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09 Mag, 2016

Torno Subito 2016

Domani 10 maggio, dalle ore 17.30 alla Ex caserma Guido Reni verrà presentato il nuovo bando Torno Subito per il 2016.
Si rinnova l’impegno della Regione Lazio nel dare un’opportunità ai giovani e ai territori della nostra Regione.

Si potranno chiedere informazioni e conoscere le aziende e gli enti che partecipano a questa nuova avventura e che saranno partner delle ragazze e dei ragazzi che vorranno partire.

E, alla fine, aperitivo e musica per stare insieme!

save the date torno subito 2016

03 Mag, 2016

Giornata Mondiale della Libertà di Stampa

Oggi – Giornata Mondiale della Libertà di Stampa – ho passato la prima parte della mattinata con le scuole alla Biblioteca Nazionale per parlare di giornalismo e antimafia, insieme a Ossigeno per l’informazione e Libera.

Perché la conoscenza è alla base di ogni azione contro la criminalità organizzata, e perché le mafie non amano avere cittadini informati.

In commissione antimafia alla Regione Laziolazio ripeto ad ogni occasione che noi siamo nati innanzitutto per gettare ponti e spezzare solitudini.

Sono soli quei cittadini e quelle associazioni che compiendo ogni giorni scelte antimafia non sentono le istituzioni al loro fianco.

Sono soli anche quei giornalisti minacciati, dalle forze criminali e dal precariato, che con la loro vedono minacciata anche la nostra libertà.

Per questo oggi sono stata felice di annunciare a studenti e giornalisti che prossimamente arriverà in aula la Proposta di legge sul pluralismo dell’informazione da noi licenziata in III commissione.

Una legge che afferma l’importanza di avere un’informazione orientata alla legalità e alla giustizia sociale.

Una legge che stanzia risorse per le emittenti in crisi.

Una legge infine che riaffermando l’importanza del rispetto dei contratti anche per i giornalisti si schiera al loro fianco, per un’informazione realmente libera.

02 Mag, 2016

18 aprile. Visita al Consultorio di Via della Consolata/ASL RM 3

Arrivo al consultorio di via della Consolata come al solito chiamata da chi quel servizio lo frequenta e lo anima tutti i giorni. Stavolta però il telefono squilla non per volontà delle operatrici, ma di un gruppo di mamme che si riveleranno oltreché appassionate organizzatissime, e che si riuniscono sotto la sigla di un’associazione: Pachamamma.

Come la Madre Terra, che tante e bellissime pagine sta facendo scrivere alle Costituzioni dei più avanzati Paesi dell’America Latina, PachaMamma si batte per i diritti e il benessere delle mamme e dei loro figli, in due parole per una maternità serena e naturale.

Quando arrivo in realtà mi trovo di fronte a una vera e propria mobilitazione: striscioni fai da te, fischietti, megafono, marsupi passeggini pancioni e bambini di tutte le età ovunque, persino il pediatra di zona. Le mamme del consultorio di via della Consolata sono parecchio preoccupate e protestano, perché un’ostetrica della struttura (anzi sarebbe meglio dire L’OSTETRICA) Chiara Pizzi è stata a loro modo di vedere ingiustamente licenziata dalla ASL (vicenda parecchio delicata e tutta in fieri, che non è questa la sede né il momento di raccontare).

In ogni caso quelle mamme e quei bimbi raccontano con la loro presenza e la loro energia bella un pezzo di storia comune a tutte quelle di questo blog: i consultori sono (ormai da quarant’anni) luoghi di grandi incontri, di scelte fondamentali, di pezzi di storie individuali che poi diventano anche storie di quartiere, di intere comunità.

Naturalmente approfitto della mia visita in via della Consolata ed entro a visitare i locali.
Il posto è bello, dignitoso e funzionale. Certo magari c’è difficoltà a trovare parcheggio su una strada di scorrimento non proprio accessibile, ma la storia di quell’edificio vale da sola il viaggio: frutto di una delle tante colate di cemento firmate a Roma da Caltagirone, nel 1987 viene requisito dal Comune e destinato a uso pubblico.
E infatti da quel cancellone si entra sia al poliambulatorio che al consultorio.

Il primo, sulla sinistra, ha la porta aperta e le persone che aspettano in fila seduti nella sala d’attesa. Il secondo, il consultorio, è sulla destra e come si conviene ha la porta chiusa, perché i sevizi che ospita richiedono riservatezza, tranquillità, silenzio.

Ovviamente quando entro trovo come sempre mi succede durante questo viaggio i sorrisi la cordialità e i mille racconti delle operatrici del servizio. Con loro a fare gli onori di casa c’è anche Rita Gentile, responsabile ostetrica di tutta la ASL che oggi si chiama 3 e che fino a qualche tempo fa era la D (da Monteverde a Massimina a Ostia a Fiumicino e tutto il litorale, praticamente da sola una regione geografica!).

Le stanze sono pulite e ridipinte non da molto. Solo quella della psicologa è chiusa, ma perché dentro c’è un colloquio in corso. La sala più bella è quella delle mamme, dove si fanno i corsi pre-parto, quelli per l’allattamento, i baby massaggi. L’affetto che lega le donne del quartiere a quel posto, a quelle quattro mura, ha un segno tangibile di testimonianza nell’affresco che prende quasi tutta la parete di fondo della stana: lo firmano, appunto, due mamme che da lì sono passate prima con le loro lance, poi coi loro bambini da fare vaccinare.

Ci sono con me l’assistente sociale e la ginecologa. Mi raccontano di quanto sia importante il lavoro che da decenni quel posto fa con le famiglie, per la genitorialità, per la fascia 0-3 anni, in raccordo anche con il dipartimento di salute mentale della zona. C’è rammarico, e come non potrebbe, per il depotenziamento che negli anni in termini di risorse e anche di personale ha vissuto anche via della Consolata: un tempo, tanto per dirne una, l’intero distretto era un’eccellenza in città per il servizio offerto come Consultorio Giovani, e invece adesso gli orari per i ragazzi sono ridotti al lumicino e – cosa ricorrente ahimè in tutto il territorio regionale – non si riesce più ad andare nelle scuole, e quindi avvicinare così le e gli adolescenti a un luogo troppo spesso sconosciuto alle nuove generazioni.

Mi congedo da via della Consolata e da quelle preziose operatrici annunciando il rilancio che il Presidente Zingaretti intende imprimere ai consultori del Lazio, in termini di risorse, di ristrutturazione degli edifici, di personale. Leggo nei loro occhi il comprensibile timore di non farsi troppe illusioni. Esco con una voglia matta di smentirle, di poterci riuscire.

È la scommessa di questo viaggio d’altra parte: dopo anni di assalti ideologici contro e/o passi indietro sui consultori riuscire a far fare un passo avanti vero, a queste strutture, così preziose per tutte e tutti noi.

28 Apr, 2016

Continua il lavoro in commissione antimafia

Continua il lavoro in commissione antimafia del Consiglio regionale del Lazio. Oggi abbiamo audito Legambiente Lazio, che ha ripercorso con noi il prezioso lavoro del Rapporto Ecomafie, Libera Contro le Mafie, che ci ha chiesto buona volontà e determinazione nel voler contribuire a tracciare un quadro di sistema delle mafie (e dell’antimafia) nel Lazio e l’associazione I cento passi di Viterbo, che ha lanciato il suo grido di allarme su una realtà pesantemente insediata dalle mafie eppure così poco conosciuta.

E domani la commissione esce dalla Pisana: saremo in audizione in prefettura a Frosinone.

07 Nov, 2015

Io ho conosciuto Chiara, per questo quella sentenza mi fa male

Nel marzo scorso ho conosciuto Chiara Monda nella sua stanza d’ospedale.
Tornata a casa ho scritto una cosa, che volevo tenere per me. Senza darle risalto, senza “pubblicità.

La sentenza dell’altro giorno, lo sconto di pena per il suo ex che l’ha massacrata di botte, mi ha indotto a ripensarci. Così ho chiesto il permesso ai suoi parenti, e qui di seguito pubblico la cronaca di quel pomeriggio così intenso.

Perché dopo la sentenza, c’è bisogno di pensare e ancora pensare e pensare ancora.
Il mio dunque vuole essere un contributo. Leggete vi prego fino in fondo.

17 MARZO 2015 – CHIARA

Oggi ho conosciuto Chiara.

Dopo aver tanto letto di lei, dopo averla avuta compagna di viaggio durante l’approvazione della legge contro la violenza sulle donne, oggi sono andata a trovarla nella sua stanza d’ospedale.

Chiara da poco prima dello scorso Natale è ricoverata al Santa Lucia, sull’Ardeatina.
Condivide la sua stanza con una signora, ma le sue compagne di camera in questi tre mesi sono cambiate spesso.

C’è una bella luce in clinica, spazi larghi e nuovi, tanto dolore silenzioso e dignitoso.
Definitivo nel suo essere composto.

Sul lato del letto di Chiara attaccate al muro ci sono tante foto: la Lazio, il suo cane Molly, sua cugina.
E poi Chiara. Chiara sola e Chiara che accarezza Molly.

Lei è su una grossa sedia a rotelle.
La prima cosa che penso quando la vedo e’ che mai l’avrei riconosciuta solo dalle foto apparse sui giornali nei giorni del fatto.

E’ tutta diversa.
Taglio colore e credo anche consistenza dei suoi capelli: prima biondi, lunghi, sembrano morbidi nello scatto che ha fatto il giro delle tv. Ora castani, corti, paiono duri.

Gli occhi che erano luminosi e felici ora sembrano spenti. Occhi di bambola. Senza nessuna voluttà.

Occhi stanchi oggi, perché Chiara ha riposato poco e in palestra l’hanno fatta lavorare molto. Ha fatto su e giù col braccio diverse volte.
Per noi sarebbe una sciocchezza, ma Chiara è completamente ferma da un anno.

Chiara è stata in coma. Chiara e’ morta anzi lui l’ha uccisa due volte, mi dice la zia Antonella. Quando l’ha ridotta così, prima strangolata, poi sbattuta con la testa al muro, poi infierito sul suo capo a colpi di calci dati con pesanti scarpe da lavoro.
E poi quando le ha lasciato una coscienza.

Chiara capisce tutto. In questi giorni si festeggia il fatto che stimolata dai medici alla richiesta prendi la penna blu ha piano piano allungato il braccio e afferrato la penna blu. Stessa scena si è ripetuta con la penna rossa. Invece quando i dottori le hanno detto prendi la penna gialla Chiara li ha guardati come a dire: ma che mi prendete in giro? La penna gialla infatti non c’era.

Piange Chiara. Ma non col suono, o con il movimento del petto e delle spalle.
A Chiara scendono lacrime silenziose e lente. Come quel giorno che ha sentito la voce della nonna al telefono.

Davanti a me il papà, Maurizio, la esorta con successo a stringere il suo peluche (Molly anche lui), che tiene sulle gambe, insieme a una marea di altre cose: un cuscino, un telo per non sentire freddo, i tubi dei vari sondini. Ne ha uno per mangiare, uno per respirare, intuisco gli altri. Le sue dita sono minuscole, molto più piccole di quel corpo gonfio per la sofferenza inerte della sua quasi morte. Sulle unghie smalto celeste.

Sul viso ha delle bollicine rosse. E quello che sembra un leggero graffio che manda in apprensione Maurizio, che sapendo già di non ottenere risposta le chiede: Chiara che hai fatto qui?

E’ vestita con una tuta blu ma c’è anche del viola: tutto è ordinato e coordinato in lei, si vede che qualcuno la cura. Papà Maurizio va la’ tutti i giorni, ha gli occhi larghi e lucidi, anzi larghi e opachi. Gli occhi di chi non dorme da secoli.
Mi racconta la sorella Antonella che a volte si addormenta in stanza da Chiara e siccome alle dieci la clinica chiude deve scavalcare il cancello.

Anche la mamma è accanto a Chiara. Sembra vivere in un mondo tutto suo.

Mentre guardo Chiara che, se potesse e ci riuscisse sbadiglierebbe per quanto è stanca, e chiude gli occhi e li riapre come fanno i bambini sul seggiolino della macchina mentre si viaggia, mi accorgo che sul braccio sinistro, nella parte interna, ha un tatuaggio. La lettera Emme.

Non la Emme di Molly, ne’ di mamma. Non la Emme di Maurizio il papà.
Emme come l’altro Maurizio. Lui.

Che ci ha messo nove ore per iniziare e finire di ammazzarla quel giorno. Quando ha scoperto che si scambiava dei messaggi con un suo amico.

Che poi già più di una volta era stato denunciato dal papà di Chiara perché la maltrattava. Ma Chiara era maggiorenne (ha compiuto vent’anni il 30 dicembre scorso) dicevano che era lei a decidere. E nessuno ha dato peso a quel suo piccolo ritardo che la seguiva dalla nascita.

Dicono i medici che Chiara non ricorda il momento della sua morte. Quelli come lei rimuovono il trauma.
Però Antonella è convinta che quell’atteggiamento con la mano, che spesso è messa tesa e dritta come a parare un colpo, sia perché lei ancora tenta di difendersi.

Quel giorno non ce l’ha fatta. Ha fatto un solo squillo sul telefono del padre prima di morire Chiara. Dice proprio così Antonella, prima di morire Chiara.

Non tornerà più quella di prima, questo si sa. Magari tornerà a parlare, sarebbe un miracolo. Ma non camminerà più. A casa ci saranno da fare i lavori per adeguare gli ambienti alle nuove necessità della famiglia. E poi bisognerà avere due infermieri a darsi il cambio. E chi pagherà tutto questo?

A quello hanno dato 20 anni di carcere, con l’aggravante per la “crudeltà” con cui ha infierito su di lei. Ma risulta nullatenente quindi zero euro di risarcimento.

Il dopo è per Maurizio un incubo peggio dell’oggi, al punto che arriva a desiderare ancora adesso – con pudore e mezze parole – che le cose fossero andate diversamente da così. Che Chiara se ne fosse andata e basta.

Chiedo al papà il permesso di farle una carezza prima di andare. Con il dorso della mia mano destra le sfioro due volte il suo braccio destro. Ha la pelle liscissima. E bianca come il latte.

Ecco da cosa la riconoscerei vedendo la foto, penso.
Quel pallore della pelle era già il suo, non è cambiato.
Quella pelle bianca è Chiara.

Apre gli occhi quando sente il mio tocco.
Mi sembra che mi guardi come a dire chi sei non ti conosco.
Ma è più curiosa che infastidita.
Almeno così voglio pensare.

Piacere Chiara.
Conoscerti è stato forte.

23 Ott, 2015

Quando si sveglia il cuore della mia città

Ormai lo faccio da qualche anno. Tutte le mattine di buon’ora corro per le strade del mio quartiere: la rassegna stampa in cuffia, gli occhi e le gambe ben piantati sulla mia città. Sono momenti a cui non riesco più a rinunciare, li ho resi uno dei pilastri del mio impegno di amministratrice locale. Mi pare di vederla meglio Roma all’alba, di capirla di più. Corro nelle ore in cui la notte lascia il passo al giorno. Quando il caos e il puzzo del traffico ancora tacciono, e riesco a sentire il profumo del caffè che arriva da dietro alla tapparella appena aperta al primo piano, o la musica che suona da una radio nascosta dietro a quel davanzale in cui tutte le mattine sono stese a rigenerarsi le lenzuola e i cuscini della notte.

All’alba si vede la città che riparte, con la sua forza, le sue fatiche, le sue contraddizioni. Protagonisti fissi della scena sono naturalmente i cani con i loro padroni, accanto alle signore anziane che scendono di casa accompagnate dalle badanti straniere, e si fermano sui muretti dell’isola pedonale a leggere i giornali insieme. Così in quella piazza tutti i giorni vedo avanzare silenziosa e quasi inconsapevole quella convivenza tra diversi che invece sembra così impossibile da raggiungere tra le urla televisive. Qua e là spuntano mezzi addormentati i ragazzini delle medie, concentrati nel loro tragitto casa-scuola che poi è anche la strada che, attraverso i loro passi nella città, li conduce verso l’adolescenza.

Il mattino è anche l’ora dei mestieri. Quelli che si prendono cura di Roma. Stamani, per dire, c’erano due camion con l’escavatrice fermi sotto casa. Si vede che aprono qualche cantiere qui intorno. Sempre, ci sono i camion della nettezza urbana, che oltre a svuotare i cassonetti segnalano l’ultimo frigorifero abbandonato sul marciapiede da qualche civilissimo residente.

Gli spazzini in effetti ultimamente sembrano aumentati. Spazzano, e falciano l’erba che altrimenti in alcune fasi della tormentata amministrazione della città trasforma la mia corsa in una specie di trekking di montagna. Come in un teatro, fa da sfondo al mio andare in giro per il quartiere un muro lungo e grande che recinta una scuola. È un muro magico, che si rinnova più o meno ogni settimana: perché è il muro che i writers della zona hanno eletto a loro tela. Così ogni tanto il passo rallenta per ammirare l’ultima creazione che – quasi scientificamente – è accompagnata dall’incazzatura che mi fa vedere le bottigliette spray buttate nell’aiuola. Lasciate la’. Come se al bello, a Roma, non potesse che accompagnarsi sempre anche il brutto, il cosiddetto degrado.

Ma c’è un fotogramma che io ho eletto a mia scena preferita mentre corro e la città si risveglia. È per me quello il tasto che misura la temperatura del rapporto tra lo Stato, l’amministrazione pubblica, e la vita dei suoi cittadini. Ogni mattina poco prima delle 7.30 incontro in piazza il pullmino di Roma Capitale che accompagna a scuola i ragazzi disabili. Gli corro di fianco, senza intralciare, ma osservo tutti i giorni quella scena che sempre mi commuove e mi dà pensiero.

Lei scende accompagnata dalla mamma, dal papà o da entrambi.

A volte è serena e sorride. Più spesso quando si apre il portone comincia ad urlare, non vuole andare. Se c’è la mamma la porta delicata per un braccio, e per fare quei pochi metri deve sfoderare tutta la sua forza perché lei è già adolescente e piena di energie. Se c’è il papà fa sempre lo stesso gesto: posa a terra la sua ventiquattr’ore di cuoio e la convince a salire, ancora una volta, su quel pullmino. Accolta dal buongiorno degli operatori sociali e dell’autista.

Da anni negli occhi di quei genitori nel momento del saluto io vedo sempre la stessa cosa: l’ansia di separarsi, forse anche il senso di colpa. E il sollievo di poter tirare il fiato almeno per qualche ora, vedendo affidata la propria figlia in buone mani. Che in fondo sono le mani della città, le nostre.

Ecco, io non so cosa succederà nei prossimi giorni e mesi a Roma.

Credo però una cosa: che per ripartire questa città ha bisogno innanzitutto (non solo ma innanzitutto) di ricominciare da qui. Dalla cura.

Che è cura degli spazi, delle persone, delle relazioni.

Da quella stanza in cui tutti i giorni suona la sveglia, la luce del comodino si accende, e la giornata comincia. E come andrà, se sarà una giornata bella, semplice, serena, felice, dipende anche dalle scelte della politica.

15 Ott, 2015

La politica che innamora

In questi giorni sono venuti in visita diplomatica a Roma Daniel Placeres ed Heber Bousses, deputato e dirigente del MMP – Movimiento de Partecipaciòn Popular – il partito del grandissimo presidente dell’Uruguay Pepe Mujica.

Ho avuto la fortuna di incontrarli lunedì mattina.

Grazie a Giulio Marcon e a Carlo De Angelis, nella saletta riunioni del gruppo #Sel a Montecitorio.

Sono state ore di un’intensità potente.

Come le loro parole: potenti e semplici.

Ci hanno raccontato del valore dell’#umiltà in politica, che non vuol dire avere una visione impoverita della democrazia ma mettersi all’altezza delle persone nel momento in cui si prendono le decisioni.

Ci hanno raccontato di #sceltepopolari, non populiste, ossia di quando chi è al governo punta innanzitutto a dare una casa a tutti, un reddito per istruire i figli, un frigo con cibo sufficiente per mangiare, la possibilità di divertirsi con gli amici nel week- end.

Ci hanno detto di come per unire il Frente Amplio occorra partire dalle #pratiche della politica capaci di coagulare consenso, e non dalle distinzioni ideologiche, che portano inevitabilmente dritto verso le divisioni.

Ci hanno raccontato di come interpretano loro il loro stare in Parlamento e nelle Istituzioni: stanno là per aprire le #porte alla gente.

Infine Placeres ed Heber hanno consegnato nelle nostre mani il seguente suggerimento: fate innamorare i #giovani del vostro programma.

Ecco. Io penso che noialtri dovremmo attrezzarci a fare tutto questo.

Con semplicità e passione. Innamorandoci da capo della politica.

09 Ott, 2015

Lo sguardo sulla città

Ci ho dormito su.

Dopo una giornata passata a votare un’ottima legge contro l’usura mentre tutto attorno cresceva il rumore delle macerie che venivano giù.

Dopo un pomeriggio vissuto accanto a tanti bravissimi amministratori municipali, addosso i brividi di una doccia fredda, le lacrime calde agli occhi.

Dopo una serata seduta in macchina sfiorando Roma in cui ancora una volta mi sono trovata a pensare “ci risiamo, di nuovo la mia città vive momenti difficilissimi”.

Provo a dire la mia sulle ‪#‎dimissioni‬ del Sindaco ‪#‎Marino‬.

Per un attimo lascio da parte la questione degli scontrini, pur pensando che il tema non sia il rimborso ma – nel caso – la menzogna. Lascio perdere il giornalismo quanto riesca ad essere un pessimo mestiere quando si allea di fatto alle peggiori consorterie. Mi tolgo dalla testa persino quella che penso essere ora la faccia soddisfatta di ‪#‎Renzi‬, che da mesi aveva il dito pronto sul pulsante “game over” e non vedeva l’ora di pigiarlo.

Io semplicemente oggi penso questo.

Che il Sindaco #Marino dopo aver gloriosamente voltato le spalle ai soliti poteri forti e criminali della Capitale, non è stato capace di fare l’altro gesto necessario a governare Roma: guardarla negli occhi.

Non si è messo alla sua altezza, non l’ha ascoltata fino in fondo, non ha stabilito con lei un’empatia.

Quindi non l’ha capita.

Dopo aver scansato le mani dalla città, non ha posato davvero lo sguardo sulla città.

Difficilmente questa cosa potrà accadere nei prossimi venti giorni.

03 Ott, 2015

Il nostro sentiero dell’acqua pubblica

Non hanno vita facile, ma per i beni comuni c’è una strada per­cor­ri­bile all’interno dell’autostrada di asfalto e affari trac­ciata dallo Sblocca Ita­lia del governo Renzi. Il Lazio sta pro­vando a per­cor­rerla, alla voce “acqua pub­blica” e nel rispetto di quel refe­ren­dum che meno di cin­que anni fa ha por­tato 27 milioni di ita­liani a espri­mersi in modo incon­tro­ver­ti­bile su alcuni que­siti aggan­ciati al prin­ci­pio dell’acqua come “diritto umano fondamentale”.

In que­sti giorni il Con­si­glio regio­nale del Lazio ha appro­vato le modi­fi­che alla legge 5/2014 — la prima in Ita­lia ad aver attuato il refe­ren­dum — rispon­dendo così ai rilievi che Palazzo Chigi aveva mosso con­tro quel testo. “Inco­sti­tu­zio­na­lità”, diceva il governo, che nel frat­tempo con lo Sblocca Ita­lia da una parte e con la Legge di sta­bi­lità dall’altra ha sve­lato le sue vere inten­zioni, pun­tando senza se e senza ma a una gestione dell’acqua cen­tra­liz­zata, in mano ai pri­vati, alla fac­cia della par­te­ci­pa­zione dei Comuni e dei cit­ta­dini. L’aula della Pisana ha rispo­sto, ade­guando il testo senza smen­tire lo spi­rito refe­ren­da­rio, anzi met­tendo in sicu­rezza il con­cetto dell’esclusione della “fina­lità di lucro” quando si parla di acqua.

È stato un lavoro deli­cato, paziente, in costante rac­cordo con i movi­menti dell’acqua e che ha visto alla fine espri­mersi all’unanimità la mag­gio­ranza, con il Movi­mento Cin­que Stelle e con il centro-destra. Un lavoro di una Regione-Davide che si scon­tra con­tro un governo-Golia che pur di arri­vare all’obiettivo fa leva per­sino sulle casse sem­pre più impo­ve­rite degli enti locali, allun­gan­do­gli il boc­cone dell’alleggerimento del patto di sta­bi­lità in cam­bio della (s)vendita dei ser­vizi pubblici.

L’altro giorno abbiamo dato al governo un primo stop. Adesso ci aspetta la par­tita più impe­gna­tiva, quella della defi­ni­zione degli Ambiti di bacino idro­gra­fico, con la quale final­mente armo­niz­zare la gestione dell’acqua non con le logi­che del pro­fitto ma con la forma e la natura del nostro ter­ri­to­rio. I suoi fiumi, le sue sor­genti, le sue mon­ta­gne, la sua popolazione.

Non siamo soli, sulla strada che abbiamo aperto con­trad­di­cendo il pen­siero unico che ci governa. Abbiamo dalla nostra dei com­pa­gni di viag­gio pre­ziosi: Papa Fran­ce­sco, che con la sua enci­clica “Lau­dato sì” mette a fuoco in maniera cri­stal­lina il legame fra l’acqua e gli eco­si­stemi ter­re­stri e umani. Il Par­la­mento euro­peo, che ha votato l’inserimento dell’”acqua diritto umano” all’interno della legi­sla­zione comu­ni­ta­ria. Abbiamo infine dalla nostra lo sce­na­rio che i migranti, con i loro corpi di uomini, donne, bam­bini e vec­chi, hanno spa­lan­cato quest’estate davanti ai nostri occhi: che si scappi per guerra o per fame, la fuga nasce sem­pre da un assalto pre­da­to­rio alle risorse natu­rali di quei Paesi.

Per­cor­rendo il sen­tiero dell’acqua il Lazio quindi prova ad assu­mere su di se una grande sfida: quella di una poli­tica che sap­pia riap­pro­priarsi del prin­ci­pio della “respon­sa­bi­lità”, che è innan­zi­tutto — come dice Sal­va­tore Set­tis –respon­sa­bi­lità verso chi è distante da me, per pro­ve­nienza geo­gra­fica o di ceto sociale. La respon­sa­bi­lità di un’istituzione che lavori per dare nuova forza e vigore a una demo­cra­zia ormai sem­pre più fiac­cata da scelte scel­le­rate. Inde­bo­lita, anche, da quel refe­ren­dum vio­lato che tanta pas­sione civica aveva susci­tato nel nostro Paese.

Il Manifesto

30 Set, 2015

L’ultimo saluto

Più che una sala silenziosa e austera, una stanza piena di luce. E di parole sussurrate.

La foto in bianco e nero in fondo a sinistra. Il feretro ricoperto di rose rosse, e una sciarpa. Quella sciarpa. Dunque rossa anche lei. La corona solenne del Presidente della Repubblica e i due corazzieri enormi e candidi nelle divise.

Poi i discorsi rubati, nonostante lo sguardo dritto davanti a me come si conviene. Chiara, sottovoce, quando le vede entrare con le teste bianche e i fazzoletti tricolore al collo: “Ci sono le partigiane”. E loro, tremolanti commosse, costruiscono discorsi intorno a parole che sembrano paragrafi di un saggio sulla Resistenza: “oppressione…”, “lottavamo…”, “io mi ricordo”.

Aldo Tortorella commenta mi pare con qualche ironia alcuni titoli di giornale che, maldestri, provano a raccontare un lutto così grande eppure così fuori tempo, fuori sinc, rispetto al Paese.

Mi colpiscono, la camicia di seta di Luciana Castellina e la maglia comoda di Chiara. Stesso verde, è sicuramente di quel tono detto “verde speranza”. Io ho scelto un vestito scuro con delle stampe a fiori colorati, perché da qualche parte sulla rete ho letto che ti piacevano molto i fiori.

Guardo Simone, Celeste, Alessandro. Penso a Rosa, Sara, a tutti coloro che mi hanno detto “portagli anche il nostro saluto”. Penso sopratutto a Federico e a tutte quelle volte in cui abbiamo allungato il microfono insieme, per farti un’intervista. E siamo rimasti incantati e all’ascolto, davanti alla forza mite della tua voce e del tuo pensiero lungo.

Non rinuncio a pensare, carissimo Pietro, che noi tutti e tutte, insieme, sparsi dentro i tanti mondi che si chiamano Sinistra e che con fatica provano a ritrovarsi uniti, “continueremo a provarci”.

E io proseguirò con la mia abitudine, ogni volta che arrivo in spiaggia a Sperlonga. Mi volterò indietro verso i tuoi monti, e penserò che tu sei sempre là, che continui a guidarci.

Ps ieri ho fatto il picchetto d’onore davanti al feretro di Pietro ‪#‎Ingrao‬. Oggi è il giorno dei funerali di Stato.
Su Roma ci sono le nuvole. Ma queste notti in cielo c’è una luna stupenda.