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15 Ott, 2015

La politica che innamora

In questi giorni sono venuti in visita diplomatica a Roma Daniel Placeres ed Heber Bousses, deputato e dirigente del MMP – Movimiento de Partecipaciòn Popular – il partito del grandissimo presidente dell’Uruguay Pepe Mujica.

Ho avuto la fortuna di incontrarli lunedì mattina.

Grazie a Giulio Marcon e a Carlo De Angelis, nella saletta riunioni del gruppo #Sel a Montecitorio.

Sono state ore di un’intensità potente.

Come le loro parole: potenti e semplici.

Ci hanno raccontato del valore dell’#umiltà in politica, che non vuol dire avere una visione impoverita della democrazia ma mettersi all’altezza delle persone nel momento in cui si prendono le decisioni.

Ci hanno raccontato di #sceltepopolari, non populiste, ossia di quando chi è al governo punta innanzitutto a dare una casa a tutti, un reddito per istruire i figli, un frigo con cibo sufficiente per mangiare, la possibilità di divertirsi con gli amici nel week- end.

Ci hanno detto di come per unire il Frente Amplio occorra partire dalle #pratiche della politica capaci di coagulare consenso, e non dalle distinzioni ideologiche, che portano inevitabilmente dritto verso le divisioni.

Ci hanno raccontato di come interpretano loro il loro stare in Parlamento e nelle Istituzioni: stanno là per aprire le #porte alla gente.

Infine Placeres ed Heber hanno consegnato nelle nostre mani il seguente suggerimento: fate innamorare i #giovani del vostro programma.

Ecco. Io penso che noialtri dovremmo attrezzarci a fare tutto questo.

Con semplicità e passione. Innamorandoci da capo della politica.

09 Ott, 2015

Lo sguardo sulla città

Ci ho dormito su.

Dopo una giornata passata a votare un’ottima legge contro l’usura mentre tutto attorno cresceva il rumore delle macerie che venivano giù.

Dopo un pomeriggio vissuto accanto a tanti bravissimi amministratori municipali, addosso i brividi di una doccia fredda, le lacrime calde agli occhi.

Dopo una serata seduta in macchina sfiorando Roma in cui ancora una volta mi sono trovata a pensare “ci risiamo, di nuovo la mia città vive momenti difficilissimi”.

Provo a dire la mia sulle ‪#‎dimissioni‬ del Sindaco ‪#‎Marino‬.

Per un attimo lascio da parte la questione degli scontrini, pur pensando che il tema non sia il rimborso ma – nel caso – la menzogna. Lascio perdere il giornalismo quanto riesca ad essere un pessimo mestiere quando si allea di fatto alle peggiori consorterie. Mi tolgo dalla testa persino quella che penso essere ora la faccia soddisfatta di ‪#‎Renzi‬, che da mesi aveva il dito pronto sul pulsante “game over” e non vedeva l’ora di pigiarlo.

Io semplicemente oggi penso questo.

Che il Sindaco #Marino dopo aver gloriosamente voltato le spalle ai soliti poteri forti e criminali della Capitale, non è stato capace di fare l’altro gesto necessario a governare Roma: guardarla negli occhi.

Non si è messo alla sua altezza, non l’ha ascoltata fino in fondo, non ha stabilito con lei un’empatia.

Quindi non l’ha capita.

Dopo aver scansato le mani dalla città, non ha posato davvero lo sguardo sulla città.

Difficilmente questa cosa potrà accadere nei prossimi venti giorni.

05 Ott, 2015

La sinistra che cambia

Il 7 novembre al Teatro Quirino i parlamentari della sinistra presentano un’altra idea d’Italia

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La legge di stabilità che il governo Renzi ha proposto al paese non risolve i problemi dell’Italia, sembra scritta con la mano destra e non mette al centro della scena i soggetti deboli che hanno pagato il prezzo piu’ alto della crisi.

Abbiamo affrontato in questi mesi passaggi difficili. Sempre dalla stessa parte: dalla battaglia sulla riforma della Costituzione al giudizio drastico sul Jobsact, dalla mobilitazione sulla Buona scuola alla domanda di una svolta radicale in Europa rispetto alle politiche di austerità.

Il merito è stato, è e sarà sempre la bussola – anche nelle differenze – che ci guiderà nelle scelte che dovremo assumere durante questa legislatura.

La natura della maggioranza che sorregge oggi il Governo Renzi ha acquisito sempre più le caratteristiche della palude trasformistica.

L’ingresso di Verdini e company nella alleanza costituente segna una ulteriore evoluzione di quel Partito della nazione teorizzato da tempo da Matteo Renzi, neocentrista e neocentralista insieme, che assume il principio della governabilita’ come valore in sé, al netto della cifra culturale delle opzioni che vengono messe in campo.

E produce anche uno sfregio mortale al messaggio che l’esito del voto nel 2013 aveva lanciato alla politica tradizionale e soprattutto al centrosinistra italiano: la necessità di agire una riforma della politica, di cambiare metodi e forme di partecipazione, di mettere fine alla degenerazione etica che aveva segnato la stagione declinante della II Repubblica.

Occorre promuovere uno schieramento della buona politica in questo Parlamento per condizionare i processi politici e avanzare una proposta credibile di alternativa di governo.

Lo possiamo fare se riusciamo a produrre un fatto unitario.

Un nuovo gruppo parlamentare non è la traduzione automatica della nuova soggettività politica della sinistra che tutti vogliamo costruire.

Un partito ha tempi più lunghi, ha bisogno di avere le radici ben piantate nella storia democratica italiana, necessita di fusioni calde e processi partecipativi reali, costruisce un programma fondamentale che attraversa stagioni parlamentari e aggredisce i grandi cambiamenti che caratterizzano il mondo.

Il Gruppo parlamentare è invece uno strumento a disposizione dei territori, un presidio istituzionale di competenze e di passione, un luogo di elaborazione di proposte per una sinistra di governo, riformista e radicale.

Uno spazio aperto, laico e plurale, dove le differenze debbono vivere ed essere valorizzate in un percorso collettivo.

Un gruppo dove possano abitare non solo le forze che espressamente vengono dalla tradizione della sinistra nelle sue varie articolazioni, ma anche chi ha ritenuto esaurito il suo percorso nel Movimento 5 stelle.

Un polo della Riforma della Politica che contrasti le politiche del Governo Renzi, competa sul terreno di un’opposizione di merito e non demagogica con il Movimento Cinque stelle e con il blocco delle destre, che si candidi a rappresentare l’espressione piu’ autentica dei valori contenuti nella nostra Carta Costituzionale, che sappia affrontare i prossimi appuntamenti – dalla legge di stabilita’ ai delicatissimi scenari internazionali che si aprono, dal quarto passaggio delle riforme costituzionali all’attacco al diritto di sciopero – dispiegando una capacità propositiva capace di attraversare il paese.

Abbiamo già avanzato alcune proposte importanti, tra cui il nostro piano per il lavoro: lo porteremo nelle piazze e nei luoghi di lavoro, sui territori e nei luoghi della sofferenza e del conflitto.

Troppe sono le urgenze del paese e troppe le domande a cui divisi non riusciamo più a rispondere.

Il tempo non è una variabile neutra se guardiamo cosa accadrà nel paese già nelle prossime settimane.

Si muovono già oggi gli studenti che domandano diritti e rispetto, i lavoratori del pubblico impiego in attesa di un contratto che rischia di trasformarsi in una mancia, le partite iva ancora una volta penalizzate, i pensionati a cui si chiede di aspettare un altro anno, gli amministratori locali falcidiati dai tagli.

Se vogliamo parlare una sola lingua con loro abbiamo bisogno di un’unica agenda di cambiamento.

E abbiamo bisogno di offrirla ora al Paese per movimentare un quadro politico statico che tende a fagocitare ogni spinta critica.

Se vogliamo trasformare la società italiana, se vogliamo promuovere equilibri piu’ avanzati nella battaglia parlamentare occorre essere disponibili a trasformare se stessi. Noi siamo pronti e lo faremo.

Vi aspettiamo sabato 7 novembre alle ore 10.00 al teatro Quirino a Roma per scrivere insieme una nuova pagina della storia della sinistra italiana.

05 Ott, 2015

Benvenuta Daniela Bianchi

“E’ con gioia e voglia di fare insieme che diamo il benvenuto alla Consigliera Daniela Bianchi, nel nostro gruppo regionale” A dichiararlo sono Gino De Paolis e Marta Bonafoni, Capogruppo e Consigliera Sel alla Regione Lazio, a margine della Conferenza stampa svoltasi in Via Arenula 29, sede di Sel nazionale.

“Si perfeziona una collaborazione che di fatto già esiste, sui temi e sulle prospettive: con Daniela abbiamo condiviso idee e proposte in Consiglio regionale fin dall’inizio, perché vicine le nostre sensibilità e la nostra idea di Regione. Siamo felici che questo sia avvenuto, quindi, come un  processo naturale, dentro un percorso che sostiene con forza il lavoro di trasformazione che il Presidente Zingaretti ha avviato ormai da due anni e mezzo.

Diventiamo un po’ più forti oggi, grazie all’ingresso di Daniela Bianchi, con la sua storia e il suo percorso politico, ma lo diventa in generale la Sinistra del Lazio e del Paese, che guarda alla sfida del governo facendosi carico di avanzare proposte e prospettive innovative, sul piano locale e su quello nazionale.

C’è bisogno di centro-sinistra e il Lazio lo sta dimostrando: il lavoro di Sel va tutto in questa direzione, mettendosi a disposizione di un sogno più grande, di un processo che vogliamo sia partecipato, democratico e inclusivo.  A Daniela gli auguri di buon lavoro”

01 Ott, 2015

La passione laica di Pietro Ingrao

La com­me­mo­ra­zione di Pie­tro Ingrao pro­nun­ciata da Alfredo Rei­chlin in piazza Montecitorio.

Vor­rei espri­mere il più grande ram­ma­rico per la scom­parsa di Pie­tro Ingrao. Per l’uomo che egli è stato, il grumo di pen­sieri e di affetti anche fami­liari che ha rap­pre­sen­tato, ma soprat­tutto per il segno così pro­fondo e tut­tora aperto e vivo che egli ha lasciato nella vita italiana.

«È morto il capo della sini­stra comu­ni­sta», così, con que­sto flash, la Tv dava dome­nica pome­rig­gio la noti­zia. In que­sta estrema sem­pli­fi­ca­zione e nei com­menti di que­sti giorni io ho visto qual­cosa che fa riflettere.

Vuol dire che dopo­tutto que­sto paese ha una sto­ria. Non è solo una con­fusa som­ma­to­ria di indi­vi­dui che si distin­guono tra loro solo per i modi di vivere e di con­su­mare. Ha una grande sto­ria di idee, di lotte e di pas­sioni, di comu­nità, e di per­sone, anche se que­sta sto­ria noi non l’abbiamo saputa custodire.

Perché volevamo la luna? Oppure perché non l’abbiamo voluta abbastanza?
Non lo so. So però che adesso siamo giunti a un pas­sag­gio molto dif­fi­cile e incerto della nostra sto­ria. E che la gente è con­fusa e torna a porsi grandi domande e ad espri­mere un biso­gno insop­pri­mi­bile di nuovi biso­gni e signi­fi­cati della vita.

Si affac­cia sulla scena una nuova uma­nità. E io credo sia que­sta la ragione per cui la morte di Pie­tro Ingrao (un uomo che taceva da quasi 20 anni) ha così col­pito l’opinione pubblica.

Per­ché era di sini­stra? Di que­sta antica parola si sono persi molti signi­fi­cati. E tut­tora non quello fon­da­men­tale: la lotta per l’emancipazione del lavoro, il cam­mino di libe­ra­zione dell’uomo dalle paure e dai dogmi; la libertà dal biso­gno e al tempo stesso la assun­zione di respon­sa­bi­lità verso gli altri.

Forse mi sba­glio ma sento rina­scere il biso­gno di uomini che pen­sano e guar­dano lon­tano, che dicono la verità, che non sono dei rom­pi­sca­tole, che cer­ta­mente si ren­dono conto che il vec­chio non può più ma vedono anche luci­da­mente che il nuovo non c’è ancora. E che per­ciò si inter­ro­gano su come riem­pire que­sto vuoto molto peri­co­loso, il lace­rarsi del tes­suto che tiene insieme popoli e Stati.

Pie­tro Ingrao non ci ha dato ovvia­mente la rispo­sta a que­sti que­siti ma ci ha detto una cosa fon­da­men­tale: che la poli­tica non si può ridurre a mer­cato o a lotte di potere tra le per­sone. Che ad essa biso­gna dare una nuova dimen­sione, anche etica e culturale.

Que­sta è la lezione di Pie­tro Ingrao. Una lezione che resta, e anzi appare più che mai neces­sa­ria. E’ la risco­perta della poli­tica non come mito e oriz­zonte irrag­giun­gi­bile ma come con­sa­pe­vo­lezza della pro­pria vita.

La più grande pas­sione laica: la costru­zione di una nuova sog­get­ti­vità, e quindi di uno sguardo più pro­fondo attra­verso il quale leg­gere le cose, la realtà. E quindi agire. Per assu­mere il com­pito che la vicenda sto­rica reale pone davanti a noi.

Tutti par­lano di Ingrao come l’uomo del dub­bio. Lo farò anch’io. Ma prima di tutto Pie­tro, per me, è stato que­sto: la fusione tra poli­tica e vita, la poli­tica come sto­ria in atto. Noi vole­vamo la luna? In effetti di parole troppo grosse come rivo­lu­zione non si par­lava mai. Si par­lava molto però, e con enorme pas­sione, della lotta per cam­biare il tes­suto pro­fondo, anche cul­tu­rale e morale, del paese. L’idea di un avvento delle classi lavo­ra­trici al potere per una pro­pria strada.

L’essenziale era par­tire dagli ultimi, come ren­derli pro­ta­go­ni­sti e come dar vita a nuove strut­ture sin­da­cali, poli­ti­che, cul­tu­rali, coo­pe­ra­tive. Come non lasciare gli uomini soli di fronte alla potenza del denaro.

Que­sta fu la nostra grande pas­sione. Immer­gersi nell’Italia vera, ade­rire a «tutte le pie­ghe della società». E que­sta pas­sione io non l’ho vista in nes­suno così assil­lante come Pie­tro Ingrao. Fu Pie­tro Ingrao, una mente libera, coc­ciuta e asse­tata di cono­scenza. È tutto qui il famoso uomo del dub­bio. Non era uno scet­tico: voleva capire. Non era un inge­nuo, sapeva lot­tare e col­pire (diri­geva dopo­tutto un grande gior­nale popo­lare che era un’arma for­mi­da­bile) ma sapeva che per vin­cere biso­gna prima di tutto capire quel tanto di verità che c’è sem­pre, in fondo, e in qual­che misura, nel tuo avver­sa­rio. Insomma, l’egemonia.

Ingrao l’uomo giusto.

Credo che que­sto spie­ghi il para­dosso per cui colui che le dice­rie con­si­de­ra­vano il del­fino di Togliatti è lo stesso che comin­cia a sen­tire l’insufficienza della grande let­tura togliat­tiana dell’Italia come paese arre­trato in cui il com­pito sto­rico dei comu­ni­sti era risol­vere le grandi «que­stioni» sto­ri­che: il Mez­zo­giorno, la que­stione agra­ria, il rap­porto col Vaticano.

Que­sta let­tura, nell’insieme, non riu­sciva più a dare conto delle tra­sfor­ma­zioni che comin­cia­vano a cam­biare radi­cal­mente il volto dell’Italia: il pas­sag­gio da paese agri­colo a paese indu­striale, una biblica emi­gra­zione che svuo­tava le cam­pa­gne del Sud, l’avvento dei con­sumi di massa, la rivo­lu­zione dei costumi.

Poi ci furono molte altre vicende e anche rot­ture. Le nostre strade si diva­ri­ca­rono. Fummo tutti tra­volti dalla con­trad­di­zione lace­rante tra la potenza cre­scente dell’economia che si mon­dia­liz­zava e con i mer­cati senza regole che gover­nano le ric­chezze del mondo e il potere della poli­tica che non rie­sce a darsi nuovi stru­menti sovranazionali.

Ma que­sta è mate­ria ormai degli sto­rici. È la mon­dia­liz­za­zione, il ter­reno nuovo su cui se fosse ancora tra noi Pie­tro Ingrao ci invi­te­rebbe a scendere.

Una cosa è certa. Abbiamo biso­gno di nuovi dubbi e di nuove ana­lisi. Abbiamo biso­gno di nuovi gio­vani come Ingrao. Sono le cro­na­che delle tra­ge­die dispe­rate dei migranti le quali ci dicono che si sta for­mando una nuova umanità.

Abbrac­cio i figli, la sorella, i nipoti e i pro­ni­poti del mio vec­chio amico, che da sta­sera ripo­serà in pace nella sua Lenola.

Alfredo Reichlin, Il Manifesto