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16 Feb, 2014

Le mafie restituiscono il maltolto

Sabato 1 marzo, ore 9.30
Palazzo Senatorio – Campidoglio

Conferenza nazionale “Le mafie restituiscono il maltolto. Il riutilizzo sociale dei beni confiscati per la legalità, lo sviluppo sostenibile e la coesione territoriale”

Sono trascorsi 18 anni dall’entrata in vigore della legge n.109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie.
Le tante buone pratiche dimostrano che i patrimoni recuperati alla criminalità organizzata costituiscono risorse per lo sviluppo sociale ed economico del territorio.

L’uso sociale e produttivo dei beni confiscati, inoltre, pone al centro dell’attenzione il rafforzamento delle politiche per il welfare e per la crescita dell’economia sociale, che producono prodotti e servizi d’utilità pubblica e beni relazionali, – oltre che occasioni occupazionali – e nelle quali il portato valoriale ed etico del mondo del volontariato e della cooperazione ne diviene l’anima.

Per queste ragioni l’Associazione Libera ha promosso i Forum regionali e interregionali sui beni confiscati alla criminalità organizzata, con l’obiettivo di aprire spazi di discussione e confronto con tutti i soggetti assegnatari dei beni confiscati e raccogliere esperienze, criticità, nuove idee, buone prassi e proposte di modifica normativa.

I Forum realizzati in Calabria, in Campania, in Puglia, in Sicilia, nel Nord e nel Centro Italia, hanno rappresentato l’occasione per presentare e raccogliere le adesioni alle campagne “Libera il Welfare: I beni confiscati per l’inclusione sociale” e “Impresa bene comune: il made in Italy dell’antimafia”, relative al riutilizzo dei beni immobili per le politiche sociali (accoglienza, reinserimento lavorativo e servizi alla persona) e alla gestione delle aziende sequestrate e confiscate.

Ai Forum sono stati invitati i rappresentanti dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, della magistratura e degli organi investigativi, delle Regioni e degli enti locali, del mondo sindacale, della cooperazione, delle imprese e delle professioni, dell’associazionismo e del volontariato, della scuola e dell’università.

Il programma dei Forum si concluderà con la Conferenza nazionale “Le mafie restituiscono il maltolto. Il riutilizzo sociale dei beni confiscati per la legalità, lo sviluppo sostenibile e la coesione territoriale”, che si terrà sabato 1 marzo in Campidoglio a Roma e a cui sono stati invitati i soggetti gestori dei beni confiscati presenti in tutta Italia.

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15 Feb, 2014

Le trappole del libero commercio: il TTIP, l’accordo USA Europa che danneggia tutti noi

Mercoledì 26 Febbraio, ore 18.00-20.00
Scuola di Formazione Politica Danilo Dolci
Libreria Arion
Via Cavour 255, Roma

Le trappole del libero commercio: il TTIP, l’accordo USA Europa  che danneggia tutti noi
Monica Di Sisto, Vicepresidente di Fairwatch, docente alla Pontificia Università Gregoriana

E’ la Nato del Commercio e rischia di subordinare la salute dei cittadini e l’ambiente alle leggi del mercato e ai «diritti» delle imprese. Si tratta dell’ancora sconosciuto Trattato di liberalizzazione degli scambi e degli investimenti tra Europa e Stati uniti (TTIP), contro il quale sta iniziando una Campagna mondiale di protesta

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14 Feb, 2014

Cie Ponte Galeria: il rimpatrio dei cittadini che si cucirono la bocca conferma la crudeltà di queste “carceri abusive”

Il peggior segnale che poteva arrivare dal Cie a poche ore dalla manifestazione di domani. Davvero un pessimo preludio, mentre movimenti e associazioni si stanno organizzando dietro lo slogan del corteo “Mai più Cie, chiudiamo Ponte Galeria” fatto mio anche nella mozione presentata in Consiglio regionale.

La notizia del rimpatrio nel loro paese per i 15 cittadini nordafricani, che a dicembre si cucirono le bocche in segno di protesta contro le condizioni in cui erano costretti a vivere, segna un’evoluzione tutta in negativo della questione Cie, sulla quale esprimo tutto il mio disaccordo e biasimo.

I protagonisti di quella dolorosa ed estrema protesta messa in atto per attirare l’attenzione del mondo al di la’ delle “porte ingiustamente serrate” del Centro, non solo non sono stati ascoltati, non solo non hanno ricevuto risposte concrete, ma vengono oggi rimpatriati senza nessuna considerazione del viaggio di dolore, sacrifici e pericoli che hanno dovuto affrontare per arrivare in Europa.

Neppure il gran clamore suscitato dal loro appello al Papa, neppure la considerazione in cui il Presidente della Repubblica Napolitano ha tenuto la loro lettera, sono riusciti a bloccare un tritacarne burocratico-legalitario, che incurante delle drammatiche storie personali di questi uomini e donne ingiustamente reclusi nei Cie, continua a trattarli alla stregua di pacchi postali da rispedire al mittente.

13 Feb, 2014

L’emergenza abitativa non si affronta con gli arresti

I fermi di oggi ai danni di 17 attivisti del Movimento per la casa, rappresentano una risposta squilibrata rispetto all’emergenza casa che va affrontata sotto il profilo sociale e dei diritti e non con mera logica di ordine pubblico.

Non può sfuggire a nessuno, tantomeno alla politica, l’immanenza della questione casa, un vulnus della democrazia che ha privato migliaia di persone del diritto ad abitare scatenando situazioni di disagio e ingiustizia sociale. L’emergenza casa rappresenta in questo momento la faccia più feroce della crisi economica che sta attraverso il nostro Paese e tutta l’Europa. E che vede migliaia di uomini e donne, scendere in piazza a protestare per difendere anche il diritto alla casa.

A queste problematiche non si può rispondere con un approccio repressivo: i movimenti per la casa hanno infatti dimostrato di voler dialogare con le istituzioni per costruire politiche di percorso comune, finalizzate ad affrontare l’emergenza. In questa direzione va il lavoro avviato della Giunta Zingaretti che con l’Assessore Refrigeri ha avviato il piano sull’emergenza abitativa.

Un piano fortemente innovativo e partecipato che ha saputo mettere a confronto tutte le realtà istituzionali e sociali coinvolte da questa emergenza per tracciare un percorso basato sulla condivisione per rispondere a tanti e tante ancora senza un tetto anche nella nostra Regione.

12 Feb, 2014

Bonafoni-Quadrana: “Ora sanare i danni provocati da una legge ingiusta”

Giustizia é fatta. Dopo otto anni la Corte Costituzionale ha cancellato una delle leggi più ingiuste ed inique del nostro ordinamento, ristabilendo un giusto principio di libertà. La Fini-Giovanardi ha rappresentato il medioevo del nostro sistema giuridico, condannando uomini e donne a vittime del sistema carcerario.

I brindisi per questa sentenza debbono essere pero’ archiviati velocemente, perché la cosa più urgente, anche in considerazione degli effetti che avrà il pronunciamento della Corte, è ora lavorare per elaborare una nuovo orientamento legislativo che sappia superare in pieno lo spirito oscurantista della Fini-Giovanardi e mettere in campo azioni di depenalizzazione e legalizzazione. Al contempo la politica deve essere ora in grado d’operare in fattive azioni di contrasto al narcotraffico e di riforma piú generale del sistema che coinvolge l’intera comunità carceraria.

12 Feb, 2014

Bullismo e anonimato, tutti contro Ask.fm il sito dei ragazzi che terrorizza i genitori

Nelle strade poco illuminate si rischia di più. E Ask.fm è un sito dove, volendo, si può picchiare al buio. Con le parole, che non fanno meno male. Il suicidio di Amnesia, come si faceva chiamare in rete la quattordicenne padovana, è solo l’ultimo caso. Ad agosto si era impiccata Hannah Smith, una sua coetanea inglese. A settembre era stata trovata senza vita la dodicenne della Florida Rebecca Sedwick. “Meriti seriamente di morire” era uno dei messaggi che sconosciuti avevano postato sulla sua pagina.
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11 Feb, 2014

Donne in carcere. Intervista a Ida Del Grosso, direttrice a Rebibbia

Abbiamo incontrato la direttrice dell’istituto femminile di Rebibbia il più grande dei sei esistenti in Italia con 400 donne detenute.
Intervista di Maria Fabbricatore

Abbiamo incontrato la direttrice dell’istituto di Rebibbia il più grande in Italia dei sei esistenti con questo tipo di struttura autonomo, con poco più di 400 detenute. È un carcere che comprende anche la sezione con detenute ad alta sicurezza. L’istituto è indipendente e gestisce in modo autonomo progetti e risorse. Ha dei servizi di eccellenza, come il nido per i bambini, che abbiamo visitato, che prevede per legge da zero a tre di stare dentro con le madri. E il servizio gestito dai volontari di “A Roma, insieme Leda Colombini”, che porta i bambini dal carcere ai nidi esterni comunali. Unico esempio italiano. Sono previsti per legge anche gli Icam, strutture esterne al carcere, le case famiglia, di gestione comunale o pubblica, funziona bene ad esempio quello milanese, su quelli previsti a Roma si discute, in modo costruttivo, ma non si sa quali strutture verranno adibite a casa famiglia e quando.

Venendo qui, direttrice, ho trovato i parenti in fila ordinata che venivano a fare visita alle detenute.
Si teniamo molto alle famiglie, stiamo facendo delle ristrutturazioni da quel lato dell’istituto. La nostra è una struttura aperta per le detenute da sempre, da vent’anni. Dalle otto di mattina alle venti di sera, possono girare liberamente all’interno dell’istituto, ovviamente se ci sono dei motivi. Facciamo tantissimi trattamenti.

È così posso confermarlo, mi è capitato di vedere, visitando il carcere passando dalla biblioteca al teatro donne che camminavano tranquillamente da un corridoio all’altro e salutavano la vice direttrice Gabriella Pedote, che mi accompagnava “Come va?” lei alla detenuta, e l’altra: “tutto bene, dottoressa, ho la visita, grazie”. Per chi come me non conosceva, faceva fatica a volte a distinguere il personale dalle detenute. E così loro a me.

Riprendo l’intervista, guardando di tanto in tanto fuori dalla finestra il giardino, dove, come mi dirà la direttrice, le detenute, d’estate, trascorrono il tempo con i figli che vengono dall’esterno. Ci sono i gazebo dell’Ikea, sedie e tavolini. Le esperienze delle donne nel carcere sono tante qualcuna eclatante è rimasta nella memoria. Molte si sono salvate da un destino segnato, qui in carcere la vita non è facile, mai. Ci sono i figli fuori che aspettano che le madri tornino, qualcuna ritorna per sempre, ma la lontananza dai figli è il dolore più grande, quelle che le tiene in vita o le condanna per sempre. Dentro c’è la biblioteca con 10.000 volumi. Il teatro. L’azienda agricola con allevamento di conigli e pecore, ma produce, per ora solo per l’istituto. Corsi di yoga e palestre in cui c’è il personale del Coni, perché con lo sport si fa squadra e si scopre cos’è lo spirito di gruppo.

Cosa sono i trattamenti intende quelli di tipo psicologico?
(Sorride) I trattamenti sono l’offerta dei progetti. Uno su tutti la scuola. Ci sono le scuole elementari con personale e docenti che fanno normale richiesta al provveditorato per insegnare in carcere. Le detenute straniere fanno richiesta delle scuole alimentari per poter imparare bene l’italiano. La funzione della pena è una funzione rieducativa e deve tendere alla rieducazione del condannato, sennò non ha senso. Gli strumenti servono perché le detenute possano capire lo sbaglio, per questo puntiamo molto sui progetti dalla scuola, al lavoro, la religione, biblioteca, teatro. E poi abbiamo tantissimi volontari.

Ci sono tantissimi volontari e tante associazioni, questo succede perché la vostra “burocrazia” permette un supporto dall’esterno?
Noi siamo una struttura aperta, più persone entrano da fuori, più possono verificare come noi lavoriamo e che si può fare qualcosa di positivo.

Poi contano i fatti
Sì, contano i fatti e i progetti si fanno se c’è collaborazione e se si lavora per lo stesso obiettivo. Per questo è importante che si parli di quello che si fa dentro. Abbiamo un’attenzione per i parenti, ma soprattutto per i figli. Abbiamo il nido intitolato a Leda Colombini che ha fondato l’associazione “A Roma, Insieme”, lei non c’è più, ma il volontariato continua. Noi abbiamo questa piccola sezione, che come potrà vedere ricorda più un nido che una sezione detentiva. Oggi il nido è sovraffollato perché ci sono 22 bambini e il massimo è 18. Puntiamo soprattutto sulla scolarizzazione dei bambini, abbiamo il pullmino con i volontari che vengono a prendere i bambini e li portano ai nidi dalle 8 alle 16.30

Da quando tempo lei lavora in questo carcere, cosa ha fatto prima?
Per cinque anni vice in un carcere maschile a Rimini, da 15 anni sono qui come vice direttore e direttore da nove mesi, quindi da 21 anni.

Come mai negli altri carceri italiani non c’è un servizio come il vostro e che funziona bene come quello voluto da Leda Colombini?
Esistono altri tipi di strutture, ma noi abbiamo più mamme con bambini. L’Icam a Milano funziona come casa famiglia, è esterno al carcere. Il nostro forse si differenzia per fatto che è tutto al femminile, e da sempre lavoriamo sul messaggio della maternità.

C’è una differenza nella riabilitazione delle mamme detenute che hanno commesso reati comuni e quelle che stanno al carcere duro?
Lei tocca un argomento delicato, ma quello della maternità le accomuna tutte. Il grande dolore delle donne chiuse in massima sicurezza, o la ragazza al primo furto, se ha figli fuori soffre da morire per questa separazione. La paura di perdere i figli è il dolore più grande, perché stanno fuori, perché quelle che hanno i figli fino a tre anni li tengono qui. Questa è la grande sofferenza delle donne madri

Ma forse anche la grande forza delle madri
E’ anche la grande forza che aiuta e su cui noi puntiamo molto. C’è stato un corso un po’ di tempo fa sull’importanza della genitorialità anche come risorsa, e come ha detto lei, io sono convinta che il fatto di avere dei figli fuori può essere la molla per tornare nella società senza compiere altri reati, ma anche di conservare il senso di maternità. Abbiamo oltre al giardino, una ludoteca a dimensione di bambino, perché per il bambino non è bello andare a trovare la mamma in carcere, c’è il senso di vergogna, quindi lo spazio è pensato in modo accogliente

Il punto fondamentale per una donna detenuta è il forte senso di maternità che porta a fare le scelte migliori per lei e per i figli, penso alle testimoni di giustizia legate alla ‘ndrangheta ad esempio, è vero secondo lei?
Si, noi, esempio abbiamo avuto una ragazza rom, loro sono sottomesse ai mariti perché la loro cultura è basata sul fatto che si deve rubare perché viene imposto dai mariti. Noi premendo sull’affetto che provava per i figli siamo riusciti a convincerla a smettere di commettere reati, lei ha abbandonato il marito e poi è stata abbandonata dal marito e dalla comunità. Ma questo le ha permesso di salvare se stessa e i figli, insomma ha rotto gli schemi culturali

Ci vuole un grande coraggio rompere gli schemi di una cultura millenaria come quella dei rom, abbandonare la famiglia per dare ai figli una vita migliore
Ma ci vuole tanta forza per abituarle a mandare i figli al nido, perché i figli devono andare a scuola, al nido, alle elementari è lì che nasce l’integrazione tra rom e cultura italiana

Qual è la cosa a cui tiene molto che spera di veder realizzato qui nel carcere?
La cosa più importante, che ancora non abbiamo e che spero che tra un paio di anni lei ritorni e vediamo se siamo riusciti ad ottenere, è quello di avere una cucina che lavori per l’esterno, un servizio di catering di cucina anche internazionale, che permetta alla maggior parte delle detenute di lavorare. Nei carceri del nord c’è l’esempio del panettone Giotto, a Parma, fanno un panettone ottimo a livello industriale. Perché quello che manca oggi è questo: su 400 donne ne lavorano solo 80 sono poche ne devono lavorare di più. Alcune lavorano anche all’esterno, noi puntiamo molto sul lavoro all’esterno in semilibertà, insomma è un modo per dare fiducia.

Al ritorno riprendiamo l’autobus e poi la metro. Ci guardano tutti, siamo stati a trovare le nostre parenti detenute. Il cancello dal quale siamo uscite non lascia dubbi. Solo una vecchietta ci rivolge la parola e ci raccomanda un mercato vicino a Rebibbia: “Costa tutto molto poco, la cicoria a 25 centesimi, come si può rinunciare, con la pensione che abbiamo”, ci dice. Già come si fa a rinunciare.

Il servizio fotografico sul prossimo numero di Noidonne

Maria Fabbricatore, NoiDonne