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26 Apr, 2017

L’ultimo appello di Pisapia: “Renzi, il tempo è scaduto: unisci la sinistra o è la fine”

Stefano Cappellini, La Repubblica

Quando Giuliano Pisapia, solo pochi mesi fa, si è mosso in prima persona per contribuire alla rinascita di un centrosinistra largo, Barack Obama era ancora alla Casa Bianca, la Gran Bretagna nella Ue e il Pd unito sotto lo stesso tetto. Il tempo fugge e, secondo Pisapia, quello a disposizione della sinistra italiana per darsi un assetto coerente alle nuove sfide globali sta per scadere: “Le elezioni francesi – dice l’ex sindaco di Milano a Repubblica – ci ricordano che la sinistra divisa va incontro a un solo destino: la sconfitta. Se le primarie lo confermeranno segretario del Pd, a Matteo Renzi resta meno di un mese per dare un segnale chiaro: cambiare la legge elettorale e costruire una coalizione. Altrimenti il centrosinistra andrà incontro a una sconfitta che definirei generazionale, perché ci vorrà appunto una generazione prima che si possa ricostruire la fiducia e la partecipazione del proprio elettorato”.

Renzi non ha dato alcun indizio di voler andare in questa direzione.
“Gli indizi non sono favorevoli, ma credo ancora alla possibilità di una svolta. Sono favorevole al Mattarellum. Se però non ci sono i voti in Parlamento, può funzionare anche il sistema che il Pd ha proposto in commissione: collegi e premio di maggioranza moderato. Purché si chiarisca se il premio va alla lista o alla coalizione. Serve il secondo, se si vuole mettere in campo una alleanza larga di centrosinistra”.

La tesi dell’alleanza larga è degli sfidanti di Renzi alle primarie. Fa il tifo per loro?
“Non sono iscritto al Pd, sono uno spettatore interessato perché, senza i dem, per l’Italia non c’è un futuro di centrosinistra. Spero che, chiunque sarà il nuovo segretario, non stravolga la storia di un partito che nel tempo è cambiato ma il cui elettorato non ha mai rinnegato il suo essere di sinistra”.

La sinistra è fresca di scissioni a catena. Come si riunisce chi si è appena lasciato?
“Ascoltando la domanda di unità che proviene dalla base. Esiste una sinistra ragionevole, un mondo che non ha paura della sfida di governo, e che insieme a voci civiche, ambientaliste e moderate al Pd dice: alleiamoci su un progetto per il Paese o sarà la fine. Ha sentito cosa ripete in queste ore Romano Prodi? Io confido che Renzi raccolga questo appello”.

Altrimenti?
“Altrimenti questo stesso mondo dovrà trarre le conseguenze e attrezzarsi a dare una rappresentanza autonoma alle proprie idee. Ma il rischio concreto è che, da questo quadro esploso, esca la peggiore sconfitta degli ultimi decenni”.

È pronto a essere il candidato premier di uno schieramento a sinistra del Pd?
“Non sono sceso in campo per questo né per fondare partitini del 3 per cento. Senza un’intesa anche con il Pd, si porrà presto il tema della leadership. Un passo alla volta”.

In Francia sono fuori dal ballottaggio sia il socialista Hamon che il più radicale Mélenchon. In Gran Bretagna Corbyn pare fuori dai giochi. In Spagna i socialisti hanno perso a ripetizione. La sinistra è in crisi irreversibile?
“La sinistra, ovunque, quando si divide perde. I partiti tradizionali non riescono ad avere la fiducia degli elettori. Ma se si sommano i voti di Mélenchon, che non è estremista, a quelli socialisti, si ha la prova che il campo di centrosinistra è tutt’altro che sparito.

La sinistra è vista da una parte di opinione pubblica come un pilastro dell’establishment responsabile della crisi. A ragione?
“In parte sì. In Italia, in particolare, ha restituito l’immagine di una nomenclatura chiusa. Per troppi anni gli elettori hanno visto le stesse facce scambiarsi ruoli all’interno del gruppo dirigente. È mancato un ricambio e la volontà di agevolarlo. Io, da sindaco, avevo in giunta ragazzi di 28 anni che spesso mi facevano riflettere sul valore di questioni che non avevo gli strumenti per capire”.

Le speranze di fermare Marine Le Pen sono affidate al centrista Macron, sostenuto da un elettorato trasversale. Non teme che questo scenario francese dia nuovi argomenti a chi sostiene che, per battere Grillo e Salvini, occorre un fronte dei “responsabili” anche in Italia?
“Mi sembra il contrario. A parte la differenza di sistema elettorale, la ragione fondamentale è politica: è un grave errore dire che il discrimine fondamentale non è più tra destra e sinistra. Innanzitutto perché non è vero e poi perché non offre chiarezza. Ci sono due possibili ordini di risposte ai problemi di fondo, dalla povertà alla crescita: quelle della destra securitaria e parolaia e quelle di una sinistra responsabile e pragmatica”.

La manovrina di primavera racconta che il governo di sinistra non riesce a districarsi tra il rigorismo europeo e la volontà di metterlo in discussione.
“In questo caso le notizie dalla Francia sono positive. Macron è un’europeista convinto ma critico. Le regole europee vanno rispettate, ma cambiate quando è necessario. A settembre si voterà in Germania, e se come pare il presidente Schulz avrà un buon successo, potrà esserci un fronte compatto per modificare le regole di Bruxelles. Non per distruggere quello che si è costruito in 70 anni, ma per rispondere alla crisi più drammatica dell’economia dal 1929”.

Su molti temi, anche i 5S – già simpatizzanti di Trump – coltivano posizioni affini a Le Pen: sovranismo, protezionismo, polemica dura sui migranti. C’è differenza tra il populismo lepenista e quello grillino?
“La differenza c’è e si vede. Credo che moltissimi sostenitori del M5S sarebbero furibondi all’idea di essere assimilati ai lepenisti. Il 5Stelle è un movimento trasversale, nato da posizioni in parte condivisibili e capace, come nel caso del testamento biologico o delle unioni civili, di sposare posizioni molto avanzate”.

Ma con i 5S è ipotizzabile un asse di governo, come evoca Pier Luigi Bersani?
“Un accordo strutturale no. Sui singoli temi, è possibile una proficua collaborazione. Quanto ad alcuni dei loro argomenti forti – dalla sobrietà alla lotta ai privilegi – la sinistra deve saperli recuperare perché è dimostrato che, quando succede, il M5S non tocca palla”.

Grillo attacca i radicali e corteggia l’elettorato cattolico. Corteggiamento reciproco, a giudicare dalle posizioni di parte della Chiesa. Crede che sia una manovra solo elettorale o in prospettiva può cambiare equilibri reali, vista la mole di leggi sui diritti civili ancora impantanate o mai discusse?
“Dice bene. Una parte, della Chiesa. Il primo risultato di quello che lei definisce un corteggiamento del mondo cattolico intanto ha prodotto una divisione nella Chiesa. Non esiste più un mondo cattolico monolitico. Se parliamo dell’offensiva sul lavoro domenicale, non possiamo dimenticare che il M5S si è detto favorevole a una battaglia dei sindacati e di una parte della sinistra. Sui migranti, invece, non ci può essere differenza più marcata. Mi chiedo cosa può pensare la Chiesa su quanto sostiene il M5S, peraltro diviso al suo interno, sull’assistenza ai disperati che fuggono da guerra e miseria”.

E Berlusconi? Una legge che incentivi le coalizioni non porta con sé il rischio che il centrodestra superi le sue profonde divisioni e torni maggioranza elettorale?
“È una possibilità, comunque meno grave di una sinistra che va divisa alla battaglia decisiva. E poi attenzione: se Fi, Lega e Fdi corrono da soli prendono nel complesso più voti. Il cartello elettorale può invece scoraggiare molti elettori dal sostenere una coalizione con Salvini e Meloni”.

Lei paventa un tracollo della sinistra. Ma, senza una vera riforma elettorale, quasi certamente saranno le alleanze in Parlamento a decidere il governo. L’abbraccio Pd-Berlusconi pare a molti inevitabile.
“Sarebbe innaturale. Mettere insieme qualcosa e il suo opposto non può funzionare. L’effetto delle larghe intese sarebbe l’equivalente di una sconfitta elettorale: ci vorrebbero anni per riconquistare la fiducia degli elettori”.

11 Mar, 2017

Pisapia, il Campo Progressista e la forza di un sorriso collettivo

La cultura che è un bene comune e che vuol dire conoscenza, quindi anche il rispetto delle differenze. “Io che mi occupo di Terra”, e l’esperta di energie che sottolinea: c’è energia positiva in questa sala!

L’inclusione e la cittadinanza, con la vergogna della legge sullo ius soli che “riposa” al Senato. E quel fermento che sale nel Paese e profuma di donne, e di un nuovo femminismo che chiede e include.

La periferia nella bellezza della voce di Giorgia che vibra: “Venite a farvi una passeggiata a Corviale, a noi ce piace sta co’ la gente”.

Il lavoro qualificato e il reddito minimo, che se non ci sono né l’uno né l’altro “le mafie ringraziano”. Con la bracciante che racconta commossa di quella collega che “come fai a ribellarti se quei 18 euro al giorno sono gli unici che entrano a casa a fine mese”.

E quindi fuori il welfare dal patto di stabilità. E sotto con un nuovo centrosinistra che inizi dalla lotta alle disuguaglianze.

#LaPrimaCosaBella è stata forte e piena. Di gentilezza, di allegria.

Bella perché ha la forza di dire che non è esattamente la prima, perché di cose belle intorno a noi ce ne sono a bizzeffe, solo a volerle guardare.
Bella perché è solo l’inizio. Perché in 1500 oggi abbiamo detto sì: partiamo.

10 Mar, 2017

“Centrosinistra, serve un Pisapia per ricostruire dalle macerie”

Daniela Preziosi, Il Manifesto

 

O faccio «un centrosinistra vincente o mi arrendo», annuncia l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia alla vigilia del lancio del suo Campo progressista, domani mattina a Roma al Teatro Brancaccio. Dove accoglierà i fuoriuscitidi Sinistra italiana di Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio e braccio destro di Nicola Zingaretti, altro fan della coalizione.

Per Pisapia dopo le scissioni c’è il ritorno all’unità. Vi siete scissi per poi riunirvi? Con il Pd o con le sinistre che avete appena lasciato?

Con chi sarà d’accordo con una nuova agenda sociale. C’è bisogno di discontinuità. Bisogna ridare senso alla parola sinistra. Parto dalla mia esperienza amministrativa, nel Lazio. Il bando per medici non obiettori è una cosa di sinistra che si può fare, e che abbiamo fatto. Abbiamo ampliato il diritto allo studio con il reddito per il cittadino in formazione. Vanno fatte cose di sinistra. Come abolire i voucher, cambiare la buona scuola e il jobs act. O il reddito minimo, di cui in Regione lanciamo una sperimentazione che anche il ministro De Vincenti definisce interessante.

Crede che il premier Gentiloni, così vicino a Renzi, farà qualcuno di questi provvedimenti?

Se mettessero in fila ius soli, testamento biologico e una discussione vera sul reddito minimo, io discuterei con chiunque.

Voi ex Sel eravate all’opposizione. Ora fate gruppo parlamentare con gli ex Pd. Ma la pensate diversamente: sul decreto Minniti, per esempio.

La maggioranza di governo ha gli stessi numeri di prima. Se il governo cambierà priorità i numeri potranno persino crescere. Se invece il futuro del governo dei flussi migratori sono i Cie invece siamo lontanissimi. Il gruppo è fondamentale per partire, ma serve un movimento territoriale capace di richiamare in servizio le migliori esperienze della sinistra che ha abbandonato il campo per stanchezza e delusione. Dobbiamo ripartire dai luoghi della sofferenza sociale. E da quelli dell’innovazione. Il riformismo radicale non è un pranzo di gala e neanche la mozione della nostalgia. In questo nuovo inizio ci sono i padri nobili , come Bersani D’Alema Errani, e sul territorio un gruppo dirigente pronto ad assumersi responsabilità.

In parlamento se non fosse per Forza italia, finireste per mandare a casa il ministro Lotti?

È un passaggio difficile, rispetto le decisioni che il nostro gruppo prenderà. Ma i processi devono svolgersi nei tribunali. Per me un indagato è sempre un presunto innocente. Anche quando si chiama Luca Lotti.

Come sceglierete il vostro leader?

Con processi aperti, democratici, che non hanno paura della partecipazione. Primarie delle idee e delle persone. Comunque una cosa è già certa: le nostre non saranno leadership urlate, ma solide, sobrie, coerenti. Pisapia incarna al meglio questo progetto. La sua Milano è stata quella dell’innovazione, della creatività e della solidarietà. Dopo le macerie a cui ci condurrà una legge elettorale pensata per forze politiche autoreferenziale e che produrrà instabilità, servirà gente capace di ricostruire il Paese. Di questo parleremo domani al Teatro Brancaccio di Roma con Nicola Zingaretti e tanti ricercatori, ambientalisti, attivisti sociali.

A Pisapia guardano anche personalità del Pd come Manconi e Mucchetti, schierate con Orlando. Ma a chi guarda Pisapia? A Renzi?

Ha chiarito di non essere la stampella di Renzi. Lo ha definito «divisivo». Penso che come noi Pisapia guardi al Paese, a ridare speranza e non rancore a chi sta peggio. Dopo gli anni del rigore serio, sono arrivati gli anni del rigore happy days. Ma le politiche e la vita delle persone sono rimaste al palo. Bisogna cambiare l’orchestra, i blocchi sociali e generazionali di riferimento.

Se non vi alleerete con il Pd lo farete con Sinistra italiana?

È stato doloroso essere stati messi fuori da compagni con cui ho militato vent’anni. In ogni caso le modalità congressuali erano quelle dello spettacolo legittimante, inconciliabili con una discussione vera. Hanno scelto la separatezza e una vaga allusione all’autonomia del sociale. Con freddezza hanno deciso di fare a meno di personalità, intelligenze, esperienze territoriali. Buona fortuna.

Perché separatezza? Si sono uniti con Possibile, di Civati. E Vendola ha incontrato D’Alema.

Se Vendola parla con D’Alema fa bene. Per lui nutro affetto e riconoscenza, anche se mi sarei aspettato un atteggiamento da padre nobile. Vederlo indifferente agli abbandoni mi ha fatto male. Ma va bene che voglia aprire un dialogo con noi e D’Alema. Anche se poi dovrebbe contenere la richiesta di autocritica: ognuno pensi alla propria. Chi come noi viene da una lunga stagione politica deve essere prudente nel reinventarsi in panni radicali o nel buttarsi in furori simil 5 stelle.

09 Mar, 2017

“Resto e voto Orlando ma la speranza è Pisapia”

La Repubblica

Luigi Manconi resta nel Pd, si schiera con Andrea Orlando e aderisce al Campo Progressista di Giuliano Pisapia. Il senatore democratico è in sciopero della fame per sostenere l’azione nonviolenza della radicale Rita Bernardini per la riforma penitenziaria.

Perché lo sciopero?
“L’affollamento delle carceri ha ripreso a crescere e i suicidi si sono fatti più frequenti: 12 in due mesi. E questo, nonostante alcune buone cose fatte da Orlando: un’altra ragione per sostenerlo nelle primarie”.