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27 Dic, 2017

La Costituzione compie 70 anni. Scegliamo sempre da che parte stare.

Oggi la nostra bellissima #Costituzione compie 70 anni.

L’originale è stropicciata, un po’ come questa della foto. A differenza di quella però non è malandata per il troppo uso, ma per il troppo poco.

Oggi che è il suo compleanno ricordiamoci che la Costituzione va rispettata, attuata, incarnata. Ogni giorno, prima di ogni scelta.

Diceva Teresa Mattei, venticinquenne madre costituente: “La cosa più importante della nostra vita è scegliere da che parte stare”.

Ecco, la Costituzione è per me la bussola lungo il cammino.

05 Dic, 2017

Per cancellare il fascismo serve un novo racconto democratico

Questa notte la scritta “Duce a noi” che a Milano nel quartiere antifascista dell’Ortica aveva coperto #BellaCiao è stata sostituita da parole opposte e violente contro i neri.

Ecco, io continuo a pensare che il vero cancellino del fascismo debba essere un altro, quello fatto di giustizia sociale, uguaglianza, più diritti, memoria.
Un nuovo racconto democratico.

02 Dic, 2017

2 dicembre, contro la schiavitù oggi come ieri

Oggi 2 dicembre è la Giornata mondiale per l’abolizione della #schiavitù.

Non una rievocazione storica purtroppo, ne’ una foto da guardare sui libri… ma una piaga ancora oggi presente al mondo e nelle nostre città.

Penso ai volti incontrati dei raccoglitori di kiwi del sud-pontino vittime del caporalato.
Penso alle mani piccole immaginate – ma scritte nero su bianco nelle inchieste – dei minori stranieri che la notte faticano nelle frutterie anche del mio quartiere.
Penso alle lacrime delle nigeriane con cui ho parlato nel CIE di Ponte Galeria.
E naturalmente penso allo scempio che si sta compiendo, anche ora mentre scrivo, nelle carceri libiche. Con gli schiavi venduti a chi offre di più.

Anche il #2dicembre ci consegna il compito di combattere l’ingiustizia.

08 Nov, 2017

Rems, bene Zingaretti per impegno su riforma di civiltà

Bene la firma del Presidente Zingaretti del protocollo per la gestione delle Rems (Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria) del Lazio. Un passaggio che prosegue il lavoro della Regione in tema di sanità per i pazienti in stato di reclusione.

Ricordiamo che già nel 2015 questa Amministrazione, tra le prime a rispettare i tempi previsti dalla norma nazionale, ha inaugurato la Rems di Pontecorvo avviando di fatto il superamento degli Opg, che rappresentavano per il paese intero luoghi inaccettabili.

Da lì un lavoro programmato e ben coordinato ha condotto all’apertura di altre 4 strutture e oggi alla firma del Protocollo. Un percorso quindi di accoglienza per i pazienti in stato di reclusione, che giustamente il Garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia giudica ormai una importante realtà del nostro sistema di esecuzione penale. Occorre però ascoltare il suo monito riguardo l’uso talora eccessivo che si fa dell’internamento: percorsi individuali di presa in carico e di reinserimento sociale, quindi, che non prescindano da un intervento immediato dei servizi territoriali sulla Salute mentale.

Garantire quindi l’esecuzione della misura di sicurezza e al contempo l’attivazione di percorsi terapeutico-riabilitativi è la sfida di questa riforma, che ha chiamato in causa gli Enti regionali, affinché individuassero i luoghi, il fabbisogno e si occupassero di garantire una adeguata formazione del personale medico e infermieristico necessario.

Un lavoro importante quindi, ma soprattutto un lavoro di civiltà, che ancora una volta tiene a mente gli ultimi.

07 Nov, 2017

Camila e Adriana, una storia d’amore sbocciata a Rebibbia

GayNews

La sposa è raggiante, col suo vestito di pizzo azzurro, le scarpe blu elettrico, la carnagione scura e i capelli raccolti in una treccia. Anche la moglie non è da meno, impeccabile nel suo tight e quell’elegante gilet che fa un bel contrasto col caschetto biondo. Sono emozionatissime, d’altra parte in tutti i matrimoni va così. E quando dall’altoparlante della chiama la voce scandisce “Le spose possono uscire!”, appena fuori dalla soglia parte una pioggia di riso che le raggiunge dai piani alti.

Questa è la storia di Camila e Adriana e del loro matrimonio speciale. Speciale, certo, perché solo da una manciata di tempo in Italia anche due donne o due uomini possono unirsi civilmente di fronte allo Stato. Speciale ancora di più, nel loro caso, perché la cornice dell’unione costituisce una prima volta, un inedito: il carcere femminile di Rebibbia a Roma.

Ho conosciuto Camila e Adriana in un assolato sabato di fine ottobre. La loro storia ha fatto scalpore e ha dato il via a un dibattito delicato, importantissimo, quello intorno all'”affettività in carcere”, la possibilità cioè per una coppia di stare insieme e scambiarsi baci e carezze nonostante le sbarre. Cosa evidentemente impossibile per un uomo e una donna, visto che i reparti dei penitenziari sono rigorosamente separati tra maschile e femminile. Fattispecie che per la prima volta in Italia si è realizzata invece là, nella cella numero 84 al secondo piano del reparto cellulare, ribaltando almeno in questo caso la gerarchia dei diritti tra eterosessuali e omosessuali del nostro Paese. I primi svantaggiati rispetto ai secondi, i secondi pronti ad aprire una strada nuova, che possa alla fine del percorso chissà… produrre un passo avanti per tutti.

La faccenda è delicatissima, e a spiegarmelo mentre raggiungiamo il reparto sono in tanti: la vicedirettrice del carcere, il cappellano di Rebibbia, il garante dei detenuti del Lazio e persino la damigella delle spose. E non è delicata solo in punta di diritto, bisogna andarci cauti proprio parlando d’amore.

Quando sei rinchiuso infatti, specie tra donne, è facile per la solitudine e per le tante mancanze che si soffrono scambiare un’amicizia per qualcos’altro, non fermarsi a una carezza e proseguire oltre.

«Speriamo che duri» è la frase che mi dicono tutti mentre raggiungiamo la cella delle spose: il cappellano, che si è ritrovato a fare da testimone il giorno del matrimonio; l’agente di polizia penitenziaria che «certo che ci sono andato alla cerimonia, una volta che succede una cosa bella qua dentro», la damigella che in questo strano condominio tutto di donne è la dirimpettaia della coppia.

Tutte queste attenzioni da parte dell’amministrazione, all’inizio, Camila e Adriana le avevano scambiate per una specie di “persecuzione”. Ora invece ci tengono a dire che sono grate a tutti, per la cura con cui hanno seguito la loro storia. E – naturalmente – per il lieto fine che è stato scritto: va bene, ha disposto alla fine la direzione del carcere, la vostra condotta è buona e anche il rapporto con le altre detenute, dunque potete condividere la stessa cella.

“La nostra casa”, la chiamano loro. Un letto a castello, un armadietto dove si intravede della frutta, un fornelletto elettrico, un cane in miniatura sopra a una specie di comodino, la TV accesa sul telegiornale, il bagno. Non c’è ordine in giro, c’è qualcosa di più: segni di una stanza vissuta, di una vita “normale”.

Una dimensione che Camila e Adriana si sono conquistate dopo due anni e più di qualche fatica. La principale quando Camila, la più grande delle due (ha 29 anni ma ne dimostra 25 come la sua compagna) ha ottenuto il permesso di andare a lavorare fuori durante il giorno. Un premio per le altre, una specie di tortura per lei che – arrivata dal Brasile solo quattro anni fa – dice «Adriana è tutta la mia famiglia».

La storia del dentro/fuori dura solo tre mesi: «Ci parlavamo dalle grate, lei al secondo piano io al piano terra», mi racconta Camila. Troppo, e così addio permesso premio e sono tornate insieme. Per Adriana quella è stata la prova definitiva del loro amore: all’inizio aveva paura che Camila si fosse sbagliata, che avesse solo scambiato un’amicizia per qualcosa d’altro.

Lei «omosessuale sin dalla nascita con altre storie alle spalle», la compagna al suo primo rapporto non eterosessuale. E così la scelta di sposarsi, e i confetti, e la festa nel chiostro del carcere, e quel primo lento insieme sulle note di Alessandra Amoroso prima di scatenarsi ballando con le altre detenute nello “spazio socialità”, e tutti commossi compresi i genitori di Adriana, due signori di origine polacca a Roma da una vita, che hanno dato una mano alle spose in tutto e per tutto: dai documenti per l’unione alle fedi, che le neospose indossano in coppia coi loro anelli di fidanzamento.

Sempre i genitori di Adriana aiuteranno tra qualche mese Camila, una volta uscita dal carcere. Vuole andare in Brasile per portare in Italia suo figlio Gabriel, che ha dieci anni e sa che mamma ha un’amica speciale che già gli va a genio, perché gli ha regalato un pallone firmato da Ronaldo che custodisce gelosamente nella sua cameretta.

E quando l’anno prossimo sarete fuori tutte e due, chiedo, come la immaginate la vostra vita? Avete già una casa dove andare tutti e tre? Prima di salutarci è Adriana a rispondermi, con la calma di chi dopo tanto penare non vuole precipitare le cose.

Andranno a stare per un po’ dai suoi, cercheranno un lavoro, un po’ di stabilità. Ma una cosa è certa, si piazzerà davanti alla playstation con Gabriel e partirà la sfida a due. Come succede in un sacco di case, come succede in qualunque famiglia.

13 Ott, 2017

Ad alta voce. Domani sarò in piazza con i Numeri Pari contro povertà e disuguaglianza

Domani sarà una grande giornata, da affrontare non solo ad Alta Voce, come recita lo slogan della manifestazione, ma anche a testa alta, contro le povertà e le disuguaglianze, perché la crisi ha aumentato di gran lunga il numero di chi è in difficoltà ma anche vertiginosamente la ricchezza in mano a pochi: una ingiustizia da gridare e a cui ribellarsi.

Ecco perché il tema non è la crescita economica all’infinito o il miracolo del libero mercato, bensì redistribuzione, welfare e giustizia sociale. E’ evidente che in questo quadro, una responsabilità importantissima attiene alle Istituzioni, ma anche alle forze politiche che animano il dibattito nelle aule parlamentari od elettive in genere.

Quando infatti le risposte ai bisogni dei cittadini tardano ad arrivare, o sono insufficienti, dove le persone percepiscono l’abbandono da parte dello stato, si aprono scenari molto più pericolosi come quello dell’infiltrazione mafiosa che si sostituisce alla cosa pubblica, accrescendo il suo potere, la sua forza e anche la sua radicalità.

C’è bisogno di uno scatto di orgoglio. La Rete dei numeri pari, che racchiude tante realtà cittadine, domani dirà la propria con forza e dignità. Io, come rappresentante istituzionale, parteciperò per dire che non farò mancare il mio impegno e il mio contributo ai diritti, contro la povertà e contro le mafie. Un tema che è in cima alla lista della mia agenda.

12 Ott, 2017

“Io, Loris Bertocco, sono rimasto solo con la mia malattia: scelgo la morte e vi lascio l’amore”

Loris Bertocco, La Repubblica

In questa lettera le ragioni dell’addio: “Abbandonato dalle istituzioni ormai non ho più soldi per curarmi”. La testimonianza integrale del veneziano, completamente paralizzato dopo un incidente stradale nel 1977, che ieri ha deciso la via della suicidio assistito in Svizzera.

Sono Loris, vi chiedo la possibilità di accompagnarmi in questo percorso e vi racconto la mia storia.

Sono nato a Dolo il 17 giugno del 1958 e nel 1977 frequentavo l’Istituto Tecnico. Il 30 marzo 1977 ho fatto un incidente stradale che avrebbe potuto portare delle conseguenze di poco conto. Un’automobile mi ha investito mentre ero in cicIomotore. In realtà l’incidente ha avuto delle conseguenze molto gravi e nell’impatto c’è stata una frattura delle vertebre C5 C6 e sono rimasto completamente paralizzato.

Sono stato subito ricoverato all’Ospedale di Padova nel reparto di neurochirurgia, dove mi hanno operato immediatamente e lì sono rimasto fino al 16 giugno 1977. Sono stato poi ricoverato nell’Ospedale Civile di Vicenza dove sono rimasto fino al 29 ottobre dello stesso anno. Il certificato che è stato redatto nello stesso Ospedale alle dimissioni attesta una situazione che a parere dei medici era di gravità estrema; si parlava di difficoltà nel potere riacquisire una stazione eretta e dell’impossibilità della deambulazione e quindi di non più autosufficienza. Qualche giorno dopo il mio ritorno a casa il fisioterapista che mi aveva seguito nel primo ricovero in neurochirurgia di Padova, dove mi avevano operato di laminectomia con artrodesi C3 C4 C5, è riuscito a farmi camminare con il suo sostegno e con quello di mio padre per un tratto di circa venti metri. In questo tratto muovevo autonomamente le gambe, anche se spesso tentavano di cedere.

Dopo pochi giorni a metà dicembre del 1977 sono stato ricoverato all’Ospedale al Mare di Lido di Venezia. Quando i medici hanno verificato che riuscivo a spostarmi con un aiuto, hanno investito molto sul mio recupero e sono rimasto ricoverato per molti mesi e con brevi interruzioni fino al luglio del 1980. Dopo questo lungo percorso riabilitativo mi alzavo dalla carrozzina facendo leva sul braccio destro o su un appoggio fisso. Camminavo con due stampelle: la parte sinistra funzionava meglio e con quella riuscivo a mangiare da solo e a tenere la stampella, mentre la destra funzionava peggio e non poteva sostenerla autonomamente.

Al ritorno a casa nel 1980 c’era stato, per fortuna disconfermando in parte la diagnosi iniziale, un considerevole recupero. All’inizio per camminare mi hanno fasciato il braccio destro alla stampella. In seguito con una modifica della stessa mi hanno permesso di poterla usare autonomamente dopo che qualcuno mi aveva aiutato ad agganciarla. Facevo la pipi da solo a letto con un pappagallo appoggiato ad una sedia dal lato sinistro, scoprendomi e coprendomi al bisogno e battendo sulla vescica. Durante il giorno con l’assistenza di familiari ed amici facevo la pipi in piedi o in bagni pubblici con l’assistenza solo di una persona che mi tenesse in equilibrio. Durante il giorno in ospedale usavo sempre la carrozzina quando ero da solo mentre camminavo con l’assistenza di una persona per sicurezza. Una volta ritornato a casa non ho quasi più usato la carrozzina grazie all’aiuto costante di familiari ed amici. Avendo inoltre conservato la sensibilità sia tattile che sensoriale di tutto il corpo riuscivo a controllare, oltre che la pipi, anche la defecazione. Questa era normale in tutte le situazioni tranne nel caso di feci molli, situazione nella quale era più complicato arrivare in bagno.

La nuova caduta
Nel marzo 1982 sono disgraziatamente scivolato mentre camminavo con le stampelle. Inciampando sono scivolato e, avendo il braccio destro bloccato dalla stampella, questa ha fatto da perno e c’è stata una grave frattura all’omero destro e quindi c’è stata la necessità di una operazione per sistemare l’omero. Da quel momento non sono più riuscito a camminare con due stampelle in autonomia ma ho avuto bisogno di una persona che mi fosse di appoggio per tenermi in equilibrio. Avevo da ragazzo imparato a nuotare da solo e ho reimparato nel 1986 grazie all’aiuto di un istruttore di nuoto sportivo per disabili. Visto che il nuoto era una mia grande passione, è stato per me molto importante e una grande conquista riprenderlo. Ho comunque dovuto nuotare a dorso.

Dal 1980 al 1988, facendo ginnastica solo 3 o 4 volte l’anno, i movimenti del corpo erano diventati meno sciolti. Sono stato ricoverato nuovamente all’Ospedale al Mare al Lido di Venezia anche nel 1988 per fare fisioterapia e piscina in modo continuativo. Dopo 45 giorni ho riacquisito una buona parte delle funzionalità motorie che avevo un po’ perso. Anche in questo caso, grazie alle terapie sono riuscito a riacquisire una funzionalità e una abilità motoria che posso considerare sicuramente soddisfacenti, se confrontata con la diagnosi che era stata effettuata a suo tempo nell’Ospedale di Vicenza. Riuscivo a camminare tutti i giorni con il sostegno dei familiari e degli amici per circa 2 Km al giorno e non usavo mai la carrozzina, se non nel caso di necessità estrema, cioè in occasione di spostamenti per lunghi tragitti o per muovermi in città.

L’impegno nelle radio locali
Dal 1985 ho avuto il sostegno anche degli obiettori di coscienza al servizio di leva, che mi sono stati continuativamente affidati dal Comune di Fiesso per 4 ore al pomeriggio dal lunedì al venerdì. Questo aiuto mi è stato dato fino al 2005, anno in cui è stato eliminato il servizio di leva e di conseguenza anche il servizio sostitutivo alla leva. Grazie al loro aiuto sono riuscito per molto tempo a camminare regolarmente e quindi a tenere attiva la muscolatura, a trovare e frequentare gli amici e a muovermi per svolgere varie attività, che mi hanno permesso di mantenere una vita attiva e sociale.

Una di queste, che avevo già cominciato nel 1976 e che poi grazie all’aiuto di mia madre e a quello degli obiettori ho continuato, è stata una trasmissione musicale in una radio locale, Radio Cooperativa. La trasmissione si chiamava “Discorso musica” e sono riuscito a gestirla dal 1980 fino al 1999. In questo periodo, oltre alla trasmissione serale, sempre grazie al sostegno indispensabile e assiduo di mia madre, riuscivo a curare anche in mattinata la rassegna giornalistica e ad invitare dei personaggi pubblici per discutere di argomenti politici, sociali e di attualità. In tutte queste situazioni avevo l’assistenza o di un tecnico o di qualche aiutante ma devo dire che riuscivo comunque a svolgere autonomamente molte mansioni. Questo periodo che ho trascorso in radio mi ha dato moltissime soddisfazioni e mi ha inoltre permesso di avere una vita sociale molto intensa. Frequentavo molte persone, che erano sempre disponibili ad aiutarmi. Spesso intervistavo i musicisti, per poi trasmettere le interviste in radio. Collaboravo inoltre con riviste musicali. Tutto ciò era un grande impegno ma anche una grande soddisfazione per me e per i miei amici. Andavo spesso a vedere dei concerti, sia per aggiornarmi sulle musiche che poi avrei trasmesso in radio che per passare dei momenti gradevoli in compagnia.

I problemi di vista
Delle considerazioni particolari devono essere fatte invece per i miei problemi di vista, che ho avuto fin da quando ero ragazzo. Nel 1969 a 11 anni ho avuto un distacco di retina all’occhio sinistro, per il quale sono stato operato. Il recupero della funzionalità dell’occhio c’è stata, ma il miglioramento è stato molto limitato: l’occhio non ha più acquisito infatti la sua normalità, cosa che non mi ha più permesso di leggere. Nel 1975, inoltre, anche l’occhio destro ha avuto dei problemi: c’è stata una grossa emorragia e il problema è apparso subito grave. Il Rettore di oculistica dell’Università di Roma, Prof. Mario Pannarale, ha diagnosticato una retinite degenerativa con retinoschisi e ha operato l’occhio effettuando un cerchiaggio e un piombaggio dell’occhio con la laserterapia. Il Prof. Mario Pannarale ha incaricato il rettore di genetica dell’Università Tor Vergata Bruno Dalla Piccola di fare un’indagine genetica, dalla quale è emerso che la retinite si trasmette per via ereditaria dalla madre ai figli maschi ( mia sorella ne è infatti esente). Ricordo che dal 1973 al 1977 ho fatto spesso visite di controllo e ho seguito le cure farmacologiche che mi sono state prescritte. Dal 1977 in poi i controlli non sono stati più possibili a causa dell’incidente. Nel 1981 mi è apparsa una macchia e mi sono recato d’urgenza a Roma per controllo. Il Prof. Mario Pannarale ha detto in quella occasione che non era più possibile fare delle cure. Da quel momento in poi c’è stato un progressivo peggioramento della mia vista, fino a che non sono riuscito più a leggere. Dal 1987 sono stato certificato ipovedente; dal 1996 la commissione che mi ha visitato mi ha considerato cieco assoluto.

L’impegno sociale
Tra le cose importanti della mia vita c’è stata anche una notevole sensibilità per i problemi sociali e politici, che ho avuto fin da quando ero studente. Fino a quando ho potuto farlo ho letto un quotidiano tutti i giorni, oltre a riviste e libri. Ho sviluppato questa mia attitudine anche nel lavoro giornalistico che facevo alla radio. Dopo il mio incidente ho sviluppato una particolare sensibilità per i problemi dei disabili (in primis per l’abbattimento delle barriere architettoniche) e per la tutela dell’ambiente e del paesaggio (dopo l’incidente nucleare di Chernobyl). Nel 1990 sono diventato consigliere comunale per i Verdi per alcuni anni nella città di Mira. Negli anni 2004/ 2005 sono stato candidato sia alle elezioni della provincia di Venezia che per le regionali del Veneto. Il mio interesse per la politica continua ancora oggi tramite i social network e organizzando iniziative locali.

I rapporti sentimentali
Una parte importante della mia vita riguarda le mie relazioni sentimentali. Ho avuto varie relazioni affettive più o meno lunghe con donne, con le quali ho effettuato anche viaggi in Italia e all’estero. Con nessuna il rapporto è però diventato così forte da immaginare un legame duraturo. Ciò si è verificato effettivamente nel momento in cui ho conosciuto nel 1996 Anamaria, che poi è diventata mia moglie nel giugno del 1999. Anamaria aveva una sensibilità particolare e il rapporto con lei è stato molto arricchente e positivo. Dopo essersi laureata, lei era arrivata in Italia con una borsa di studio sul cinema, essendo cittadina italo-brasiliana. Anamaria aveva frequentato una scuola di regia con Ermanno Olmi e quando l’ho conosciuta era impegnata in vari lavori cinematografici, che ha sempre continuato con grande passione e dedizione, nonostante tutti i problemi che si è trovata ad affrontare nei periodi successivi. Insieme a lei ho cominciato ad immaginare una vita in comune ma per potere concretizzare questo nostro desiderio è sorta subito l’idea di ampliare e ristrutturare la mia vecchia casa; questo progetto si è potuto realizzare anche grazie all’aiuto dei miei genitori. I lavori sono cominciati quando mio padre era ancora in vita (è venuto a mancare pochi mesi prima del mio matrimonio) e sono continuati anche dopo. La casa è stata terminata nel 2003 ed è diventata una bifamiliare: da una parte ci ha abitato e ci abita mia madre e dall’altra io ed Anamaria. Per pagarla abbiamo dovuto fare un mutuo e quindi tutte le nostre risorse economiche sono state indirizzate a far fronte a questo progetto. Ho rinunciato alle trasmissioni in radio, sia per motivi organizzativi che economici. Dalla fine degli anni 80 era subentrata una nuova gestione nella radio e ho continuato normalmente con la mia trasmissione di musica, non riconoscendomi più comunque nel progetto complessivo. Le spese per poter effettuare il programma non potevano poi essere le stesse di prima; non potevo cioè comprare i dischi necessari per mantenere attuale la qualità del programma, non essendo sufficienti in questo compito i soli dischi che mi arrivavano dalle case discografiche.

Nel tempo il rapporto con Anamaria si è assestato ed è diventato per me sempre più importante. Nonostante tutte le difficoltà che abbiamo avuto e che abbiamo sempre cercato di affrontare insieme, posso affermare con certezza che questo progetto di vita in comune è stato molto positivo e costruttivo. Lei ha comunque continuato tutte le sue attività e cercato di mantenere i suoi impegni di lavoro, che talvolta la tenevano lontana da casa. Più di qualche volta ha dovuto rinunciare ai suoi impegni, perché non è sempre riuscita a trovare una persona che mi assistesse (ad esempio ha rinunciato a partecipare al film “Il vento fa il suo giro“ di Giorgio Diritti). Compatibilmente con tutto ciò non ha mai trascurato gli impegni di assistenza nei miei confronti.

Mia madre ha avuto problemi di salute: ha dovuto operarsi nel 2001 per una grave ernia al disco e da quel momento in poi non ha potuto più darmi la sua assistenza come nei periodi precedenti. Non riusciva più infatti ad alzarmi e a sostenermi fisicamente. Una volta che mia madre ha avuto queste difficoltà, su di lei è infatti pesato tutto l’onere del lavoro di cura. Inoltre ricordo, come ho già accennato precedentemente, che dal 2005 non sono stati più disponibili gli obiettori, che mi erano stati sicuramente di grande aiuto e questo ha complicato i problemi.

Il peggioramento delle mie condizioni
Un fatto significativo e che segna una svolta peggiorativa nelle mie condizioni di salute, risale al 6 novembre del 2000. In questo mese, a causa di una manovra poco accorta ed errata nel teuna successiva TC lombare ha evidenziato esiti di frattura somatica di L2 con stenosi foraminale destra L1 L2. Ho dovuto portare il busto in tela armata con spallacci per cinque mesi e sono dovuto rimanere per necessità senza le normali attività di ginnastica che svolgevo, che mi permettevano di mantenere una certa mobilità muscolare ed articolare. Una volta levato il busto mi sono rimasti dei forti dolori alla schiena e una scarsa elasticità complessiva. Nel luglio del 2001 sono stato ricoverato nuovamente all’ospedale del Lido di Venezia per cercare di recuperare la mobilità che era in buona parte compromessa. Le attività svolte per 40 giorni in palestra e in piscina sono state importanti ed utili ma nonostante tutto non sono riuscito a riacquisire completamente la condizione che avevo prima di questo incidente. Fino a quel momento in 10 minuti riuscivo a fare le scale e salire al terzo piano con l’aiuto di qualcuno e da questo momento in poi questa attività mi è risultata quasi impossibile. Era necessario cioè l’aiuto di una terza persona che mi aiutasse prendendomi dalla schiena per fare gli scalini. In seguito non mi è stato più sufficiente il piccolo sostegno che prima mi permetteva di fare qualsiasi cosa ma ciò ha comportato la prima vera perdita di autonomia. Pur con queste grosse difficoltà nel 2004 mi sono recato per l’ultima volta in viaggio in Brasile. Nello stesso periodo mi è stato affidato l’ultimo obiettore di coscienza rimasto, che non è riuscito a farmi camminare in modo adeguato, tenendomi troppo e non lasciandomi il mio necessario movimento (fino a quel momento riuscivo a camminare per un chilometro e mezzo).

Nell’ottobre del 2005 mi è comparso un edema sul gluteo destro, che con il tempo è diventato sempre più grande. In questa situazione non potevo rimanere seduto a causa del dolore e del gonfiore, dovendo stare in piedi, o sdraiato o in alternativa camminare. Per provare a risolvere questo problema ho effettuato delle visite fisiatriche, neurologiche e neurochirurgiche, che potessero accertare nel complesso quale origine avessero i problemi che mi stavano tormentando e le possibili soluzioni da adottare, senza che nessuno riuscisse effettivamente a capire le cause dello stesso. Ciò mi ha provocato una grossa contrattura della schiena. I movimenti che prima riuscivo a compiere, seppure in modo non semplice, come per esempio girarmi nel letto, poi sono diventati sempre più causa di sofferenza. Questo lungo periodo di inattività (circa un anno e mezzo) mi ha completamente bloccato la muscolatura. Ho dovuto usare un cuscino antidecubito per attenuare la sofferenza e mi sono dovuto muovere ancora di più solamente in carrozzina e quindi la mia capacità motoria, che nel frattempo si era notevolmente ridotta, è ulteriormente peggiorata. Dopo un ricovero in neurochirurgia nel luglio del 2007 per accertamenti, è stata aumentata la dose di Baclofene (che già avevo usato fino al 1979 per diminuire la spasticità e che avevo ripreso dopo la frattura delle vertebre lombari). Successivamente la Prof.ssa Squintani mi ha somministrato una dose crescente dello stesso farmaco. E’ stata tentata anche una prova per mettere la pompa al Baclofene, senza esiti positivi; inoltre con l’uso di questo farmaco direttamente in colonna perdevo tutte le forze e non riuscivo più a camminare. Sono stati fatti altri tentativi di cura senza esiti positivi fino al 2010, quando a Ferrara all’ospedale S. Giorgio il dottor Mario Manca ha cominciato a trattare gli ischio crurali con tossina botulinica. Poco tempo dopo nell’ospedale Don Calabria di Negrar di Verona il dottor Gerardo Serra (in collaborazione con l’ospedale di Ferrara) ha continuato il trattamento con tossina botulinica all’ileo-psoas e al quadrato dei lombi di sinistra. Al momento le cure concordate hanno avuto qualche risultato.

La separazione da mia moglie
Questo progressivo peggioramento complessivo ha portato nel 2011 mia moglie a non riuscire più ad affrontare la situazione, che in questi ultimi anni si era estremamente complicata. Anche per lei è diventato sempre più difficile fare fronte a tutte le mie difficoltà, che erano cresciute progressivamente. Il fatto che la mia assistenza gravasse quasi completamente su di lei e che dovesse affrontare faticosamente quasi da sola la soluzione ai problemi quotidiani l’ha portata ad una situazione estrema, cioè la richiesta della separazione. Questa scelta di Anamaria, che ha aggiunto sofferenza a sofferenza, è stata difficile da metabolizzare e ha avuto su di me delle forti ripercussioni negative. Oltre alla sofferenza emotiva dell’abbandono, si faceva sempre più urgente il problema della mia assistenza, che non poteva non essere affrontata con urgenza. Devo a questo proposito aggiungere che la mia situazione familiare non mi permette di avere dei possibili sostegni: mia sorella ha una grave sclerosi multipla ed è invalida al 75% e non mi può essere sicuramente di aiuto e mia madre ha appena compiuto 80 anni e quindi non posso in questo momento contare per ovvi motivi sul loro aiuto.

Nessun aiuto dalla Regione
Dal 2005 ho percepito un contributo di 1000 euro dalla Regione Veneto per pagare parzialmente un’assistente che mi aiutava nei miei bisogni quotidiani e questo aiuto mi è stato di grande sollievo. Dal 2005 al 2011 ho avuto una persona che mi assisteva parzialmente dal lunedì al venerdì, avendo comunque nello stesso tempo anche il supporto di mia moglie. Dal 2011 in poi, mancando il supporto di mia moglie e avendo bisogno di assistenza 24 ore su 24, ho tentato di accedere ad ulteriori contributi straordinari della Regione Veneto per casi di particolare gravità. Ho lottato con la Regione per quasi due anni senza ottenere il risultato che speravo. Ho avuto per un periodo due assistenti, pagandole grazie all’aiuto di amici e ad una festa per raccogliere i fondi necessari. Questa situazione non poteva durare a lungo e quindi, finiti i fondi, mi sono trovato nella condizione di pagare una sola assistente. Alcuni amici mi hanno sostenuto nelle giornate festive e nelle situazioni di emergenza o di malattia dell’assistente. Mi sono trovato comunque varie volte senza assistenza da solo a letto, senza potermi lavare o andare in bagno e rischiando di essere ricoverato in istituto. Ho cambiato varie assistenti, che duravano molto poco, data la notevole difficoltà e le energie anche fisiche necessarie nella mia assistenza.

La fortuna di incontrare Mirela
Dal 2013 ho avuto la fortuna di incontrare Mirela, molto brava e paziente, che mi assiste tutto il giorno e anche nei giorni festivi. Anche quando ha avuto problemi di salute, conoscendo le difficoltà della mia situazione, non ha mai rinunciato ad assistermi comunque. Se non fosse stato per la sua indispensabile presenza, sarei sicuramente ricoverato in qualche istituto. Devo comunque affermare che dopo tre anni e mezzo di lavoro, nei quali si è concessa solo due brevi periodi di riposo, è anche lei arrivata ad un notevole livello di saturazione sia fisica che psichica, con il rischio di un suo reale cedimento da un momento all’altro. Trovare un sostituto per i suoi periodi di ferie è stato molto difficile, (abbiamo impiegato anche dei mesi) data la difficoltà nell’imparare le tecniche per alzarmi, sedermi e nell’assistenza nei brevi spostamenti che riesco ancora a fare. Nel caso di una sua eventuale difficoltà farei fatica a trovare una persona che la sostituisca e nel breve periodo sarebbe una cosa impossibile.

L’ultimo periodo
In questi anni, pur avendo trovato un beneficio con la tossina botulinica, per mantenerne parzialmente l’efficacia, i medici hanno dovuto sempre più aumentare la dose, arrivando ora alla soglia massima possibile e non avendone quasi più beneficio. Da molto tempo la contrattura a sinistra della schiena non mi permette neanche di reggere la cornetta del telefono. Cammino per pochi passi e faccio molta fatica a farmi fare tutta la doccia in piedi, nonostante continui a fare da anni e in modo continuativo fisioterapia tre volte alla settimana. Dall’autunno 2015 fare pipi da solo di notte è diventato sempre più difficile. Quando la contrattura della schiena è forte e arriva a prendermi anche il collo, faccio fatica a piegare le gambe per mettere il pappagallo e a fare la pipi. Di conseguenza devo chiamare anche di notte l’assistente per aiutarmi. Per cercare di affrontare questo problema ho fatto una visita neurologica, per vedere se la contrattura si potesse attenuare aumentando la dose di Baclofene; questa soluzione non è stata considerata praticabile. Ho fatto in seguito una visita urologica, nella quale è stato accertato il buon funzionamento dei reni e della vescica. Mi è stato consigliato l’uso di Bettmiga 50 per ritardare lo stimolo. Grazie a questo farmaco la vescica riesce a tenere più a lungo e una quantità maggiore di pipì ma se la contrattura è forte devo comunque chiamare l’assistente per aiutarmi a piegare le gambe. Altra soluzione proposta è quella dell’uso di un catetere condom. Questa continua perdita di autonomia mi ha creato un ulteriore disagio. Non riesco a stare neanche seduto in carrozzina per lunghi periodi. Devo avere la possibilità di cambiare posizione e di sdraiarmi e ciò non mi permette più di poter viaggiare e di poter rimanere fuori casa per una giornata intera. Da un po’ di mesi la contrattura è talmente forte che non mi permette neanche di alzare il braccio per mangiare da solo e devo essere imboccato. Ho inoltre dei problemi crescenti anche nell’andare di corpo; i miei addominali sono sempre più deboli e quindi non sono autonomo neanche in questa operazione, nella quale devo essere completamente assistito.

La scelta della morte assistita
Questo mio progressivo peggioramento fisico mi rende comunque difficile immaginare il resto della mia vita in modo minimamente soddisfacente, essendo la sofferenza fisica e il dolore diventati per me insostenibili e la non autosufficienza diventata per me insopportabile. Sono arrivato quindi ad immaginare questa scelta, cioè la richiesta di accompagnamento alla morte volontaria, che è il frutto di una lunghissima riflessione. E’ infatti una scelta che sto meditando da molto tempo e alla quale sono giunto progressivamente ma in modo irreversibile. Io sono stato e sono ancora convinto che la vita sia bella e sia giusto goderla in tutti i suoi vari aspetti, sia quelli positivi che quelli negativi. Questo è esattamente quello che ho fatto sempre nonostante l’incidente che ho avuto e le difficoltà di tutti i tipi che questo mi ha creato. Non ho mai rinunciato a niente di tutto quello che potevo fare, nonostante gli ostacoli che ho trovato e che spesso grazie alla mia forza di volontà e all’aiuto delle persone che mi sono state vicine e mi hanno voluto bene sono riuscito ad affrontare. Credo in questo momento che la qualità della mia vita sia scesa sotto la soglia dell’accettabilità e penso che non valga più la pena di essere vissuta. Credo che sia giusto fare questa scelta prima di trovarmi nel giro di poco tempo a vivere in un istituto e come un vegetale, non potendo nemmeno vedere, cosa che sarebbe per me intollerabile. Proprio perché amo la vita credo che adesso sia giusto rinunciare ad essa vista la sofferenza gratuita sia fisica che spirituale che stanno progressivamente crescendo senza possibilità di revisione o di risoluzione positiva.

Qualcuno ha provato a convincermi che questa scelta poteva essere rimandata, che c’era ancora tempo. Li ringrazio per questo tentativo e per essermi stati vicini, ma il mio tempo è terminato. Il muro contro il quale ho continuato per anni a battermi è più alto che mai e continua a negarmi il diritto ad una assistenza adeguata. Anche Mirella, dopo quattro anni con me, non ce l’ha più fatta a seguirmi quotidianamente e quindi, dallo scorso giugno, ho dovuto cercare assistenza mettendo degli avvisi su siti di annunci in rete. Non è facile, però, trovare personale adeguato alla mia situazione. Dev’essere in grado di aiutarmi nelle incombenze quotidiane, alzarmi, vestirmi, lavarmi, sostenermi, prendersi cura anche della casa. Deve avere la patente, per accompagnarmi. Deve saper usare il computer, che, essendo cieco e non potendo utilizzare le mani, non riesco ad usare autonomamente. Deve essere disponibile 24 ore al giorno. Non è stato tuttavia possibile sostituire Mirella. Le persone disponibili e adeguate, di fronte al carico di lavoro, di fronte alla mancanza di giorni liberi, hanno rinunciato. Ho così trovato soltanto personale improvvisato, che provava a fare il lavoro di cura senza preparazione e dedizione adeguate, pensando che potesse ridursi a piazzare il paziente davanti a un televisore o a metterlo a letto dandogli un’occhiata ogni tanto. Per non dire di peggio, di chi pensava di approfittarsene credendo di poter giocare con sentimenti, desideri, bisogni della persona.

Nuova richiesta alla Regione
Se, dopo la separazione da mia moglie, avessi avuto la possibilità di giovarmi di due persone qualificate e motivate, soprattutto in questi ultimi sei anni, la mia vita sarebbe stata un po’ più facile e dignitosa. Essendo impegnato nel movimento per la “Vita Indipendente”, che chiede per le persone con grave disabilità il diritto a un’assistenza completa e autogestita e finanziata con un fondo apposito dalla Regione, mi sono rivolto agli uffici competenti e, al tempo stesso, ho fatto presente la mia nuova situazione ai servizi sociali e al sindaco del mio Comune (Fiesso d’Artico, in provincia di Venezia). Ho anche sollecitato direttamente in particolare l’assessore regionale che si occupava allora di questi problemi. E’ venuto a farmi visita, una volta, dopo molte mie insistenze e proteste per le mancate risposte, ma non è bastato. Non ha capito la mia situazione, che è la situazione di tanti e tante come me, a nome dei e delle quali penso di parlare.

Dopo la visita dell’assessore il mio Comune ha presentato alla Regione la richiesta di accedere ai fondi straordinari appositi previsti dalla dgr 1177/2011. La Commissione di valutazione regionale, però, per ben due volte ha risposto picche, ha ritenuto non idoneo il progetto presentato dal mio Comune a sostegno del sottoscritto, nonostante le valutazioni e i pareri favorevoli dell’ULSS, dell’assistente sociale e del Comune stesso. Avrei potuto fare ricorso al TAR, ma ormai ero deluso, stanco, sfinito dalle mille quotidiane difficoltà, di fronte a tanta incomprensione, per altro mai decentemente argomentata.
Perché è così difficile capire i bisogni di tante persone in situazione di gravità, perché questa diffidenza degli amministratori, questo nascondersi sempre dietro l’alibi delle ristrettezze finanziarie, anche quando basterebbe poco, in fondo, per dare più respiro, lenimento, dignità? Domande che spero possano trovare risposta al più presto affinché tante altre persone con grave disabilità possano usufruire dell’assistenza personale e di un reddito per vivere libere, con dignità, evitando l’abbandono o il ricovero definitivo in qualche istituto. A questo fine è necessario alzare la soglia massima relativa all’Impegnativa di Cura Domiciliare e Fisica oggi fissata a 1000 euro, ferma al 2004 e quindi anacronistica e del tutto insufficiente per assicurare le collaborazioni indispensabili. Magari a qualcuno potrebbero bastarne anche meno, ma per altri ne servono certamente molti di più, come nel mio caso. Quindi tale soglia va modificata, resa maggiore e più elastica.

Le mie battaglie
Sono più di quarant’anni che mi batto per queste cose. Mi sono impegnato a fondo nella rete che lotta per la “Vita Indipendente”, un movimento di associazioni, gruppi, famiglie, persone che affermano il diritto a una vita dignitosa delle persone con grave disabilità avendo come controparti Comuni, Regioni, lo Stato, le Ulss, ottenendo a volte risultati importanti anche se siamo ancora ben lontani da quanto sarebbe necessario e da quanto in altri paesi, specie nel nord Europa, si è già consolidato. Ho anche trovato la forza d’animo e la forza fisica di candidarmi e di fare il consigliere comunale a Mira, nei primi anni ’90, per dare una forma anche istituzionale al mio impegno politico per i diritti e per l’ambiente. Ho infatti condiviso con i Verdi le grandi battaglie globali in difesa dell’ambiente e dei beni comuni, per la pace, contro gli ogm e sui mutamenti climatici, in difesa degli altri animali (anche attraverso la scelta vegetariana) e le battaglie locali in difesa del mio territorio e delle persone più deboli. Mi sono sforzato di partecipare a riunioni, iniziative pubbliche, manifestazioni o tramite i media e in rete, con tutti coloro che credono in queste cose, che potrebbero magari mettersi finalmente insieme per avere più forza. Siamo in un momento di rischi e trasformazioni epocali: la crisi climatica, la crisi ecologica, che tra l’altro causano o accentuano i fenomeni migratori, con grandi masse che cercano una vita migliore. E’ necessario cambiare i modelli di sviluppo, ingiusti, dissipativi e inquinanti, giungere a una riconversione ecologica delle economie e dei sistemi produttivi, rigenerare il pianeta, renderlo più equilibrato e giusto, accogliente. Questa è la mia speranza politica, che rilancio e che vorrei trovasse tante altre persone che se ne fanno carico anche dopo di me, nel momento in cui ho smesso di sperare che nella mia vita personale ci possano essere miglioramenti in grado di farmela ritenere di nuovo irrinunciabile.

Testamento biologico e legge sul fine vita
Per questo, il mio impegno estremo, il mio appello, è adesso in favore di una legge sul “testamento biologico” e sul “fine vita” di cui si parla da tanto, che ha mosso qualche passo in Parlamento, ma che non si giunge ancora a mettere in dirittura d’arrivo. In altri paesi è da tempo una possibilità garantita. Vorrei che, finalmente, lo fosse anche in Italia. Questa mia volontà, e questa mia scelta, non sono in contraddizione con la lotta per una vita indipendente da garantire comunque, anzi. Vi sono situazioni che, infine, evolvono inesorabilmente verso l’insostenibilità. Sono convinto che, se avessi potuto usufruire di assistenza adeguata, come ho già detto, avrei vissuto meglio la mia vita, soprattutto questi ultimi anni, e forse avrei magari rinviato di un po’ la scelta di mettere volontariamente fine alle mie sofferenze. Ma questa scelta l’avrei compiuta comunque, data la mia condizione fisica che continua progressivamente a peggiorare e le sue prospettive. Avrei però voluto che fosse il mio Paese, l’Italia, a garantirmi la possibilità di morire dignitosamente, senza dolore, accompagnato con serenità per quanto possibile. Invece devo cercare altrove questa ultima possibilità. Non lo trovo giusto. Il mio appello è che si approvi al più presto una buona legge sull’accompagnamento alla morte volontaria (ad esempio, come accade in Svizzera), perché fino all’ultimo la vita va rispettata e garantita nella sua dignità.

E’ arrivato il momento
Ora è arrivato il momento. Porto con me l’amore che ho ricevuto e lascio questo scritto augurandomi che possa scuotere un po’ di coscienze ed essere di aiuto alle tante persone che stanno affrontando ogni giorno un vero e proprio calvario.

Ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini e che proseguiranno la battaglia per il diritto ad una vita degna di essere vissuta e per un mondo più sano, pulito e giusto.

11 Ott, 2017

Ius Soli, aderisco al digiuno a staffetta. In ballo c’è la nostra civiltà

In occasione della giornata di mobilitazione a sostegno dello Ius soli prevista per il prossimo venerdì 13 ottobre davanti a Montecitorio dirò anche io “oggi tocca a me”, aderendo al digiuno a staffetta che da giorni vede impegnate centinaia di persone nel nostro Paese.

“Cittadinanza day” è stata appellata quella giornata, promossa da insegnanti, maestri e professori delle nostre scuole, luoghi dove l’uguaglianza e già nei fatti, dove la comunità dei più piccoli è coesa e priva di qualsivoglia paura o diffidenza. È soprattutto per questo che quel giorno mi unirò alla mobilitazione: perché da rappresentante politica e istituzionale ogni giorno provo a dare il mio contributo verso una società giusta ed uguale, e proprio per questo, in primo luogo da cittadina sento il dovere di dare forza a un movimento collettivo, animato da chi si sta impegnando per dire al mondo degli adulti che lo Ius Soli e lo Ius Culturae sono la scelta più ragionevole e saggia per un Paese che sa guardare avanti, che ha qualcosa da dire alle nuove generazioni ma sa anche imparare da loro.

Non c’è responsabilità più grave per chi oggi ha il compito di indicare una strada per il futuro del Paese che trincerarsi dietro le proprie paure, alimentare un sentimento divisivo in una società che chiede ed ha bisogno di solidarietà, senso di comunità ed inclusione. Spero – conclude – saremo in tanti e tante a dimostrare al mondo che l’Italia è un paese civile e coraggioso, e ad indicare al Parlamento e al Governo l’unica strada possibile: l’approvazione dello Ius soli prima della fine della legislatura.

10 Ott, 2017

Non-cittadinanza, concerto senza musica

Franco Lorenzoni, Comune-info

Decine di ragazze e ragazzi sono seduti in semicerchio. Ciascuno di loro ha in mano uno strumento musicale perché insieme compongono l’orchestra della scuola. C’è molta gente intorno che si è assiepata curiosa, perché tutto ciò accade a Roma, a Colle Oppio, in un luogo generalmente assai trafficato. La professoressa che dirige l’orchestra comincia a muovere le mani per dare ritmo al concerto ma dagli strumenti non esce alcun suono. Tutti guardano stupefatti il silenzio concentrato di ragazze e ragazzi che, immobili, suonano un non musica.

Così in una giornata di sole, di fronte al Colosseo, professori e ragazzi della Scuola secondaria di primo grado Giuseppe Mazzini hanno mostrato cosa sia per loro la non cittadinanza: un concerto muto, privo di suoni.

In tutta Italia martedì 3 ottobre, in occasione della Giornata della memoria delle vittime delle migrazioni, si sono svolte centinaia di iniziative sul tema delle migrazioni, della cittadinanza, del diritto di tutte e tutti i bambini e ragazzi di essere considerati cittadini italiani (qui una galleria fotografica, ndr).

Dalla Scuola primaria di via Bosio a Chieti alla Scuola Don Milani-Colombo di Genova, dalla Collodi di Perugia alla Amari-Roncalli-Ferrara di Palermo, al Neruda, Oberdan e Padre Semeria di Roma, sono centinaia gli Istituti comprensivi che il 3 ottobre hanno organizzato iniziative inaugurando il mese di mobilitazione sulla cittadinanza che si concluderà il 3 novembre. Ci sono state anche iniziative come quelle realizzate ad Iglesias o dalla scuola Rinascita di Milano che hanno suscitato polemiche da parte di partiti e giornali che vi hanno visto una strumentalizzazione politica dei bambini da parte degli insegnanti.

Educare ai valori non è fare strumentalizzazione politica

Su questo è necessario fare chiarezza. Le Indicazioni nazionali per il curricolo, che sono legge dello stato dal novembre 2012, prescrivono che a scuola noi insegnanti si educhi alla cittadinanza e in quel documento ufficiale si nomina persino la “cittadinanza attiva”. Ci sono raccomandazioni votate dal Parlamento Europeo e fatte proprie dal MIUR che invitano con forza noi insegnanti a lavorare sulle competenze di cittadinanza. Ora, se non vogliamo giocare con le parole, è evidente che nel nostro lavoro il considerare tutte le bambine e i bambini, tutte le ragazze e i ragazzi cittadini a tutti gli effetti è premessa indispensabile per dare coerenza al nostro impegno professionale e senso al nostro mestiere di educatori.

Sono sempre stato avverso a forme di educazione ideologiche, che pretendano di fare aderire passivamente bambini e ragazzi a ciò che pensiamo noi insegnanti. So quanto la retorica e certe volte anche l’ostentazione di buoni sentimenti sia sterile e lontana da quell’educazione al senso critico e all’approfondimento senza pregiudizi, che dovrebbe essere al centro di ogni pratica educativa attiva, laica e democratica.

Ma proporre i valori in cui crediamo è opzione che tutti i giorni noi non possiamo non fare. Anche se volessimo non esplicitare le nostre posizioni, il nostro corpo parla e bambini e ragazzi sono giudici di coerenza sempre in allerta. Sanno bene, infatti, che se uno parla di democrazia e poi non ascolta e non dà mai la parola ai ragazzi, il messaggio che manda è un altro.

Ecco dunque un caso esemplare su cui misurarci. Io, come tante e tanti altri insegnanti provo da anni, a volte con fatica e difficoltà, a dare dignità e spazio a ciascuno dei bambini con cui lavoro, a considerare tutti portatori di uguali diritti. Come posso allora non schierarmi riguardo al diritto di cittadinanza senza contraddire il fondamento stesso del mio educare? Mi trovo di fronte a due leggi dello stato in contraddizione tra loro e non posso non scegliere, non dire apertamente da che parte sto, assumendomene responsabilità e conseguenze.

Concretamente, con i ragazzi con cui lavoro, sto cercando di raccogliere dati significativi, allargare il discorso e approfondire. Collezioniamo storie ascoltate o lette e tabuliamo dati, perché la statistica e la matematica ci aiutano a comprendere la realtà.

Scopriamo così in quinta elementare che ad Atene, dove nacque la democrazia, non votavano le donne, gli stranierei e gli schiavi. Che in Italia le donne votano solo dal 1946 e che ci sono voluti decenni dopo l’unità d’Italia per arrivare al suffragio universale, che poi il fascismo negò per vent’anni. Scopriremo nelle prossime settimane che oggi, rispetto alla popolazione residente nel nostro paese, coloro che possono esercitare il diritto di voto sono diminuiti in percentuale perché gli stranieri, anche quelli che vivono qui da anni e contribuiscono con il loro lavoro e le tasse che pagano alla ricchezza del nostro paese, non hanno la cittadinanza e dunque il diritto al voto.

Ragioneremo, discuteremo di tutto ciò. Forse metteremo in mostra scoperte, pensieri, dubbi, domande, come abbiamo sempre fatto.

Ho detto e dirò loro che mi batto per lo ius soli e lo ius culturae, perché ritengo che come tutti abbiamo doveri da rispettare, anche i diritti devono essere uguali per tutti coloro che risiedono nel nostro paese, anche se vengono da lontano e hanno genitori stranieri.

Questo faccio e questo ritengo sia il mio dovere fare come insegnante, senza nascondermi dietro a una presunta neutralità del sapere, perché cultura è approfondimento, sviluppo di capacità critiche, relazione viva con la realtà ma anche scelte e opzioni individuali che vanno condivise. Devo dire che dopo il 3 ottobre mi sento in buona compagnia.

Iniziative diverse ci fanno sentire in buona compagnia

Antonella Marinelli, che insegna nell’Istituto Tecnico agrario, agroindustria e agroalimentare di Villa d’Agri, in provincia di Potenza, racconta di un laboratorio prezioso fatto il 3 ottobre: “Nessuna retorica, distanti dagli slogan di stucchevole terzomondismo, nessun cedimento al pietismo. Un racconto vero, obiettivo, asciutto, ma non per questo privo di emozioni”. Poi, ringraziando Samel Ibrahim, ragazzo egiziano di dicotto anni, che ha narrato coi suoi silenzi a una platea muta di attesa, il lungo viaggio che l’ha portato in Italia, aggiunge: “Lo Ius Soli nelle classi esiste già. (…) Non permetterò a nessuno di politicizzare questa battaglia, perché in un paese civile nel 2017 sinistra progressista e destra liberale dovrebbero viaggiare all’unisono e capire che questa è una battaglia di civiltà. (…) Non pieghiamo la testa colleghi, noi non rischiamo di perdere voti, noi educhiamo alla cittadinanza globale per il ben-essere di TUTTI e dico TUTTI i nostri ragazzi (…) La nostra scuola percorre i sentieri di una civiltà pudica e dirompente nel contempo”.

Un’insegnante di Palermo, che si firma Penny nel suo blog, dal Convitto Nazionale aggiunge: “Gli occhi dei bambini raccontano belle storie. Dicono la verità. Quella che noi non siamo capaci di raccontare. (…) Dicono che sono amici. A loro interessa il nome. Solo quello. Non da dove vengono. Né cosa possiedono. Se litigano vogliono giustizia. La stessa. Pari diritti. Lei vuol fare la pipì, scappa anche a me…” (qui l’articolo completo I bambini conoscono l’uguaglianza, ndr).

Dal Liceo artistico classico musicale Marco Polo di Venezia a quello di via Ripetta a Roma, che si è mobilitato insieme ai licei Morgagni, Augusto e Kennedy, ci sono diverse scuole superiori che sempre più si stanno coinvolgendo sia per la persuasione di insegnanti motivati che per una mobilitazione che cresce tra gli studenti. La rete studenti medi ha ad esempio proclamato per la mattina del 13 ottobre mobilitazioni in tutta Italia ed altri collettivi studenteschi si stanno muovendo.

Venerdì 13 ottobre è stato infatti indetto un CittadinanzaDay in occasione del quale a Roma piazza Montecitorio si trasformerà in Piazza della cittadinanza per una manifestazione organizzata #ItalianiSenzaCittadinanza e l’Italia sono anch’io, a cui ha aderito la rete di Insegnanti per la cittadinanza insieme a numerose associazioni. Secondo i promotori “questo il momento per votare una legge che sancisce il principio che “chi cresce in Italia è italiano”, vuole riconoscere la ricchezza interculturale dell’Italia di oggi, miglior antidoto alle preoccupanti derive razziste e ai discorsi d’odio”.

Con un manifesto in cui sopra l’impronta di una mano di molti colori campeggia la scritta “L’unica razza che conosciamo è quella umana”, è convocata per venerdì 20 ottobre a Piazza Castello una manifestazione cittadina organizzata dal Comitato Torino mano nella mano contro il razzismo, che comprende decine di associazioni, sindacati e gruppi. Allo slogan “L’Italia siamo già noi” segue un appello piemontese per lo Ius soli e lo Ius culturae, che riprende l’Appello degli Insegnanti per la cittadinanza, già sottoscritto da oltre 5.500 docenti di tutta Italia e di cui si continuano a sollecitare adesioni.

A Roma il 21 ottobre, a Piazza Vittorio, si manifesterà di nuovo contro ogni forma di razzismo e nelle prossime settimane sono previste numerose iniziative pubbliche (Contro ogni forma di razzismo, ndr).

Uno sciopero della fame a staffetta per imporre la discussione della legge

907 insegnanti il 3 ottobre hanno attuato uno sciopero della fame simbolico che ha dato il via ad uno sciopero della fame a staffetta, che sta coinvolgendo decine di parlamentari e persino rappresentanti del governo. Un piccolo spiraglio per l’approvazione della legge si è dunque aperto. Possiamo ancora dare una mano partecipando e sostenendo questa nuova tappa della mobilitazione aderendo qui.

Per chi crede nella convivenza tra diversi come valore fondante di ogni educazione e democrazia degna di questo nome, l’idea che la scuola possa essere protagonista di una costruzione culturale coerente con i principi della nostra Costituzione, non può non sentirla come urgente e necessaria.