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Bia Sarasini, Il Manifesto

 

Era un luogo comune, il divano del produttore, il sottofondo di tante storie di cinema, il non detto di tanti scandali. A Hollywwod Baylonia, il titolo ormai proverbiale dei due volumi di Kenneth Anger dedicati all’epoca d’oro delle Major, come nel resto del mondo, Cinecittà compresa.

Ora le denunce di attrici famose, come Gwyneth Paltrow, Angelina Jolie e Ashley Judd, contro Harvey Weinstein, potentissimo produttore Miramax, che ha ripreso lo stile della Hollywood vecchia maniera, irrompono nella cronaca. E dicono che è vero, che le storie raccontano sempre la verità. Il re è nudo. Del resto così Weinstein si proponeva, in accappatoio, o vestaglia, alle sue prede. Uso consapevolmente questa parola, preda, perché questo è il punto di vista di un molestatore seriale.

Di un uomo che neanche prova la strada del corteggiamento, ma usa direttamente il potere. E la uso, questa parola, perché così ci si sente, se hai circa vent’anni, hai un progetto, un sogno e ti trovi ad affrontare un uomo potente. Che può essere la tua risorsa o il muro contro cui sbattere. Perché parliamo del mondo del cinema, ma dovremmo dire luoghi di lavoro. Di qualunque genere. Del resto a quanto si legge non rivolgeva le sue attenzioni solo contro le “sue” attrici”, ma anche a chi lavorava negli uffici.

Vorrei essere chiara: parlare di “prede” non ha nulla a che fare con il vittimismo. Piuttosto è la descrizione di rapporti di forza. Le denunce, in aumento giorno per giorno, mostrano chiaramente cosa succede. Comportamenti diversi – chi ha subito, chi è riuscita a sottrarsi – in comune l’umiliazione, il silenzio, un ricordo che non sparisce mai. E vengo al punto più spinoso. Quello che suscita più polemica.

Perché non hanno denunciato prima? Perché ci sono voluti vent’anni? Bisognerebbe ricordarsi che è la stessa accusa che è stata rivolta alle vittime di abusi pedofili. Che insomma le vittime vengono sempre incolpate delle violenze che subiscono.

Perché ci vuole forza. Non solo quella individuale, che permette di opporsi al predatore, ci vuole anche quella simbolica, collettiva, che permetta di non sentirsi una paria, una che dice cose a cui nessuno crede. Una che non si sente sporcata da questo. Insomma, il tempo è cambiato. Ora si può denunciare, per fortuna. E se lo fa chi ha più anni, libera le più giovani, le più esposte.

Del resto si scopre che già negli anni scorsi erano state proposte inchieste contro Weinstein e i giornali, come per esempio il New York Times, avevano insabbiato.

C’è un penoso risvolto italiano. Anche Asia Argento è tra chi denuncia. Lo fa con la temerarietà che è le è propria. Descrive vividamente l’aggressione e la sua successiva subalternità al molestatore, indotta dalla vergogna e dalla sua debolezza, come lei stessa dice. Prima di riuscire a liberarsene. E questo le vale ogni sorta di accusa infamante. Eppure ci dice con chiarezza che la violenza, effetto del dominio maschile, ha molteplici aspetti. Non è solo sul corpo, ma anche sui sentimenti, il senso di sé, la dignità. L’abuso di potere non è solo il ricatto e il ceffone. Realtà difficile da comprendere, e che appunto avviluppa le donne. Umilia, ferisce. Poi certo, ce la si può cavare, perfino ribaltare il tavolo. A volte.

Il ricatto sessuale è una realtà a cui la maggior parte delle donne giovani, in qualunque contesto, è stata ed è tuttora sottoposta. Si può accettarlo, usarlo, da parte delle donne, ma di questo si tratta: dell’esercizio di un potere.

Le ragazze accusano le femministe della mia generazione: ci avete imbrogliato, ero convinta che nei luoghi di lavoro non fosse più richiesto di essere disponibili, per fare carriera. Per questo Gwyneth e le altre vanno ringraziate. Aprono una strada.

Sarebbe divertente, se ciascuna si decidesse a elencare il catalogo delle molestie subite. Altro che la lista di Don Giovanni. Che tra l’altro non sarebbe mai andato in una clinica a farsi curare dalla dipendenza dal sesso. Segno di tempi che cambiano?

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