La strada che trattiene le donne su un piano di subalternità rispetto agli uomini – e che fa da sottofondo alla violenza di genere – è lastricata di storie le più varie. Spesso sono storie che fanno clamore appena emergono, per poi essere dimenticate un attimo dopo. Non per questo rallentando il lavorio ai danni della parità di genere, vero antidoto alla violenza. Fa parte senza dubbio di questo genere di storie la vicenda della As Roma femminile, la squadra della Capitale che inanella continue vittorie, senza riuscire però ad ottenere il riconoscimento più elementare: un vero campo in cui giocare.
I fatti sono ben conosciuti dalle lettrici e dai lettori di questo giornale, che è stato il primo a raccontarli: la squadra allenata da mister Alessandro Spugna si allena al Tre Fontane, rettangolo di gioco adatto alla sola preparazione. Del tutto fuori norma per la Uefa, dettaglio non da poco visto che la Roma femminile ha raggiunto ormai qualche mese fa un risultato storico: si è aggiudicata la fase finale della Women’s Champions League, il torneo più importante d’Europa. […]
La favola della Roma di Spugna, nel “buona la prima” del professionismo che associa l’annata delle conquiste romane all’indiscutibile dominio bianconero per i posti che contano, risultato immediato e man mano più tangibile del cambio di passo del movimento, si scontra col dato materiale d’uno sport dominato storicamente dal “maschile” nella sua rappresentazione e narrazione dominante, e ancora debilitato nel poter ammettere spazi di realtà alla propria controparte. Spazi tanto metaforici quanto concreti. Così, il Tre Fontane, stadio casalingo del team al femminile della Capitale che ha conquistato l’accesso al più illustre palcoscenico europeo, non può entrare in Champions: non c’è l’impianto d’illuminazione adeguato per disputare le gare in fascia serale, come previsto dal regolamento. “All’origine di tutto, un contenzioso con mille intrighi e poche risposte, che vede discutere ormai da tempo la società Eur SPA, proprietaria dell’area, il Comune di Roma, proprietario del campo, e il gestore del Tre Fontane”, sostiene Marta Bonafoni su Repubblica “Della diatriba sappiamo di uno scambio di lettere; poi lo scalpore, poi appunto più niente”. […]