Beatrice Brignone -. E la cosa grave è che questi puntelli sono arrivati all’improvviso in Aula, pur avendo avuto molti mesi a disposizione».

Il M5S, che aveva presentato un emendamento per legalizzare l’eutanasia approvato anche da SI, ha comunque votato a favore del testo finale, considerando la legge, alla fin dei conti, un «atto di civiltà». Si sono schierati contro invece Lega Nord, Ap, Fdi e Forza Italia che però ha lasciato ai suoi deputati libertà di coscienza. Ora il testo passerà all’esame del Senato, dove in molti sperano (con poco realismo, per via di una maggioranza ben più risicata) che possa essere migliorato.

NEI SEI ARTICOLI della legge sul fine vita viene normato il consenso informato, stabilito il diritto del paziente a rifiutare e revocare ogni trattamento sanitario, compresi nutrizione e idratazione artificiale, vietato l’accanimento terapeutico, concessa la possibilità ai medici di somministrare la sedazione continua profonda, se richiesta. Le Dat possono essere redatte anche con scrittura privata, ma dovranno essere autenticate davanti a un notaio o a un pubblico ufficiale. Non è stato istituito un Registro nazionale delle Dat per mancanza di copertura rilevata dalla Commissione Bilancio.

E fin qui, diciamo tutto bene. Il problema dei problemi sta però nel rischio che le Disposizioni anticipate diventino carta straccia nel momento in cui chi le ha redatte non sia più in grado di intendere e volere. Innanzitutto perché si istituzionalizza l’obiezione di coscienza che, seppur controbilanciata dall’obbligo per la struttura sanitaria di rispettare le volontà del paziente, rischia inevitabilmente di rendere inapplicabile il «testamento biologico». Si potrà indicare un fiduciario, una persona che si relazionerà con il medico e con le strutture sanitarie al posto del malato, ma l’ultima parola, in ogni caso, l’avrà sempre il medico, che applicherà le Dat solo se le riterrà «appropriate».

LUCI E OMBRE, DUNQUE. Gioisce invece il Pd al completo. E la Cgil saluta la nuova legge come «un passo in avanti sostanziale verso il rispetto della volontà dei pazienti e la dignità del fine vita. La risposta del Parlamento ad un obbligo costituzionale che diventa obbligo anche per il Sistema sanitario nazionale». Tutti chiedono che il testo passi ora, senza indugi, «subito al Senato».

19 Apr, 2017

Mozione di maggioranza per sostegno a Gabriele Del Grande

“Abbiamo sostenuto e sottoscritto la mozione di maggioranza che oggi l’aula del Consiglio regionale discuterà per dare supporto al giovane giornalista Gabriele Del Grande, recluso nelle carceri turche, senza reale motivo.

In questi dieci giorni di carcere a Gabriele è stato impedito di telefonare, nominare un avvocato e addirittura conoscere il motivo del fermo. Da oggi è iniziata la battaglia, che è anche la nostra, per il riconoscimento dei diritti minimi di una persona. Lo sciopero della fame che Del Grande ha iniziato deve essere accompagnato da una presa di posizione netta nei confronti del Governo turco da parte di tutti i livelli, politici, istituzionali e sociali.

Non dobbiamo permettere che Gabriele, come i tanti giornalisti detenuti in Turchia, restino senza voce e isolati in un paese che pare abbia smarrito la direttrice democratica”.

A dichiararlo sono Gino De Paolis, Marta Bonafoni, Daniela Bianchi, Rosa Giancola e Riccardo Agostini, Consiglieri Mdp alla Regione Lazio

19 Apr, 2017

Del Grande in sciopero della fame in un carcere turco

 

Il Manifesto

«Sto bene, non mi è stato torto un capello ma non posso telefonare, hanno sequestrato il mio cellulare e le mie cose, sebbene non mi venga contestato nessun reato». La prima telefonata di Gabriele Del Grande, il giornalista italiano fermato in Turchia durante un controllo di polizia nella provincia sudorientale dell’Hatay al confine con la Siria e trattenuto in un centro di detenzione amministrativa da domenica 9 aprile fino a ieri senza possibilità di contatto con l’esterno è arrivata solo ieri. «Da stasera inizio lo sciopero della fame e invito tutti a mobilitarsi per chiedere che vengano rispettati i miei diritti», ha annunciato chiamando la sua compagna e alcuni amici.

La telefonata è comunque stata concessa sotto stretta sorveglianza. «Sto parlando con quattro poliziotti che mi guardano e ascoltano», ha riferito infatti. «Mi hanno fermato al confine, e dopo avermi tenuto nel centro di identificazione e di espulsione di Hatay, sono stato trasferito a Mugla, sempre in un centro di identificazione ed espulsione, in isolamento. I miei documenti sono in regola ma non mi è permesso di nominare un avvocato, né mi è dato sapere quando finirà questo fermo – ha aggiunto – La ragione del fermo è legata al contenuto del mio lavoro. Ho subito interrogatori al riguardo. Ho potuto telefonare solo dopo giorni di protesta».

Gabriele Del Grande, 35 anni, è reporter e documentarista. Fondatore dell’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione «Fortress Europe», nel 2014, insieme ad Antonio Augugliaro e Khaled Soliman Al Nassiry, ha realizzato il documentario «Io sto con la sposa» che racconta la vera storia di cinque profughi palestinesi e siriani, sbarcati a Lampedusa, che per arrivare in Svezia mettono in scena un finto matrimonio. Finanziato con il crowdfunding, il film è stato presentato alla Mostra del cinema di Venezia, sezione Orizzonti.

Sempre attraverso il crowdfunding stava realizzando un altro progetto, una serie di interviste ai profughi di guerra siriani per il libro «Un partigiano mi disse», descritto nella presentazione come un’opera «sulla guerra in Siria e la nascita dell’Isis raccontate attraverso l’epica della gente comune in un intreccio di geopolitica e storytelling».

Ieri dopo l’annuncio dell’inizio dello sciopero della fame di Del Grande il presidente della Commissione per i diritti umani Luigi Manconi ha incontrato a porte chiuse per un’ora l’ambasciatore turco a Roma, mantenendo il massimo riserbo sul contenuto del colloquio.

18 Apr, 2017

Braccia nere, contributi bianchi

Alessandro Tricarico, Il Manifesto

È passato poco più di un mese dallo sgombero del Ghetto di Rignano, anche se sembra che da queste parti non sia cambiato nulla: tutte le mattine decine di migranti sulle loro pesanti biciclette in ferro partono per andare al lavoro nei campi. Li incontriamo costeggiando gli immensi campi di grano che si inchinano al passare del vento, immagine simbolo dell’agricoltura di queste zone al pari dei suoi ulivi nodosi. Poco più avanti, quando lo sterrato lascia spazio all’asfalto, scorgiamo altri banchi di ciclisti, con telai in carbonio e tute dai colori cangianti. Ci rendiamo conto di aver appena attraversato un confine immaginario.

LA MARCIA Siamo diretti a Borgo Mezzanone, frazione del comune di Manfredonia. Oggi c’è la marcia No-Caporalato promossa da Leonardo Palmisano insieme ad un gruppo di scrittori e intellettuali. Il luogo dell’incontro è simbolico, in questa piccola frazione a vocazione agricola, oltre al Cara, esistono due ghetti divisi per provenienza: quello detto «dei bulgari» e la pista di decollo del vecchio aeroporto che ospita le baracche degli africani. In quest’ultimo la presenza di migranti provenienti dal Ghetto di Rignano è aumentata dopo lo sgombero. Come anche i furgoncini dei caporali e lo sfruttamento della prostituzione. Tra le tante sigle che hanno aderito a questa marcia troviamo Amnesty, Migrantes, Granoro e Lega Coop Puglia. Ci sono anche dei ragazzi di Libera arrivati da Torino. La richiesta principale è l’aumento di controlli da parte dell’ispettorato del lavoro, così da garantire un regolare contratto a chi realmente coltiva la terra.

STORIA DI MUSTAFA Mustafa trentenne somalo, ci racconta che nonostante sia stato assunto con un regolare contratto agricolo, gli sono state dichiarate all’Inps soltanto 5 giornate di lavoro a fronte di un mese di raccolta. Chiediamo a Mustafa come mai, lui alza le spalle in segno di resa: da queste parti funziona così. Complice anche la legge che permette alle aziende agricole di aggiornare trimestralmente il registro d’impresa. Decidendo, ad esempio, quante giornate attribuire a ciascun lavoratore solo a raccolta finita, con tutte le ingiustizie e i ricatti che ne conseguono. (Legge 28 novembre 1996, n. 608)

Infatti, secondo il segretario provinciale della Cgil Daniele Calamita «la compravendita delle giornate agricole è una pratica ancora presente. Tra le cause principali troviamo la disoccupazione dilagante che attanaglia la nostra provincia e un mancato sviluppo territoriale partecipato. Purtroppo viviamo in un clima di totale illegalità». Stando alle tabelle Inps sul lavoro agricolo, nel 2015 la percentuale di lavoratori italiani dichiarati nell’agro di Foggia aumenta con l’aumentare delle giornate lavorative, mentre il numero dei lavoratori africani diminuisce: gli italiani con meno di 10 giornate lavorative sono il 16,19%, percentuale che cresce al 66,33% quando le giornate dichiarate sono più di 51, limite minimo annuale per accedere ai sussidi. Mentre la percentuale di lavoratori stranieri passa dal 31,85% (10gg) al 5,17% (51gg).

FALSI BRACCIANTI Questi dati, però, sono facilmente confutabili passeggiando nelle campagne foggiane durante i periodi di messa a dimora delle piante stagionali o durante la raccolta. Il meccanismo è semplice e rodato: un imprenditore utilizza manodopera in nero – spesso stranieri sprovvisti di documenti – attraverso il caporale, vendendo a sua volta il requisito contributivo, al costo di 15-20 euro per giornata di lavoro, a suoi parenti o amici, oppure a estranei, questi ultimi tramite i consulenti del lavoro o dipendenti di associazioni di categoria. I finti braccianti si versano a loro volta i contributi necessari per poter ricevere l’assegno di disoccupazione, malattia, maternità e benefit familiari. Due mesi di finto lavoro seguiti da reali assegni di disoccupazione.

C’è persino chi ha creato finte aziende agricole con l’obiettivo di vendere giornate di lavoro. Tutti lo sanno e a tutti sta bene. Un dipendente di una delle principali associazioni di categoria, che preferisce restare anonimo, lo conferma: «Qui in ufficio ho la fila di persone che vorrebbero comprare le giornate di lavoro per le loro mogli o i loro figli», una pratica più che usuale, «pensa che delle circa 200 aziende che seguo, negli ultimi 2 anni solo tre hanno ricevuto dei controlli dall’ispettorato del lavoro e in nessuna di queste sono state rilevate anomalie».

Avere un ghetto dal quale attingere braccia a basso costo gioca a favore di questa logica perversa. A ciò va aggiunta la sudditanza psicologica e linguistica dei lavoratori africani, dovuta alla ghettizzazione e alla mancanza di reti relazionali al di fuori di esso. Una subordinazione molto preziosa per le aziende e i caporali che fanno affari alle loro spalle.

Radere al suolo i ghetti non serve a niente se al contempo non si riesce a capire che il fulcro del problema è all’interno dei meccanismi di assunzione. Nel 2014 Guglielmo Minervini lo aveva intuito. Con il progetto «Capo free-Ghetto out» mise a disposizione 800.000 euro da utilizzare come incentivo per le aziende che assumono lavoratori stranieri: 500 euro per ogni assunzione non inferiore a 156 giornate lavorative nel biennio oppure 300 euro per ogni assunzione sotto le 20 giornate. Gran parte di quei soldi (circa 700.000 euro), a distanza di 3 anni, sono ancora lì. Quasi nessuna impresa ha beneficiato dei fondi per paura di essere mappata e vedersi costretta, in futuro, a regolarizzare i migranti anche dopo l’esaurimento degli incentivi.

Nel frattempo, nelle due strutture messe a disposizione dalla regione, casa Sankara e masseria Arena, le giornate trascorrono lentamente e i ragazzi bivaccano in attesa che qualcuno decida di attingere alle liste di lavoro. Alcuni di loro si sono organizzati e hanno già chiamato il loro caporale, magari riducendosi lo scarno salario pattuito a causa del rischio e delle distanze che il caporale è obbligato a percorrere. Anche se per pochi soldi, meglio lavorare che vagare nel nulla. Difatti i furgoncini arrugginiti con targhe dell’Est Europa transitano tranquillamente davanti a questi centri, presidiati, nel migliore dei casi, da un paio di volontari della protezione civile.

I FALSI AMICI Anche se il ghetto fisicamente non c’è più, il sistema di accoglienza e smistamento lavorativo che si è generato al suo interno negli ultimi 15 anni ne esce indubbiamente rafforzato. Molti lavoratori migranti hanno trovato in queste baracche una società disposta ad accoglierli, a dar loro un lavoro. Spesso per i più giovani che non parlano italiano, il caporale e la maman nigeriana sono gli unici punti di riferimento. Soprattutto se in alternativa c’è la mancata accoglienza da parte di una Foggia sempre più intollerante e xenofoba, che crea così condizione di inferiorità sociale e di emarginazione.

STORIA DI KEITA Un esempio è il maliano Keita Haroun, arrivato in Italia nel 2011 e da allora residente del ghetto; in un ottimo inglese dice, con fierezza, di essere l’unico barbiere della baraccopoli. Scorre sul suo telefono le foto dei suoi clienti: teste rasate con motivi tribali disegnati in bassorilievo sul cuoio capelluto. Non parla né capisce una sola parola di italiano, questo perché in 6 anni non ha mai avuto necessità di spostarsi dal ghetto. Lì aveva un negozio che gli permetteva di vivere dignitosamente e, pagando una tangente, era sicuro che fosse l’unico a fornire quel tipo di servizio.

Lui, come tanti, in questo luogo ha trovato il proprio lavoro che nulla ha a che vedere con l’agricoltura, contribuendo alla creazione di una vera e propria borgata con tutti i tipi di servizi: dal meccanico al macellaio, dall’emporio al bar. Tutto questo in una zona franca con le mille sfumature di illegalità che ne conseguono.

12 Apr, 2017

Lager e prigioni segrete contro i gay in Cecenia. “Intervenga l’Europa”

Rosalba Catselletti, La Repubblica

Rastrellati, detenuti e torturali in speciali prigioni-lager o uccisi dai loro stessi familiari: in Cecenia basta il sospetto dell’omosessualità per essere trattati come “cani che non hanno il diritto di vivere”. Il giornale indipendente Novaja Gazeta copre la piccola regione caucasica da oltre 25 anni e ha numerose fonti.

Anna Politkovskaja e molti altri suoi giornalisti sono stati uccisi per i loro reportage. Perciò, quando lo scorso primo aprile, Elena Milashina ha pubblicato l’inchiesta “Delitto d’onore” sulle detenzioni di centinaia di uomini gay e, in almeno tre casi, uccisioni come parte di una strategia di “pulizia preventiva”, nessuno ha messo in dubbio l’autentic ità delle testimonianze raccolte.

31 Mar, 2017

Migranti, la schizofrenia del governo sui diritti umani

Raffaele  K. Salinari*, Il Manifesto

Un colpo al cerchio e uno alla botte: la contemporanea approvazione al Senato del Decreto legge Minniti-Orlando, e della nuova normativa di protezione per i Minori stranieri non accompagnati (Misna), prima firmataria l’On. Sandra Zampa del Pd, introduce per legge una schizofrenia in materia di rispetto dei Diritti umani che suscita non poche preoccupazioni. Da una parte, infatti, il decreto costruisce e costituisce una serie di procedure decisamente contrarie al fondamento giuridico irrinunciabile per ogni Diritto che sia erga omnes, e dunque democratico, cioè il principio costituzionale: la legge è uguale per tutti.

Dall’altra il nostro Paese si mette in condizioni, finalmente, di tradurre in legge ciò che ha approvato, sottoscritto e ratificato già nel lontano 1989 con la Convenzione Onu sui Diritti dei minori.

La contraddizione tra le due normative è talmente palese da creare una schizofrenia tale da compromettere il sistema giuridico nel suo complesso. Il Decreto, lo hanno detto sia associazioni, sia giuristi, tratta i migranti come esseri umani diversi, che non hanno il diritto a poter seguire le stesse norme previste per i cittadini a parte intera. A queste persone viene così, di fatto, amputata una parte di umanità.

Attraverso la riduzione dei gradi di giudizio, infatti, è come se alla loro «nuda vita», alla loro dignità, per usare delle categorie biopolitiche care a Foucault, venisse attribuita una scadenza, una sorta codice a barre impresso sui corpi al momento del loro arrivo, un marchio innessivo il loro stesso status di richiedenti asilo, creando così una condizione che deve essere evasa velocemente perché la garanzia che li mantiene nel novero degli umani scade, e dunque la merce va restituita velocemente al mittente. Ma a parte la riduzione dei gradi di giudizio, è la logica del «respingimento comunicativo» che pesa oltremodo su queste nuove procedure.

Si antipatizza con i richiedenti asilo sin da subito, non solo mettendoli in Centri creati appositamente per seguire la nuova normativa anticostituzionale, ma facendogli capire che sono strutture il cui scopo non è sostenere il loro diritto ad avere uno status che gli sarebbe dovuto per il solo fatto di essere arrivati sin qui fuggendo a costo della vita le loro situazioni d’origine, bensì che dovranno essere loro a fornire l’onere della prova, sottoponendoli ad una giustizia contra reo che li ritiene colpevoli di truffa ai danni dello stile di vita nazionale, sino a che non siano in grado di dimostrare la verità della loro condizione umana.

È evidente, e se ne sono accorti anche i Senatori – che comunque hanno risposto al vecchio adagio Senatori probi viri Senatus mala bestia – che introducendo una forma parallela di giustizia, tribunali speciali inclusi, si costituisce un piano inclinato che potrebbe includere nella sua logica altri settori e fasce sociali rispondenti, un domani, agli stessi criteri di umanità dimezzata o problematica, non da espellere magari, ma da confinare in strutture segregate.

Certo una nota positiva resta l’approvazione sulla protezione dei Minori non accompagnati. Solo una osservazione a questo proposito: le associazioni che hanno sostenuto la legge, e fornito ai legislatori le esperienze concrete su cui basarsi, hanno sempre fatto rilevare che, in materia di Diritti umani, e di minori in particolare, bisogne essere non solo giusti, ma anche lungimiranti: accogliere e rispettare oggi il diritto di un bambino, significa domani crescere un cittadino democratico e rispettoso di quelle stesse regole di convivenza civile che lo hanno voluto tale, senza nessuna distinzione.

*Presidente Terre des Hommes