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21 Feb, 2014

Mozione ius soli

Conferimento della cittadinanza onoraria ai minori, figli di genitori stranieri, nati e cresciuti nei Comuni del Lazio

Premesso che

– il tema del conferimento della cittadinanza agli immigrati, in particolar modo a quelli di seconda generazione, nati e cresciuti in Italia al pari dei figli dei cittadini italiani con cui quotidianamente vivono e crescono, è argomento ormai non più rinviabile non fosse altro per le dimensioni demografiche che ha assunto;

– nella Convenzione Europea sulla Nazionalità, conclusa fra gli Stati membri del Consiglio d’Europa il 6 novembre 1997, ancora in attesa di essere ratificata dal nostro Paese, è previsto che ciascuno Stato, nell’ambito del diritto domestico, faciliti l’acquisizione della cittadinanza per le persone nate nel territorio e ivi domiciliate legalmente ed abitualmente;

– va data piena applicazione alle finalità della L.R. 14 Luglio 2008, n. 10, Disposizioni per la promozione e la tutela dell’esercizio dei diritti civili e sociali e la piena uguaglianza dei cittadini stranieri immigrati.

Considerato che

– a partire dalle due proposte di legge lanciate dalla  campagna “L’Italia sono anch’io” in cui 22 grandi e autorevoli organizzazioni della società civile hanno raccolto firme per dimostrare come siano maturi i tempi per una radicale riforma delle leggi relative al conferimento della cittadinanza, che ormai risalgono al 5 febbraio 1992 (legge 91) ancora basate sullo ius sanguinis;

– il Parlamento è attualmente impegnato per definire una nuova disciplina in materia di cui presto si dovrà discutere in aula;

– numerosi Comuni e Province hanno già conferito la cittadinanza onoraria a minori nati o cresciuti in Italia dimostrando di voler anche formalmente prendere atto delle profonde modificazioni sociali e strutturali intervenute grazie ai processi migratori di cui è stato investito il Paese intero.

Rilevato che

– l’articolo 3 della Costituzione Italiana stabilisce che tutti i cittadini hanno parità e dignità sociale e che sono uguali davanti alla legge senza discriminazioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali;

– a livello europeo l’Italia possiede la legislazione più restrittiva in materia di accesso alla cittadinanza, soprattutto se confrontata con quella di Paesi come Germania, Francia, Spagna, Irlanda e Belgio;

– i minorenni nati o cresciuti nella regione Lazio ammontano secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno a quasi 66 mila unità che frequentano ormai abitualmente le scuole e gli istituti di formazione esistenti;

– Milano,Torino, Bologna, Napoli, Pordenone, Crotone, Catanzaro, Perugia, Savona, Arezzo, Cremona, Ferrara, Salerno, La Spezia: sono soltanto alcuni degli oltre 160 Comuni che negli ultimi mesi hanno voluto anticipare la riforma della legge sulla cittadinanza – da tutti questi consigli comunali definita anacronistica – stabilendo che tutti i bambini sono cittadini, a prescindere dalla provenienza;

– l’elenco si allunga di settimana in settimana e include intere province come Pesaro-Urbino, Grosseto, Ravenna, Piacenza, Livorno e centri più piccoli come Sesto San Giovanni, Aversa, Cantù, Scandicci, Nichelino, Sant’Arcangelo di Romagna.

Impegna il Presidente della Regione Lazio e la Giunta

– a verificare quanti Comuni del Lazio si siano dotati di un regolamento per il conferimento della cittadinanza onoraria;

– a verificare quanti Comuni del Lazio abbiano già conferito la cittadinanza onoraria ai minori stranieri nati in Italia;

– a proporre a tutti i Comuni compresi nella Regione Lazio che ancora non lo hanno fatto, a promuovere iniziative atte a conferire la cittadinanza onoraria ai minori nati in Italia e a far sentire, almeno simbolicamente, i minori immigrati più favorevolmente accolti in funzione di migliori e più condivisi processi di inserimento sociale;

– a far sì che tale processo, che va compiuto in tempi rapidi, porti a definire nell’intero territorio regionale, una politica di accoglienza fondata sulla parità dell’accesso ai diritti.

14 Feb, 2014

Cie Ponte Galeria: il rimpatrio dei cittadini che si cucirono la bocca conferma la crudeltà di queste “carceri abusive”

Il peggior segnale che poteva arrivare dal Cie a poche ore dalla manifestazione di domani. Davvero un pessimo preludio, mentre movimenti e associazioni si stanno organizzando dietro lo slogan del corteo “Mai più Cie, chiudiamo Ponte Galeria” fatto mio anche nella mozione presentata in Consiglio regionale.

La notizia del rimpatrio nel loro paese per i 15 cittadini nordafricani, che a dicembre si cucirono le bocche in segno di protesta contro le condizioni in cui erano costretti a vivere, segna un’evoluzione tutta in negativo della questione Cie, sulla quale esprimo tutto il mio disaccordo e biasimo.

I protagonisti di quella dolorosa ed estrema protesta messa in atto per attirare l’attenzione del mondo al di la’ delle “porte ingiustamente serrate” del Centro, non solo non sono stati ascoltati, non solo non hanno ricevuto risposte concrete, ma vengono oggi rimpatriati senza nessuna considerazione del viaggio di dolore, sacrifici e pericoli che hanno dovuto affrontare per arrivare in Europa.

Neppure il gran clamore suscitato dal loro appello al Papa, neppure la considerazione in cui il Presidente della Repubblica Napolitano ha tenuto la loro lettera, sono riusciti a bloccare un tritacarne burocratico-legalitario, che incurante delle drammatiche storie personali di questi uomini e donne ingiustamente reclusi nei Cie, continua a trattarli alla stregua di pacchi postali da rispedire al mittente.

06 Feb, 2014

Ponte Galeria, parlano i reclusi del Cie: “Neanche il papa ci ascolta”

Ponte Galeria è una località suburbana a nord ovest della Capitale, stretta tra il raccordo e la Roma-Fiumicino. Qui sorge l’omonimo Cie. Una gabbia a cielo aperto, circondata da una rete, un fossato, un muro di cinta e ancora sbarre di metallo per impedire agli “ospiti” di fuggire. Già dall’esterno è difficile avere dubbi sulla natura detentiva della struttura, entrandoci non si può che confutarlo.
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05 Feb, 2014

Al CIE di Ponte Galeria rassegnazione e attesa per le risposte del Governo

Con le bocche scucite, ma ancora con la disperazione negli occhi. Questa mattina sono tornata nel Cie di Ponte Galeria per accertarmi delle condizioni dei migranti trattenuti nel centro, ormai a tre giorni dalla sospensione della protesta che aveva visto nuovamente 13 ragazzi cucirsi la bocca, rifiutare i pasti e saltare le visite mediche contro la loro condizione detentiva.

La loro protesta si è effettivamente interrotta ma le loro condizioni non sono affatto migliorate e la loro denuncia non è affatto venuta meno. Sono stati loro stessi a confermarcelo: “Ci siamo scuciti la bocca perché sfiniti, stanchi, alcuni di noi anche malati. Ma abbiamo sospeso la protesta anche per via della nostra rassegnazione, perché nulla sta cambiando dentro il Cie”. “Chiediamo la grazia – ha sintetizzato uno di loro – ci aspettiamo l’intervento di Napolitano, un segnale da Papa Francesco”.

Anche al Cie tra l’altro l’alluvione ha lasciato il segno: sempre secondo i racconti dei ragazzi nei giorni scorsi l’acqua scendeva dal soffitto delle stanze e nei bagni c’era solo acqua fredda. Per il resto questa mattina al Cie la vita quotidiana degli 80 trattenuti (63 uomini e 17 donne) scorreva come da routine, tra convalide, colloqui, visite mediche. Una routine fatta però da sbarre e porte chiuse dietro le quali stazionano anche per mesi cittadini stranieri che spesso non hanno compiuto alcun reato.

Per questo sono uscita dalla visita di questa mattina ancor più persuasa dalla necessità di superare la legge Bossi-Fini e di chiudere i Cie, istituzioni detentive irriformabili. Rinnovo infine l’auspicio che la mozione già depositata in Consiglio Regionale e firmata da tutti i capigruppo di maggioranza arrivi al più presto all’attenzione e al voto dell’aula della Pisana anche in vista del corteo no Cie del 15 febbraio prossimo, manifestazione alla quale parteciperò anche io.

27 Gen, 2014

Subito in Consiglio Regionale la mozione per la chiusura dei CIE

La notizia della nuova protesta partita nel Cie di Ponte Galeria, dove 13 persone provenienti da Lampedusa si sono cucite le labbra, mi addolora ma non mi sorprende. Gia’ sul finire dell’anno scorso avevamo avvertito di come la protesta sarebbe potuta riprendere da un momento all’altro, in assenza di novita’ per la condizione dei detenuti nel Cie.

Cosi’ e’ accaduto: a quanto apprendiamo infatti 7 dei ragazzi che si sono cuciti la bocca oggi sono gli stessi che hanno messo in scena la protesta che si e’ tenuta pochi giorni prima di Natale.
E’ una volta di piu’ grave che, per ottenere di nuovo attenzione, dei ragazzi rinchiusi all’interno di quella struttura debbano esternare una richiesta d’aiuto attraverso gesti clamorosi come il cucirsi le labbra e rifiutare il cibo. E dover tornare a farlo per chiederci di intervenire subito.

Nel mio sopralluogo di dicembre scorso ho constatato che in quel luogo le condizioni di vita sono inumane e ho subito presentato una mozione, sottoscritta dalla maggioranza tutta. Nel documento si chiede al Governo la radicale modifica delle norme su l’immigrazione con il definitivo superamento della legge Bossi-Fini, e per quanto riguarda “La Lampedusa della Regione Lazio” di operare un monitoraggio per garantire ai migranti trattenuti condizioni di dignità, di rispetto del diritto alla difesa legale e alla salute ma anche l’impiego di risorse per evitare ulteriori motivi di sofferenza.

Inoltre, si chiede formalmente al Governo, visti i costi esosi e l’inadeguatezza dell’edificio che ospita il Cie, la chiusura del centro di Ponte Galeria. Il Parlamento ora deve provvedere con urgenza ad approvare le norme necessarie affinchè si possa mettere la parola fine a situazioni drammatiche che fanno notizia ma poi restano tali. La politica non può più permettersi lentezze e negligenza di fronte alla vita e alla dignita’ delle persone, di tutte le persone.

Per questo mi auguro che la mozione che ho presentato possa essere discussa e approvata quanto prima dal Consiglio regionale del Lazio.

23 Gen, 2014

Mai più CIE. Assemblea Pubblica

Mercoledì 5 febbraio, ore 17.00
Nuovo Cinema Palazzo
Piazza dei Sannitit – Roma

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Mai più CIE

In vista dell’appuntamento di sabato 15 febbario – che chiederà a gran voce la chiusura del CIE di Ponte Galeria e di tutti gli altri Centri, dove migliaia di persone vengono detenute senza aver commesso alcun reato e dove i diritti fondamentali vengono quotidianamente calpestati – mercoledì 5 febbraio alle 17:00 ospiteremo un’assemblea pubblica per costruire insieme la manifestazione.
Di seguito l’appello delle Reti Antirazziste e dei Movimenti per il diritto all’abitare.

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Mai più CIE – Diritti e accoglienza per tutti
Sabato 15 febbraio 2014 corteo al Centro d’Identificazione ed Espulsione di Roma-Ponte Galeria

Dopo le mobilitazioni dell’autunno per casa e reddito, la Roma Meticcia è tornata in piazza il 18 dicembre. Un corteo numeroso e determinato ha attraversato le strade della capitale nella “giornata internazionale dei migranti” per chiedere una legge organica che garantisca il diritto d’asilo, la chiusura dei CIE, un’accoglienza dignitosa contro il business delle cooperative a partire dal diritto all’abitare e l’abrogazione di tutti i provvedimenti legislativi in materia di immigrazione che minano la libertà e il diritto di scelta delle persone a muoversi e risiedere dove meglio credono. La mobilità transnazionale dei migranti sfida infatti le politiche neoliberali di austerity e confinamento, ponendo il tema della costruzione di un nuovo modello sociale, di una diversa modalità di vita in comune, che forza gli angusti confini degli stati nazionali ed al tempo stesso le retoriche bipartisan dell’accoglienza e del multiculturalismo.

Mentre da piazza del Popolo qualche “forcone” rivendicava una “soluzione italiana” alla crisi, noi affermavamo con determinazione che “le lotte contro l’austerità non hanno frontiere”. Pochi giorni dopo in diversi nodi decisivi del sistema di governo dei flussi migratori esplodevano proteste auto-organizzate. A Mineo, nel CARA più grande d’Italia, i richiedenti asilo riprendevano la mobilitazione contro le condizioni di vita indegne e i tempi di attesa infiniti. A Lampedusa, i migranti intrappolati sull’isola e trattati come animali nel Centro di Prima Accoglienza chiedevano dignità e il trasferimento immediato. A Ponte Galeria, numerosi reclusi si cucivano la bocca e iniziavano uno sciopero della fame contro una detenzione ingiusta e illegittima e per la liberazione di tutti i migranti imprigionati nei Centri di Identificazione ed Espulsione.

Anche nel dibattito politico le questioni connesse con le migrazioni e con il carattere meticcio della nostra società sono all’ordine del giorno dall’inizio dell’autunno appena trascorso. Da una parte, la Lega Nord e le formazioni neofasciste continuano a usare il colore della pelle di un ministro per promuovere una campagna razzista e dare visibilità alle posizioni anti-immigrati. Dall’altra, dopo ogni nuova strage in mare o “scandalo” sulla gestione dei CIE, i partiti di governo si lanciano in false dichiarazioni d’intenti, senza avere in realtà intenzione di modificare le politiche di controllo dell’immigrazione, se non in senso peggiorativo o per operazioni di facciata. La questione del reato di clandestinità e l’emendamento ipocrita appena approvato al Senato sulla materia ne sono l’ultima dimostrazione.

In questo contesto, crediamo necessario mobilitarci per rivendicare dal basso una radicale trasformazione delle leggi che governano la vita di migliaia di cittadini migranti. In continuità con le proteste degli ultimi mesi dentro e fuori i CIE, chiediamo l’immediata chiusura di questi lager, dove migliaia di persone vengono detenute senza aver commesso alcun reato, dove i diritti fondamentali vengono calpestati quotidianamente. I CIE costituiscono uno degli ingranaggi del sistema di governo dei flussi migratori, che rende la popolazione migrante illegale e ricattabile, ai fini dello sfruttamento nel/del lavoro e nella/della vita e della collocazione in un ruolo subalterno nella società. I CIE hanno un costo umano e un costo economico – di soldi pubblici – che non abbiamo più intenzione di pagare.

Al momento, oltre la metà dei CIE italiani sono stati chiusi grazie alle rivolte e alle proteste che li hanno interessati. È arrivato il momento di chiudere anche Ponte Galeria! Proprio oggi i cittadini migranti detenuti in quel luogo si sono cuciti nuovamente la bocca, ricominciando lo sciopero della fame: perché le promesse fatte dai rappresentanti delle istituzioni dopo la protesta di dicembre non sono state mantenute, perché i CIE non si possono riformare ma vanno chiusi per sempre. Vogliamo sostenere questa mobilitazione, aprendo una campagna condivisa e includente per mettere fine all’orrore di Ponte Galeria. Vogliamo farlo con i migranti auto-organizzati delle occupazioni, i movimenti per il diritto all’abitare, le reti e le associazioni anti-razziste, le comunità straniere e tutti coloro che credono che non debba esserci alcuno spazio per i CIE e per le leggi discriminatorie.

Vogliamo avviare questa campagna nel mese di febbraio, anche verso un 1 marzo di mobilitazione meticcia che non lasceremo alle passerelle dei politici, recuperandone il significato originario della partecipazione e della pratica dei diritti messa in atto dai migranti.

Invitiamo tutti e tutte a partecipare a un’assemblea pubblica mercoledì 5 febbraio alle ore 17.00 al Nuovo Cinema Palazzo, per discutere insieme della campagna che ci porterà il 15 febbraio in corteo a Ponte Galeria per dire “mai più CIE” e “diritti e accoglienza x tutti”.

Reti antirazziste
Movimenti per il diritto all’abitare

#NOcie #FacciamoliUscire #RomaMeticcia

Mercoledì 5 febbraio h. 17:00
Assemblea pubblica
Nuovo Cinema Palazzo

Sabato 15 febbraio h.15:00
CORTEO AL CENTRO D’IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE DI ROMA
#MAIPIUCIE chiudiamo Ponte Galeria

27 Dic, 2013

Lettera di Natale dal Cie di Ponte Galeria

Quando arrivo a Ponte Galeria alle 5 del pomeriggio del giorno di Natale la conta della protesta è così aggiornata: nel reparto maschile ci sono ancora 4 ragazzi con le bocche cucite, in 16 hanno passato l’ultima notte fuori coi materassi e le coperte e un freddo micidiale, in 24 ancora rifiutano il cibo (cioè saltano colazione, pranzo e cena).

L’eco dello svuotamento del centro di Lampedusa e’ ancora fortissima nonché viziata da un fraintendimento: se hanno liberato loro perché non anche noi? Se lo chiedevano gli “ospiti” del centro romano e così erano pronti anche ad arrampicarsi sui tetti per ottenere lo stesso risultato… Salvo poi accettare la spiegazione: sono stati trasferiti, non liberati.

La libertà non abita le leggi italiane sull’immigrazione.

Al Cie si vede che è Natale perché c’è meno gente, meno personale ad accoglierti all’ingresso.
L’attesa ai cancelli, i primi di una lunghissima serie che fanno di quel posto un luogo di indiscutibile detenzione, dura un po’ più dell’altra volta. Ma sono sempre tutti gentilissimi, disponibili a ogni domanda.

In infermeria un ragazzo straniero si sta facendo visitare dietro il paravento: nessun problema grave e non è uno delle bocche cucite. È proprio davanti alla sala del medico che compare don Emanuele.
“Viene qui spesso?” “Non quanto vorrei, ma tutte le volte che posso. Teniamola viva questa cosa”, mi dice quel prete dallo sguardo mite e chiaro, “questo è un posto assurdo”, aggiunge.

Gli fa eco il più giovane e gentile dei ragazzi di Auxilium che già domenica scorsa mi ha accompagnata in giro per il centro, dice “è così… Anch’io quando mi chiedono che lavoro faccio alla fine rispondo il secondino, vado in giro tutto il giorno con tutte queste chiavi, apro e chiudo cancelli”.

Don Emanuele ha appena finito di celebrare una funzione religiosa nella cappella del reparto maschile del Cie: non proprio una Messa, un momento di parola e di ascolto che ha visto insieme cristiani e musulmani. Li ho trovati stanchi ma sereni mi dice e aggiunge: innocenti. Non per la legge che li ha richiusi la’ penso io.
Don Emanuele ha anche chiesto loro di allentare la tortura che si stanno infliggendo: la vostra protesta sta avendo riscontri perché è pacifica, spiega, ma scucitevi le bocche, fatelo oggi che è Natale.

E ce la fa don Emanuele a smuoverli. Arriva uno dei mediatori del Cie a dircelo, è trafelato, quasi gioioso: hanno smesso, si sono scuciti, per rispetto della vostra religione mi spiegano poi gli stessi migranti. Ma è una sospensione, non un’interruzione, pronti a ricominciare se non arriveranno risposte vere dal governo (presumibilmente, massimo due mesi di permanenza nei Cie con valore retroattivo).

La notizia ci mette di buonumore tutti.
Don Emanuele chiede della carta e una penna: vuole andare a scrivere, con i ragazzi.

Lo raggiungiamo nella sala mensa del reparto maschile: tavoli chiari come quelli delle mense degli uffici, tutti gli ospiti del centro hanno gli occhi stravolti dalla stanchezza, un paio dormono accasciati sul tavolo.
Don Emanuele scrive sotto dettato, una lettera a Papa Francesco.

Qualcuno gli detta i suoi pensieri direttamente in italiano, più spesso c’è bisogno dell’aiuto del mediatore, in fondo alla sala il piccolo rinfresco di Natale preparato dal personale del Cie ( spumante, coca cola, panettone) può aspettare.

Oggi all’Angelus Bergoglio ha parlato dei migranti di Lampedusa, dal Cie di Ponte Galeria hanno parole per lui.

“Santo Padre”, comincia la lettera.
E poi giù un collage di pensieri e richieste che messe una dopo l’altra fanno una lettera spietata, per noi, per colpa delle nostre leggi.

Tu che hai scelto il nome del Santo dei poveri, tu che ti sei voluto chiamare Francesco, noi siamo i nuovi poveri.
Alla legge non chiediamo altro che tempi umani, non vogliamo buttare la nostra vita.
Ci siamo scuciti la bocca ma è solo una pausa, per rispetto della vostra religione, siamo pronti a cucirci di nuovo, anche le palpebre (qui don Emanuele fa fatica a scrivere alla lettera ciò che vogliono i migranti).
La nostra sofferenza è arrivata all’osso, non siamo carne da macello.
Siamo venuti in Italia col miraggio di una vita migliore, finora abbiamo visto solo sbarre.
Per me i Cie sono delle piccole Auschwitz.
Alcuni di noi hanno sbagliato ma tutti hanno diritto a una seconda possibilità.

La morte l’abbiamo già vista nel nostro Paese, la morte l’abbiamo già vista in mare, possiamo anche continuare lo sciopero della fame. Fino alla morte.

In effetti, al Cie di Ponte Galeria in 24 anche stasera, e ormai da cinque giorni, hanno rifiutato la cena.

23 Dic, 2013

“Trattati come animali, era meglio il carcere”

“Come gli animali: in gabbia”. Ahmed lo ripete due, tre volte per spiegare cosa significa vivere dentro un Cie. Lui a Ponte Galeria c’è arrivato tre mesi fa, spedito qui dal carcere di Lanciano dove ha scontato 4 anni per droga. In questi giorni di tensioni e proteste si è fatto portavoce della situazione all’interno del centro: sabato in otto hanno deciso di cucirsi la bocca con ago e filo improvvisati.
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