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La portata enorme e dirompente dell’inchiesta sulla “Mafia Capitale” venuta alla luce in queste ore, merita un’attenzione e un approfondimento da parte della politica senza precedenti, così come senza precedenti è il quadro di sistema che esce dall’ordinanza.

Il lavoro che il Procuratore Pignatone e il suo pool hanno scritto nero su bianco da una risposta definitiva alla domanda che da troppo tempo non trovava una risposta nella nostra città. A Roma la mafia esiste? Da ieri sappiamo che è così: a Roma la mafia c’è, gode di un patrimonio “relazionale” che le viene portato dall’essere Capitale d’Italia, e quindi scena in cui si muovono politici, imprenditori, professionisti, è una mafia originale e originaria che non ha l’accento meridionale e la “coppola”, come erroneamente qualcuno ancora pensava, ma ha le facce e il portamento anche dei colletti bianchi, vede uno accanto all’altro un’estremista di destra e pezzi delle cosiddette cooperative rosse, siede da pari a pari al tavolo con le altre mafie.

C’è una cosa che colpisce ancora di più, poi, nelle intercettazioni che leggiamo sui giornali. L’assalto alla “cosa pubblica” dei predoni criminali, avveniva sulla pelle degli ultimi, dei poveracci: i rom, i rifugiati, i minori non accompagnati. E a leggerli i filoni su cui gli affari della Mafia Capitale si concentravano mettono i brividi: i rifiuti, i campi rom, i residence per i richiedenti asilo. Emergenze vecchie e nuove che ora cominciamo a capire perché non sono mai state risolte: avrebbero affamato la macchina del sistema criminale.

Di fronte a questa realtà che è piombata davanti ai nostri occhi con l’inchiesta della Procura di Roma, la politica deve essere in grado di dare risposte nuove, forti, determinate: sciogliere i nodi del sistema alla base, operare con sempre maggiore trasparenza nei bandi, nelle nomine, negli appalti. Interrompere definitivamente il “business della disperazione” dando risposte sul piano dei diritti.

Su tutto, e sulle vicende personali degli indagati, vige per quanto mi riguarda il rispetto di procedimenti aperti, il garantismo di chi dice che le inchieste non sono sentenze, l’auspicio che l’iter della giustizia sia il più veloce possibile. Per chiarire, e per permettere a chi coinvolto ed estraneo, di difendersi nel migliore e più efficace dei modi.

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