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15 Mag, 2017

Regione Lazio, con Hub Generazioni accorciamo le distanze tra i giovani e le istituzioni

Con l’inaugurazione oggi in via Ostilia dell’Hub Generazioni (www.regione.lazio.it/generazioni), la Regione Lazio apre nuovamente le porte ai giovani. Questa volta lo fa grazie a una struttura messa a disposizione da Laziodisu, dove saranno attivate diverse postazioni informative sui servizi, i co-working, le borse di studio, gli alloggi per gli studenti, i bandi per gli under 35 e le diverse opportunità rivolte ai giovani. Si tratta di un nuovo punto di riferimento a loro disposizione, che si inserisce nel quadro dei servizi offerti dalla Regione Lazio e da Laziodisu e che va ad ampliare quella rete già attiva di cui fanno parte le sette sedi di Porta Futuro Lazio e gli hub culturali Moby Dick e Officina Pasolini ‘Ex Civis’. Un contributo importante per ridurre quella distanza e quella sfiducia di un’intera generazione nei confronti delle istituzioni.

15 Mag, 2017

La scala delle gravità e il senso del rigetto

di Mimmo Cortese, Comune-info

Le dichiarazioni di Debora Serracchiani, dopo l’orribile stupro di una ragazza triestina di 17 anni, fanno rabbrividire. Questo delitto diventa “socialmente e moralmente ancor più inaccettabile” perché è stato commesso da un profugo iracheno, dice la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia.
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Evidentemente, non essendo sicura di essere stata sufficientemente chiara, dopo due righe cerca di spiegarsi meglio rincarando la dose: “Riesco a capire – aggiunge – il senso di rigetto che si può provare verso individui che commettono crimini così sordidi” rompendo il “patto di accoglienza” con il nostro paese.
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Queste scellerate e inaccettabili parole vanno lette tutte assieme, il razzismo è coniugato strettamente alla sua istigazione attraverso una parola precisa: il “rigetto”. Il rigetto è “verso gli individui”, cioè verso persone in carne ed ossa. Non è l’atto odioso l’obbiettivo, è quella persona che l’ha commesso. Ma, e qui la gravità se possibile sprofonda, quella speciale persona è talmente speciale da non avere né un nome, né un cognome. Quella persona è lo straniero, il profugo. Che si permette addirittura di sbagliare, di commettere un delitto.
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Non so come si possano definire allora quelle parole, se non come un solleticare, e sollecitare, gli istinti più ciechi e violenti in circolazione nel nostro paese.
Ci sarebbe stato da augurarsi, a stretto giro di posta, una dichiarazione di scuse e di ammissione di un grave errore. Invece è arrivato un laconico e glaciale tweet senza nessuna scusa, nessun dispiacere, nessun chiaro rigetto di quelle oscene e violente parole: gli stupri sono tutti uguali ma – viene anzi ribadito – questo è peggio di altri, la rottura di quel patto di cui sopra lo certifica. Non una parola infine sulla “comprensione” del “senso di rigetto”, evidentemente ribadito.
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Affermare la maggiore gravità di un delitto, nel caso in cui a commetterlo sia un profugo o uno straniero, è un atto di grave discriminazione che internazionalmente si definisce xenofobia, indissolubilmente legata al razzismo quando lo straniero ha caratteri somatici ben identificabili e proviene da terre lontane. Affermare di “capire il senso di rigetto” verso lo straniero è una chiara istigazione al razzismo e alle pieghe violente e intolleranti che sempre più spesso si manifestano nel nostro paese.
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Ci sarebbe stato da aspettarsi, a questo punto, che il suo partito prendesse nettamente le distanze invitandola ad un gesto pubblico significativo. Ma, fino ad ora, un inquietante silenzio occupa l’agorà.
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Eppure, nonostante quanto scritto e detto sia già sufficientemente e tristemente chiaro, c’è ancora un aspetto che va considerato. Un aspetto da cui, forse, discende questo modo di parlare, questo singolare approccio alla lingua.
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Alcuni mesi fa Renzi, nel pieno delle polemiche legate alla sua famiglia, affermò: “Se mio padre è colpevole merita una pena doppia“. Solo in apparenza questo genere di affermazioni potrebbero essere definite delle semplici e innocue spavalderie da “bar”.
Il segretario del PD ha sempre cercato, usando questo linguaggio, di essere percepito come “popolare”, come colui che scende dallo scranno dorato e distante del politico e parla con le espressioni della gente. Chiaro e semplice!
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Non rendendosi conto che, seguendo questa strada, l’esito più probabile sarebbe stato confondere la chiarezza con la grossolanità e la semplicità con la superficialità. Non rendendosi conto che la chiarezza e la semplicità non hanno alcuna contiguità con il linguaggio che si manifesta nel cosiddetto buon senso del chiacchierare quotidiano, men che meno con le parole che accompagnano la reazione istintiva alle cose che ci succedono. Chiarezza e semplicità sono il frutto del lavoro lungo e difficile per arrivare al cuore di ogni questione. Sono il frutto della riflessione approfondita, delle domande indagate in ogni loro piega, delle verifiche sulle conseguenze delle scelte intraprese. Sono il frutto di ciò che si definisce senso della responsabilità.
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In realtà l’uso di questo linguaggio ha delle conseguenze ancora più serie. Quando diventa sistematico e perdura nel tempo, soprattutto quando arriva ed emana dai centri del potere, si sedimenta sempre nel profondo, predispone e orienta le persone a un modo di pensare, prefigura sempre lo sviluppo di una cultura.
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Chiedere l’eventuale pena doppia, addirittura con l’enormità di farlo per il proprio padre, non è stata solo una boutade e non ha mostrato affatto – come voleva essere nei suoi intenti – un rigore e un senso dell’etica più profondo, quella richiesta ha detto molto invece sul concetto di giustizia dell’ex premier. Ha detto di un giustizialismo mascherato e veicolato dal “sentire comune” del momento, come ricordava il ministro Minniti qualche giorno fa. Pena doppia! Dando per implicito, come messaggio di fondo, che le regole del diritto definiscono i rapporti e la convivenza solo se placano, subito, il nostro dolore, la nostra urgenza.

E’ in questo filone, credo, che si possono interpretare anche le parole di Serracchiani, il suo linguaggio. Allo stesso modo, sia pure in maniera più greve e incomparabile, rispetto alle capacità comunicative del segretario, il punto sul quale va a concentrarsi è sempre lo stesso, è il concetto di diritto, di giustizia.
Lo stupro commesso da un profugo rifugiatosi nel nostro paese, dice la presidente del Friuli Venezia Giulia, è più grave perché rompe il patto di accoglienza. E’ più grave dello stupro commesso dal marito? Quel patto d’amore ha un valore minore? E’ più grave dello stupro commesso da un branco di italiani? Il patto di civiltà ha meno valore? Quella moglie e quella ragazza avrebbero una minore ferita, una minore offesa, minore dolore, minore vergogna, minore disperazione in quelle circostanze? Naturalmente no. Ma “oggi” il patto di accoglienza sommuove e confonde la pubblica opinione.La scala delle gravità è una variabile dei tempi.

13 Mag, 2017

Morire in periferia, tra esclusione sociale e barbarie mediatica

Emiliano Viccaro, DinamoPress

Sono passate 72 ore dall’assassinio delle tre sorelle rom, vicino Centocelle, e la notizia è già precipitata negli inferi delle home page, sotto le rubriche degli spettacoli e delle curiosità. Sotto il nuovo singolo di Fedez o il video del “promesso sposo bendato”, caduto in un “divertentissimo scherzo”. Le testate liberal, seguendo l’ombra delle prime ipotesi degli investigatori, decidono che l’eventuale “vendetta tra rom” derubrica il livello di orrore – e quindi di notiziabilità – dell’omicidio. Non si tratterebbe di “razzismo”, ma di “regolamento di conti tra zingari”. Poca roba.

Proviamo a riavvolgere il nastro della copertura mediatica.

Mercoledì 10 maggio, tarda mattinata. I primi giornalisti che arrivano sul posto cercano il bottino del “quartiere degradato” e del decoro che non c’è. Tampinano i curiosi presenti, affacciati alle finestre o all’ingresso del centro commerciale Primavera, inaugurato nel 2003 tra polemiche e scontri con i residenti per una variazione urbanistica in corso d’opera. I reporter imboccano gli intervistati sui rom che rubano, saccheggiano, sporcano. Qualcuno parla di furti generici, altri di vetri rotti “non si sa da chi”, altri ancora si soffermano sui problemi legati alla raccolta dei rifiuti da parte dell’Ama. Alcuni, temerari, raccontano di chiacchiere mattutine e questue pacifiche “con gli zingari che abitavano nel camper”.

Nel primo servizio di Sky, la geografia viene piegata alla narrazione: “Siamo nel cuore di Centocelle, a poca distanza dal campo rom di via Salviati”. Siamo a Casilino 23 (da poco Villa De Sanctis, dall’omonimo parco che si estende tra via Casilina e via dei Gordiani), Centocelle inizia lì davanti e parliamo di almeno tre chilometri e due quartieri di mezzo, Collatino e Tor Sapienza, da via Salviati.

Nel pomeriggio, la stessa giornalista si fa immortalare in un lungo piano sequenza all’ingresso del campo rom attrezzato di via dei Gordiani. L’obiettivo si sofferma sulla catasta di rifiuti che assedia la fila di contenitori dell’Ama. Sguardo in camera e voce grave: “Siamo a pochi metri dal luogo del delitto, all’ingresso del campo tanta spazzatura e poca voglia di parlare”. Siamo invece a quasi un chilometro dal luogo del delitto.

Su questa linea si muove tutta la stampa (escluso il Manifesto) e le tv, che confondono toponomastica e collocazione dei quartieri, insediamenti abusivi e campi attrezzati, omettendo fino in fondo i dati ufficiali sul numero e il tipo di reati in città. Come se fosse impossibile restare agganciati senza speculazioni al fatto in sé, all’emozione della tragedia, all’assurdo destino – accettato come normalità – di una famiglia di undici persone costrette a vivere e a morire in un camper di un parcheggio qualsiasi di una periferia qualsiasi.

Le redazioni ridotte a fortini della “sicurezza pubblica” hanno pronti in canna i due colpi per affondare qualsiasi diserzione critica sul modello di città e di accoglienza, sulle politiche sociali. Se si apre la pista dell’aggressione “esterna”, è pronto il plastico della “reazione esasperata” del branco/balordi per conto del quartiere degradato, invaso dai rom; nell’ipotesi di una “vendetta tra clan”, si disegna il quadro antropologico del deviante “di natura”, si srotola la mappa della “città illegale” ostile allo Stato, alle regole, alla buona convivenza con i cittadini sani, bianchi e italici.

Nessuno o quasi ha raccontato il quartiere dove è avvenuta la strage. Casilino 23 nasce negli anni Settanta, in una zona cuscinetto tra Centocelle e Torpignattara. Zona di edilizia sovvenzionata e di cooperative, rosse e bianche, che iniziano a costruire in quel lembo di terra lambito dai borghetti dei baraccati della vicina Villa Gordiani. “Nel costruire il suo gioco urbanistico – raccontano gli architetti di strada Rossella Marchini e Antonello Sotgia – Ludovico Quaroni ha pensato ai bastoncini dello Shanghai. Una volta gettati sul terreno, la punta di quelle case guarda a un centro indefinito, lontano, che ‘tiene’ la loro disposizione a raggiera”.

Dall’inizio degli anni Ottanta si sviluppa un piano di servizi urbanistici integrati, tra residenziale “di qualità”, spazi verdi, strutture sportive, servizi, mercato, scuole, oltre a due luoghi inventati dal basso da un ricco tessuto sociale e politico. Al confine estremo su viale della Primavera, l’ex Casale Falchetti, occupato nella primavera del 1999, testimone ideale del vicinissimo Teatro di Centocelle, nato nel 1972 in seguito all’occupazione delle limitrofe case di via Carpineto. Un vecchio garage in disuso viene scelto come spazio scenico e, nel giro di pochi anni, il teatro entra di diritto nel circuito culturale alternativo, ospitando un memorabile spettacolo di Dario Fo.

Al centro del quartiere, nel 1988, viene occupato il Casale Garibaldi e riqualificata l’area verde circostante, fino ad allora residuo di una vecchia struttura rurale (dal nome dell’ubiquo e discusso generale che lì avrebbe soggiornato…), finita in un progetto di ristrutturazione della Provincia di Roma, annunciato e mai concluso. Vinta la battaglia della riqualificazione, a carico dell’amministrazione pubblica, lo spazio si sviluppa attraverso un progetto sociale e culturale promosso da un consorzio di associazioni. Questi luoghi, insieme alla straordinaria esperienza della scuola Iqbal Masih (diretta dalla compianta Simonetta Salacone) e alle connessioni con i comitati di genitori, insegnanti creativi, gruppi informali, singoli, centri sociali limitrofi, costruiscono una trama solidale non indifferente. In grado, nel corso degli ultimi venti anni, di intraprendere diversi percorsi di inclusione, conoscenza, contaminazione con gli insediamenti rom di Casilino 700 e 900, prima, e di quelli di via dei Gordiani, fino ad oggi.

Per essere chiari: da queste parti non c’è nessuna isola felice, nessuna comunità elettiva estranea alle contraddizioni e ai problemi di una città come Roma, alle sue pulsioni razziste, al suo egoismo di ritorno. La nascita del centro commerciale, una sorta di galleria scavata sotto la pancia del quartiere, non solo ha ingolfato la zona di traffico e di consumo compulsivo, ma ha generato un residuo sociale di comitive di muretto, coatte, para-ultras, muscolari, che a volte giocano senza timore con i simboli dell’orrore. A partire da queste contraddizioni, si conferma un contesto urbano striato, fatto di spazi, progetti, modi di vivere e abitare il quartiere irriducibile alla categoria passepartout del “degrado”, dei residenti asserragliati nel fortino, dell’invasione straniera, del decoro come arma di ditruzione dei legami sociali.

La nazionalità o il colore della pelle dell’assassinio di Francesca, Elisabeth, e Angelica non saranno un fattore determinante a stabilire, in meglio o peggio, il grado di barbarie della tragedia. Il razzismo e il fascismo di oggi, più di ieri, vivono e si esprimono nelle materiali condizioni sociali di povertà, esclusione, egoismo, sfruttamento. Non hanno bisogno, necessariamente, di una connotazione “etnica” o politica pura, separata, rappresentativa di un modello binario, comodo per le coscienze poco allenate alla complessità del contemporaneo. Le parole scarseggiano, la rabbia ci fa sbandare. E così prendiamo in prestito le parole di chi ha conosciuto sul campo la dura realtà della discriminazione e la passione per la solidarietà: “È l’esclusione sociale e il vivere ai margini che uccide, prima ancora della mano (qualunque essa sia) che appicca un fuoco o mette la mano su una pistola. E lo fa al di là della provenienza, non ha nazionalità. Da sempre tali condizioni hanno prodotto e producono ancora oggi morti e disperazione. Una spirale che riproduce se stessa. Dovremmo focalizzare l’attenzione su questo, spezzare questo cerchio, perché se non si interviene sulle cause che portano a queste condizioni, episodi di questo tipo continueranno ad accadere”.

12 Mag, 2017

La rivoluzione con il chador delle ragazze di Teheran

Vanna Vannuccini, La Repubblica

La scuola di musica è di fronte alla Vahdat Hall, il teatro dell’Opera. Ragazze con la tipica mise delle studentesse, spolverini stretti e foulard neri entrano e escono con i violoncelli, violini, strumenti a fiato.
Trentotto anni fa l’ayatollah Khomeini bandì ogni genere di musica. Trasportare uno strumento era come un’arma. Oggi non è più così, sebbene il divieto non sia mai stato abolito.

11 Mag, 2017

Rogo Centocelle, poli civici strumento regionale di accoglienza

All’indomani della tragedia costata la vita a una ragazza e a due bambine a Centocelle, è più che mai urgente interrogarsi sugli strumenti a nostra disposizione per venire incontro ai soggetti più fragili della popolazione e per evitare che fatti simili possano ripetersi.

A tal proposito, ci sembra una buona proposta quella avanzata alle istituzioni dall’associazione Medicina Solidale, che propone l’istituzione poli civici di accoglienza che consentirebbero di intervenire prontamente in caso di disagio. Si tratta di una buona pratica che come Regione Lazio abbiamo già accolto grazie a un emendamento da me presentato e inserito nella legge sul welfare approvata a luglio del 2016.

Uno strumento importante a nostra disposizione per sperimentare forme di prima accoglienza diffusa, ma anche per avviare progetti di welfare di comunità e interventi di mutualismo sociale rivolti alle categorie a rischio. Indipendentemente dalle gravi responsabilità individuali, che ci auguriamo vengano accertate il prima possibile, la tragedia di Centocelle ci insegna che è anche la sola povertà mettere in pericolo la vita delle persone e che di fronte a tale rischio è necessario predisporre interventi urgenti.

11 Mag, 2017

Una morte da stigma sociale

Tommaso Di Francesco, Il Manifesto

Mentre scriviamo l’unica certezza è che le povere vite di una ragazza e di due bambine, le sorelle Elisabeth, Francesca e Angelica Halinovic, sono ormai cenere. Unico residuo delle loro esistenze bruciate nel camper incendiato nella zona di Centocelle dove vivevano con la loro famiglia composta dai genitori e da ben 11 figli. Troppo presto per capire il movente di questo omicidio, commesso con il lancio di una molotov e però davanti ad un centro commerciale munito di videotelecamere.

Troppo presto – e già gli inquirenti lo escludono – per dire che il criminale sia stato mosso dall’odio xenofobo per i rom, tanto da fare ricorso ad un rituale plateale quanto sprovveduto; oppure se si tratta di un balordo mosso da risentimento o vendetta magari all’interno della stessa comunità rom, perché la famiglia delle ragazze uccise denuncia di essere stata intimidita. Certo non è lo stesso episodio di soli sei anni fa quando sempre a Roma, a Tor Fiscale, morirono quattro bambini in un rogo dentro un campo Rom, provocato da una stufetta.

Ma sono troppi ormai gli «incidenti», una vera litania, che ci costringono a commentare queste morti nei luoghi della esclusione sociale che qualcuno preferisce definire – ieri le agenzie italiane lo ripetevano – «ambienti nomadi».

Costringete alla chiusura e ghettizzazione un gruppo sociale che avete etichettato come diverso, sporco, dedito al furto, quasi etnicamente connotato per il malaffare; obbligatelo alla promiscuità interna senza collegamenti con il mondo esterno, alla marginalità. Ecco che questo stigma sociale diventerà esso stesso la motivazione del misfatto che si consuma. È quello che accade ai Rom in tutta Europa. Come dimenticare che l’ex premier francese Valls aveva costruito la sua fortuna elettorale pochi anni fa sulla cacciata da Parigi dei Rom. Una fenomenologia europea che rappresenta uno dei segnali, per tutti, della mancata integrazione sociale. Perché i rom sono stati cacciati dai luoghi d’insediamento storico, Slovacchia, Repubblica ceca, Bulgaria, ex Jugoslavia.

E, pur non avendo mai fatto guerra a nessuno, sono stati costretti di nuovo alla fuga per salvarsi, a quel «nomadismo» che lombrosianamente i luoghi comuni della xenofobia vogliono ogni volta attribuirgli, come fosse una «caratteristica» stampata sulla loro pelle e nel loro sangue.

Non è così invece. Alla loro stanzialità e sicurezza essi attendono ogni giorno, relegati però nei «campi», nella «emergenza» delle nostre società. Il progetto d’integrazione abitativa e prima ancora la scolarizzazione dei bambini rom, dovrebbero appartenere ad un programma progressista di svolta negli insediamenti urbani e in tutta Italia. Non è così. Anzi, spesso è proprio il contrario, con gli ultimi «nostrani» che si rivoltano, aizzati dall’estrema destra razzista, a ricacciare i nuovi esclusi ancora più sotto. Poco prima o appena dopo i rifiuti urbani, la monnezza.

La retorica dunque non serve, né è utile rinnovare gli stessi, improduttivi interventi fin qui realizzati. Occorre anche una rivoluzione culturale. Pensate che effetto farebbe – proponeva Leonardo Piasere nel suo recente e bel saggio «L’antiziganismo» – se mettessimo la parola «ebreo» al posto delle parole «zingaro» «rom» o «nomade», e per un popolo che ha subìto con il Porajimos lo stesso sterminio nazista. Che effetto farebbe dunque sentir parlare di «Piano ebrei», del «Centro raccolta ebrei» e del «vilaggio attrezzato per ebrei».

Serve, com’è accaduto ieri a Centocelle, vicino Via Gordiani – in una zona a memoria almeno «pasoliniana», che lavora ed è attiva sull’integrazione – la reazione emotiva e politica degli abitanti che hanno visto consumarsi la tragedia vicino casa, sotto le loro finestre.

Portano in tanti bigliettini e lettere di commiato e di dolore; e hanno scritto uno striscione, forse tardivo, ma vero e necessario: «Sono morti del quartiere».

10 Mag, 2017

Sui rifiuti nessuno fugga. Collaborazione istituzionale per uscire da crisi in cui a perdere è Roma

“La realtà dei fatti è nelle strade, dove sono i cassonetti pieni e maleodoranti, nei topi e nelle carte ufficiali, non nei post e nei tweet. E stando alle carte la Sindaca Raggi deve ammettere che nulla ha inviato alla Regione e che non esistono richieste di autorizzazione per questi fantomatici impianti. L’unica cosa che abbiamo ascoltato è il coinvolgimento di Aprilia e Colleferro e questo per noi è inaccettabile.

Il principio che vogliamo riaffermare, infatti, con forza, come abbiamo sempre fatto in tema di rifiuti è che Roma, come ogni comune, deve farsi carico dello smaltimento e del ciclo dei rifiuti che produce. Lo faccia nel proprio territorio di competenza, senza coinvolgere né l’area metropolitana, né le altre province. E’ un principio di responsabilità e di rispetto dei cittadini di tutto il territorio regionale.

Quindi, tornando alla polemica in corso, la Regione Lazio ha il dovere di occuparsi della questione rifiuti di Roma, dicendo cose chiare, ma non accettiamo di essere schiacciati dentro una polemica sterili tra avversari politici. Ci vuole lealtà istituzionale, perché un fatto è incontrovertibile: Roma, la capitale del Paese, meta di milioni di turisti da tutto il mondo, è sporca e in degrado.

Non c’è nessuno che può ritenersi estraneo da responsabilità: a pagarne le conseguenze non sarà Raggi, non sarà la Regione o il Comune, ma tutti noi e tutti coloro che hanno avuto l’ambizione di chiedere il voto ai cittadini, di raccogliere consenso, di assumersi una responsabilità. Ognuno, in primo luogo la Regione, in primo luogo il nostro partito politico, faccia la sua parte con l’unico obiettivo di trovare la soluzione per uscire, in fretta e senza steccati ideologici, da questa situazione.

Ci sono probabilmente in ognuna delle accuse reciproche una verità parziale. Sarà vero in parte ciò che dice il M5s, quando afferma di non poter risolvere in pochi mesi quello che è stato sedimentato in anni; sarà vero ciò che dice la maggioranza di questa Regione che ribadisce le proprie competenze e ritira la palla dall’altra parte della rete su questioni che riteniamo ingiuste; sarà in parte vero che oggi la destra interpreti la parte dell’arbitro, ma non può sottrarsi dal ricordare che per loro la soluzione, quando erano al governo, era quella di una Malagrotta bis ad Allumiere.

Ora però è il tempo del lavoro, per evitare ancora disagio. La Regione, lo ha detto il presidente Zingaretti, lo ha ribadito l’Assessore Buschini, ha le porte spalancate. Si collabori”.

A dichiararlo sono Gino De Paolis, Marta Bonafoni, Daniela Bianchi, Rosa Giancola e Riccardo Agostini, Consiglieri Mdp alla Regione Lazio

10 Mag, 2017

Rogo Casilino 23: tragedia immane, terribile ipotesi procura per omicidio volontario

Il rogo del camper al Casilino 23, in cui hanno perso la vita questa notte una ragazza di 20 anni e due bambine di 4 e 8 anni, è un fatto di una gravità assoluta. Così come è ancor più grave l’ipotesi al vaglio della procura che sta indagando per omicidio colposo dopo il ritrovamento di tracce di liquido infiammabile fuori dal camper.

Se fosse confermata questa pista ci troveremmo davanti a un episodio terribile, che mostrerebbe con ogni evidenza il volto peggiore di una città ancora più intollerante, razzista, degradata e non inclusiva, di fronte al quale non è possibile non intervenire. La tragedia che ha colpito quella famiglia, costretta a vivere in mezzo alla strada, in condizioni precarie e senza alcuna sicurezza, ci dimostra infatti che a Roma esiste un’emergenza, ma per i rom, ed è una realtà ben lungi dall’essere stata affrontata.

Cosa ha fatto l’amministrazione capitolina da un anno a questa parte? Non vorremmo ora che la colpa ricadesse sui genitori di quelle povere vittime, vittime a loro volta di un sistema che fa acqua da tutte le parti. Lo sanno bene i rom che vivono nei campi della Capitale, confinati nel degrado e nell’isolamento per i quali l’Europa ha più volte bacchettato il nostro Paese.

Una mancanza che oggi è costata la vita a una ragazza e a due bambine, vittime dell’assenza colpevole di una politica di inclusione efficace, coraggiosa, lungimirante. Un lutto grande che tutta Roma dovrebbe piangere.

09 Mag, 2017

Canale di Sicilia mortale: 200 dispersi in due naufragi

Alfredo Marsala, Il Manifesto

Voleva salire su quel maledetto gommone per dare un futuro migliore al bimbo che portava in grembo ormai da nove mesi. Finalmente sarebbe toccato anche a lei dopo mesi di stenti e privazioni nei casermoni lungo la costa libica; al suo fianco il marito. Ma quando tutto sembrava pronto, ecco la tragedia. Quel figlio per il quale aveva deciso di partire è venuto alla luce mentre si trovava in spiaggia; il bimbo c’è l’ha fatta, lei no. E’ morta di parto, mentre il marito, distrutto dal dolore, saliva sul gommone col viso pieno di lacrime, tenendo tra le braccia il neonato.

A raccontare questa straziante storia sono stati alcuni testimoni soccorsi nel Canale di Sicilia, giunti poi a Lampedusa a bordo della «Golfo azzurro» della ong Open Arms, che ha salvato in totale 500 persone, molti siriani, 300 delle quali trasferite poco dopo sulla nave Prudence di Msf sulla quale vi sarebbero il neonato col suo papà, diretta a Crotone. «Ho sentito questo terribile racconto – dice Pietro Bartolo, medico del poliambulatorio di Lampedusa – ma mi sono occupato di un altro bimbo, di appena un mese, che abbiamo trasferito in elisoccorso all’ospedale di Agrigento a causa di una grave crisi respiratoria. In questo sbarco c’erano 15 bambini, molte donne e molti siriani, che hanno ripreso la via di Lampedusa dopo lo scellerato accordo che l’Europa ha fatto con la Turchia. I siriani non si vedevano da tempo e il fatto che siano riapparsi è un segnale che deve far meditare la politica».Nel giro di poche ore sono stati lanciati due allarmi per circa 200 persone disperse in mare. Almeno 113 migranti si sarebbero trovati a bordo di un gommone che si è capovolto al largo di Az Zawiyah, in Libia, ha riferito Flavio Di Giacomo dell’Oim. Gli uomini della guardia costiera libica e alcuni pescatori sarebbero riusciti a salvare solo sette persone, sei uomini e una donna. Secondo i sopravvissuti sul natante si trovavano 120 persone, tra cui 30 donne e 9 bambini.

Sempre al largo della Libia sarebbero dispersi altri 80 migranti, come riferito dai sopravvissuti soccorsi dal cargo danese Alexander Maerks e giunti a Pozzallo (Rg). La tragedia sarebbe avvenuta intorno alle 8 di domenica. Durante la navigazione un gommone con circa 120 persone, probabilmente per l’eccesso di carico, ha cominciato ad imbarcare acqua e si è ribaltato, facendo cadere tutti i migranti in mare. Solo una quarantina di loro è riuscita ad aggrapparsi al natante, rimanendo in acqua per molte ore. Fino a quando non sono riusciti a salire sul mercantile «Maersk».

Il comandante del cargo danese ha confermato il naufragio e ha rivelato che alcuni dei cadaveri sono stati recuperati da un’altra nave impegnata nei soccorsi. Il sostituto procuratore di Ragusa, Marco Rota, ha aperto una inchiesta per naufragio colposo. Accertamenti sono in corso per verificare se il naufragio sia avvenuto in acque libiche o internazionali. Tra i dispersi ci sarebbe anche uno scafista, mentre la polizia sta valutando la posizione di tre persone sospettate di far parte del gruppo alla guida del gommone. Sempre a Pozzallo, la polizia ha arrestato uno dei presunti scafisti dei quattro gommoni, con a bordo 408 migranti sbarcati dalla nave Fiorillo: si tratta di un somalo di 19 anni, Nasrudin I Said, indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Altri scafisti, hanno ricostruito i testimoni, sono rientrati in Libia con un altro gommone dopo avere smontato i motori e lasciato alla deriva i natanti in attesa dell’arrivo dei soccorritori in acque internazionali. In manette anche un marocchino che avrebbe tentato l’ingresso clandestinamente che era destinatario di un ordine di carcerazione per furti e rapine commessi a Padova nel 2013. Rimangono sotto osservazione nell’ospedale di Pozzallo le 20 donne in gravidanze ricoverate due giorni fa, 11 delle quali con minacce di aborto: erano a bordo del cargo danese Alexander Maerks.

Dopo il boom di sbarchi nel weekend (oltre seimila), salgono a 43.245 gli arrivi di migranti nel 2017, il 38,54% in più rispetto al 2016, che alla fine è risultato l’anno record con 181mila stranieri giunti via mare; 5.551 i minori non accompagnati. I richiedenti asilo trasferiti in altri paesi europei secondo il piano della relocation sono 5.415.

08 Mag, 2017

Lang: “Il mio partito ha smesso di pensare. Solo Mélenchon riusciva a farci capire”

Stefano Montefiori, Corriere della Sera

“E’ una vittoria della libertà e della democrazia. Ma non ho mai dubitato che finisse così”. Jack Lang, 77 anni, è una figura storica della politica francese. Ministro di Mitterand dal maggio 1981, e poi al governo per oltre vent’anni tra Cultura e Educazione, europeista convinto, oggi Lang è presidente dell’Institut du Monde Arabe. Una vita nel partito socialista, dopo questa elezione sull’orlo della scomparsa.