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22 Set, 2017

Noi ci proviamo a costruire ponti…

Non è facile costruire ponti, nel tempo che stiamo attraversando.
Vincono la rabbia, le divisioni, il rancore.

Noi stiamo provando a fare qualcosa di diverso: nel Lazio, con la coalizione guidata da Nicola Zingaretti. E nel Paese, dentro al progetto di Giuliano Pisapia.

Lunedì Zingaretti e Pisapia saranno insieme sullo stesso palco alla festa dell’Unita’ di Roma, alle 20.30.

Un’occasione di confronto preziosa, comunque la si pensi. Per chi ha ancora voglia di cucire…

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26 Apr, 2017

L’ultimo appello di Pisapia: “Renzi, il tempo è scaduto: unisci la sinistra o è la fine”

Stefano Cappellini, La Repubblica

Quando Giuliano Pisapia, solo pochi mesi fa, si è mosso in prima persona per contribuire alla rinascita di un centrosinistra largo, Barack Obama era ancora alla Casa Bianca, la Gran Bretagna nella Ue e il Pd unito sotto lo stesso tetto. Il tempo fugge e, secondo Pisapia, quello a disposizione della sinistra italiana per darsi un assetto coerente alle nuove sfide globali sta per scadere: “Le elezioni francesi – dice l’ex sindaco di Milano a Repubblica – ci ricordano che la sinistra divisa va incontro a un solo destino: la sconfitta. Se le primarie lo confermeranno segretario del Pd, a Matteo Renzi resta meno di un mese per dare un segnale chiaro: cambiare la legge elettorale e costruire una coalizione. Altrimenti il centrosinistra andrà incontro a una sconfitta che definirei generazionale, perché ci vorrà appunto una generazione prima che si possa ricostruire la fiducia e la partecipazione del proprio elettorato”.

Renzi non ha dato alcun indizio di voler andare in questa direzione.
“Gli indizi non sono favorevoli, ma credo ancora alla possibilità di una svolta. Sono favorevole al Mattarellum. Se però non ci sono i voti in Parlamento, può funzionare anche il sistema che il Pd ha proposto in commissione: collegi e premio di maggioranza moderato. Purché si chiarisca se il premio va alla lista o alla coalizione. Serve il secondo, se si vuole mettere in campo una alleanza larga di centrosinistra”.

La tesi dell’alleanza larga è degli sfidanti di Renzi alle primarie. Fa il tifo per loro?
“Non sono iscritto al Pd, sono uno spettatore interessato perché, senza i dem, per l’Italia non c’è un futuro di centrosinistra. Spero che, chiunque sarà il nuovo segretario, non stravolga la storia di un partito che nel tempo è cambiato ma il cui elettorato non ha mai rinnegato il suo essere di sinistra”.

La sinistra è fresca di scissioni a catena. Come si riunisce chi si è appena lasciato?
“Ascoltando la domanda di unità che proviene dalla base. Esiste una sinistra ragionevole, un mondo che non ha paura della sfida di governo, e che insieme a voci civiche, ambientaliste e moderate al Pd dice: alleiamoci su un progetto per il Paese o sarà la fine. Ha sentito cosa ripete in queste ore Romano Prodi? Io confido che Renzi raccolga questo appello”.

Altrimenti?
“Altrimenti questo stesso mondo dovrà trarre le conseguenze e attrezzarsi a dare una rappresentanza autonoma alle proprie idee. Ma il rischio concreto è che, da questo quadro esploso, esca la peggiore sconfitta degli ultimi decenni”.

È pronto a essere il candidato premier di uno schieramento a sinistra del Pd?
“Non sono sceso in campo per questo né per fondare partitini del 3 per cento. Senza un’intesa anche con il Pd, si porrà presto il tema della leadership. Un passo alla volta”.

In Francia sono fuori dal ballottaggio sia il socialista Hamon che il più radicale Mélenchon. In Gran Bretagna Corbyn pare fuori dai giochi. In Spagna i socialisti hanno perso a ripetizione. La sinistra è in crisi irreversibile?
“La sinistra, ovunque, quando si divide perde. I partiti tradizionali non riescono ad avere la fiducia degli elettori. Ma se si sommano i voti di Mélenchon, che non è estremista, a quelli socialisti, si ha la prova che il campo di centrosinistra è tutt’altro che sparito.

La sinistra è vista da una parte di opinione pubblica come un pilastro dell’establishment responsabile della crisi. A ragione?
“In parte sì. In Italia, in particolare, ha restituito l’immagine di una nomenclatura chiusa. Per troppi anni gli elettori hanno visto le stesse facce scambiarsi ruoli all’interno del gruppo dirigente. È mancato un ricambio e la volontà di agevolarlo. Io, da sindaco, avevo in giunta ragazzi di 28 anni che spesso mi facevano riflettere sul valore di questioni che non avevo gli strumenti per capire”.

Le speranze di fermare Marine Le Pen sono affidate al centrista Macron, sostenuto da un elettorato trasversale. Non teme che questo scenario francese dia nuovi argomenti a chi sostiene che, per battere Grillo e Salvini, occorre un fronte dei “responsabili” anche in Italia?
“Mi sembra il contrario. A parte la differenza di sistema elettorale, la ragione fondamentale è politica: è un grave errore dire che il discrimine fondamentale non è più tra destra e sinistra. Innanzitutto perché non è vero e poi perché non offre chiarezza. Ci sono due possibili ordini di risposte ai problemi di fondo, dalla povertà alla crescita: quelle della destra securitaria e parolaia e quelle di una sinistra responsabile e pragmatica”.

La manovrina di primavera racconta che il governo di sinistra non riesce a districarsi tra il rigorismo europeo e la volontà di metterlo in discussione.
“In questo caso le notizie dalla Francia sono positive. Macron è un’europeista convinto ma critico. Le regole europee vanno rispettate, ma cambiate quando è necessario. A settembre si voterà in Germania, e se come pare il presidente Schulz avrà un buon successo, potrà esserci un fronte compatto per modificare le regole di Bruxelles. Non per distruggere quello che si è costruito in 70 anni, ma per rispondere alla crisi più drammatica dell’economia dal 1929”.

Su molti temi, anche i 5S – già simpatizzanti di Trump – coltivano posizioni affini a Le Pen: sovranismo, protezionismo, polemica dura sui migranti. C’è differenza tra il populismo lepenista e quello grillino?
“La differenza c’è e si vede. Credo che moltissimi sostenitori del M5S sarebbero furibondi all’idea di essere assimilati ai lepenisti. Il 5Stelle è un movimento trasversale, nato da posizioni in parte condivisibili e capace, come nel caso del testamento biologico o delle unioni civili, di sposare posizioni molto avanzate”.

Ma con i 5S è ipotizzabile un asse di governo, come evoca Pier Luigi Bersani?
“Un accordo strutturale no. Sui singoli temi, è possibile una proficua collaborazione. Quanto ad alcuni dei loro argomenti forti – dalla sobrietà alla lotta ai privilegi – la sinistra deve saperli recuperare perché è dimostrato che, quando succede, il M5S non tocca palla”.

Grillo attacca i radicali e corteggia l’elettorato cattolico. Corteggiamento reciproco, a giudicare dalle posizioni di parte della Chiesa. Crede che sia una manovra solo elettorale o in prospettiva può cambiare equilibri reali, vista la mole di leggi sui diritti civili ancora impantanate o mai discusse?
“Dice bene. Una parte, della Chiesa. Il primo risultato di quello che lei definisce un corteggiamento del mondo cattolico intanto ha prodotto una divisione nella Chiesa. Non esiste più un mondo cattolico monolitico. Se parliamo dell’offensiva sul lavoro domenicale, non possiamo dimenticare che il M5S si è detto favorevole a una battaglia dei sindacati e di una parte della sinistra. Sui migranti, invece, non ci può essere differenza più marcata. Mi chiedo cosa può pensare la Chiesa su quanto sostiene il M5S, peraltro diviso al suo interno, sull’assistenza ai disperati che fuggono da guerra e miseria”.

E Berlusconi? Una legge che incentivi le coalizioni non porta con sé il rischio che il centrodestra superi le sue profonde divisioni e torni maggioranza elettorale?
“È una possibilità, comunque meno grave di una sinistra che va divisa alla battaglia decisiva. E poi attenzione: se Fi, Lega e Fdi corrono da soli prendono nel complesso più voti. Il cartello elettorale può invece scoraggiare molti elettori dal sostenere una coalizione con Salvini e Meloni”.

Lei paventa un tracollo della sinistra. Ma, senza una vera riforma elettorale, quasi certamente saranno le alleanze in Parlamento a decidere il governo. L’abbraccio Pd-Berlusconi pare a molti inevitabile.
“Sarebbe innaturale. Mettere insieme qualcosa e il suo opposto non può funzionare. L’effetto delle larghe intese sarebbe l’equivalente di una sconfitta elettorale: ci vorrebbero anni per riconquistare la fiducia degli elettori”.

10 Feb, 2017

Pisapia e il Campo Progressista

“Oggi Pisapia sul Corriere della Sera lancia Campo Progressista.
Una forza nuova, perché realmente collettiva.
Che non parla al ceto politico, ma lascia parola: alle associazioni, al territorio, ai sindacati, alle tante energie sparpagliate. A sinistra.
Che non punta a mettere un dito nell’occhio del vicino, ma pensa a quello che può fare partendo da se.
Con rispetto per tutti”.
Corriere della Sera, Aldo Cazzullo

Pisapia, ci siamo?
«Sì. Come avrebbe detto qualcuno: scendo in campo di nuovo. Ieri a Milano, oggi in Italia».

Fonda l’ennesimo partito?
«No: ce ne sono già troppi. Mi metto al servizio di un impegno politico collettivo. Il protagonista non sono io. Sono loro: le associazioni che lavorano sul territorio, le amministrazioni locali, il volontariato laico e cattolico».

Avranno pure bisogno di un nome.
«Campo progressista. Un progetto del tutto nuovo, che nasce con una grandissima ambizione: offrire altro, rivoluzionare la politica, cambiarla nel profondo. Vogliamo unire storie e percorsi diversi e costruire una casa comune, per riunire chi vuole fare qualcosa per la società e non trova il modo».

Diranno che fa la stampella di Renzi e del Pd.
«Non ho mai fatto la stampella di nessuno, e a Renzi ho sempre detto quello che pensavo. Ho il mio lavoro, non ho ambizioni personali. Nel 1998 mi dimisi da presidente della commissione Giustizia della Camera dopo la caduta di Prodi. Più volte ho rifiutato di fare il ministro. Ho fatto un passo indietro dopo la vittoria storica di Milano, dove da vent’anni governava la destra, e dopo cinque anni di governo unitario, con la massima radicalità sui valori e il massimo pragmatismo».

Perché ora ci ripensa?
«Quest’estate ho girato l’Italia e sono andato a incontrare le tante persone che mi avevano scritto. Sono stato nelle grandi città e in paesi che non sapevo esistessero. Ho scoperto che esiste un mondo ricchissimo. Mi fermavo a fare benzina, e nel tempo di fare il pieno e prendere un caffè arrivava il sindaco per parlarmi del suo Comune. A Roma mi dicevano: “Venga qui a fare il sindaco…”. Ho incontrato persone straordinarie».

Chi?
«Enzo Bianchi mi ha detto: “Lei si butti se viene chiamato”. E mi hanno chiamato in tanti. Non ceto politico; persone alla ricerca di una speranza. Studenti e professori italiani a Londra e a Coventry mi hanno invitato a presentare il progetto. Ricercatori all’estero come Giacomo Pirovano mi hanno assicurato che sono pronti a tornare in Italia per impegnarsi. Associazioni culturali, ambientalisti, volontari di Merate, Biella, Monopoli, Lecce… La questione dei giovani è la nostra priorità. Come diceva Vittorio Foa: “Pensare oltre che a se stessi, agli altri; oltre che al presente, al futuro”».

Chi c’è nel suo pantheon, oltre a Foa?
«Don Milani. Avevo 17 anni quando partii sulla 500 di un amico per andare a Barbiana a conoscerlo. Stava già molto male. I suoi mi regalarono la Lettera a una professoressa e L’obbedienza non è più una virtù: li tengo sempre qui, sul leggìo sopra il tavolo di casa. E poi i leader storici che il campo progressista ha espresso nelle varie epoche, da Berlinguer a Obama».

Più modestamente, con Bertinotti ha parlato?
«Ho sempre avuto stima per la sua onestà intellettuale, ma non lo sento da quando eravamo alla Camera».

E la Boldrini?
«Siamo in ottimi rapporti. Saremo insieme a Milano a un incontro sulla buona politica, il giorno di san Valentino».

Quali sono i prossimi passi?
«Faremo iniziative in diverse città, anche con sindaci e amministratori di piccoli e grandi Comuni. L’11 marzo faremo il primo grande incontro nazionale, a Roma. Poi apriremo le Officine per il programma».

E Sel? Vendola?
«Sel si è divisa e si è sciolta. Il mio amico Nichi pensa che non sia più possibile costruire un centrosinistra con un Pd geneticamente modificato, scambiando Renzi con il popolo del Pd. Io la penso diversamente. Rispetto la sua posizione; chiedo rispetto per la mia».

Crede davvero che ci sia spazio per una forza di sinistra alleata con il Pd?
«La prospettiva è più ambiziosa: spostare il Partito democratico a sinistra. Per necessità numerica, il Pd è stato costretto a governare con forze che non erano né di sinistra né civiche. È il momento di andare oltre».

Mai con Alfano?
«Noi vogliamo essere l’embrione del nuovo centrosinistra; non possiamo stare con un partito di centrodestra. Rispetto Alfano, ma dai diritti civili alle politiche per i giovani siamo diversi».

Non crede che un elettore di sinistra deluso da Renzi voti più facilmente per Grillo che per lei?
«A Milano i grillini sono attorno al 10%. In tanti mi hanno chiesto come sono riuscito a non farli emergere. Il modo è fare le cose positive di cui i grillini parlano».

L’onestà?
«Quello è un presupposto. Intendo trasparenza, legalità; mettere a disposizione di tutti i beni comuni. Questo a Milano l’abbiamo fatto. La demagogia e il populismo si contrastano così. Anche con il coraggio di dire che non sei d’accordo, anziché dare sempre ragione a chi urla. Ora siamo a un bivio: o riusciamo a fare una coalizione che dia risposte ragionevoli alla questione sociale; oppure lasciamo il Paese a Grillo e alla destra».

Oggi nessuna coalizione avrebbe i numeri per governare. Campo progressista quanto può valere?
«Non lo so. Ma penso che l’alleanza tra il Pd, noi, le liste civiche, gli ecologisti possa arrivare al 40%. Certo, dipenderà se la legge elettorale consentirà le coalizioni. Siamo una forza autonoma; non possiamo certo entrare in una lista con il Pd».

Lei è ottimista. Molti elettori, anche milanesi, sono arrabbiati e indignati con i politici e i loro privilegi.
«Li capisco. Sono da sempre convinto che lo stile di vita sia importante. Per questo con i miei assessori ci muovevamo in autobus, a piedi, in bicicletta. Anche di notte andavo con la mia auto privata in periferia o nelle parrocchie dove mi invitavano; per gli impegni istituzionali avevo un’auto ibrida vecchia di 15 anni».

E adesso?
«Vado a piedi e uso il car sharing. Sono imbarazzato a chiamare un taxi perché spesso mi tocca discutere con il tassista che non vuole farmi pagare».

Cosa pensa del suo successore Sala?
«È diverso da me. È un manager. Ma sui punti principali segue la nostra esperienza. Molti assessori sono stati riconfermati. I progetti sono quelli. L’alleanza di centrosinistra è ampia e legata al civismo».

E di Renzi?
«Ha lati positivi: coraggio e, all’inizio, capacità innovativa. Ha portato a termine riforme ferme da decenni, a cominciare dalle unioni civili; ma ha anche sbagliato sul referendum e su altre riforme che si sono trasformate in controriforme, ad esempio sul Jobs Act. Dovrebbe ascoltare di più. E non ha capito che i corpi intermedi sono importanti; a cominciare dai sindacati».

La Cgil era per il No. Lei non si è pentito di aver votato Sì?
«Non mi sono pentito. Anche i miei amici mi dicono: “Chi te l’ha fatto fare? Appoggiando il No avresti avuto una prateria a sinistra”. Ma preferisco essere coerente con la mia coscienza. Per me non era un voto su Renzi; era un giudizio su una riforma che non condividevo appieno, ma portava cose positive. Sul Titolo V: abbiamo una sanità del tutto diversa da una Regione all’altra. E sull’obbligo per il Parlamento di esaminare le leggi di iniziativa popolare: come la proposta della Cgil per limitare i voucher al lavoro occasionale».

Con D’Alema vi parlerete?
«Io parlo con tutti. Ma quello che mi interessa è recuperare i milioni di voti persi tra gli elettori di centrosinistra. E far appassionare i giovani a una nuova politica».

Ci sarà la scissione?
«Non me la auguro; ma certo non dipende da me. L’importante è che il Pd capisca di non essere autosufficiente. Occorre una svolta che guardi a sinistra. Una forte discontinuità, rispetto a una stagione in cui i democratici erano costretti ad accordi con Alfano e anche con Berlusconi».

Guardi che già si parla di alleanza con Berlusconi nella prossima legislatura.
«Per me sarebbe impossibile appoggiare un governo di larghe intese».

Quando si dovrebbe votare secondo lei?
«Sarebbe bene portare a termine le riforme già avviate: ius soli, reddito di inclusione, norme per non far fallire le società confiscate alla mafia, limiti ai voucher. Se mancasse la volontà, meglio andare a votare. In ogni caso i tempi saranno lunghi, perché serve una nuova legge elettorale».

Quale?
«L’importante è che sia omogenea tra Camera e Senato, e consenta ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti. Anche con le preferenze»