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05 Mag, 2017

Sono io quella ragazza

Carlotta Cossutta, Comune-info

Sono io quella ragazza sola che deve essere difesa dal degrado in stazione centrale. Negli ultimi anni ho preso più treni che tram e ho attraversato la stazione all’alba e a notte fonda… E l’ho vista cambiare: prima sono arrivati i militari, poi le barriere ai binari, poi i cancelli.

Mi sono vista passare tutti i controlli forte della mia pelle bianca e dei miei vestiti borghesi, mentre dietro di me ragazze nere venivano fermate e apostrofate malamente perché non parlano italiano (e per favore, non ditemi che questo non è razzismo); mi sono sentita fischiare dietro dai militari e sono stata aiutata a rialzarmi da una caduta sulla bici da un ragazzo arabo che giocava a carte; ho ricevuto un’offerta di erba e due proposte di matrimonio; ho assistito a una rissa e ho visto due fratelli eritrei guardare con gli occhi sgranati mia sorella che cercava di capire se avessero la scabbia….

Sono io quella ragazza sola e non vi permetterò di usare il mio corpo come paravento per operazioni come quella di martedì 2 maggio…

04 Mag, 2017

L’azione neofascista contro l’OIM è di una gravità estrema

E’ estremamente grave quanto accaduto oggi presso presso l’Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo dell`Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.

I militanti neofascisti di Forza Nuova hanno prima appeso uno striscione contro le Ong che prestano soccorso in mare e dopo aver occupato lo spazio esterno della sede romana dell’Oim e acceso fumogeni, hanno addirittura inveito contro un migrante che stava entrando negli uffici. Si tratta di un’azione razzista e xenofoba, che va doppiamente condannata perché prende di mira proprio quelle Ong che svolgono un ruolo essenziale di ricerca e soccorso nel Mediterraneo.

Un assalto del genere dimostra quanto sia rischioso fare campagne strumentali contro le Ong, additandole come il nemico. A maggior ragione, il fatto richiede una presa di posizione unanime e corale, perché frutto di un clima avvelenato che rischia di non essere episodico in una città che ogni giorno si sveglia sempre più intollerante.

04 Mag, 2017

Si faccia chiarezza sulla morte di Niam Maguette

Esprimo il mio sincero cordoglio per la morte di Niam Maguette avvenuta ieri a Roma nel corso di un controllo da parte dei vigili urbani. Si tratta di un fatto tragico, che avrà delle ricadute pesanti sulla famiglia dell’uomo e sulla vita dei suoi due figli, sul quale è necessario a prescindere aprire una valutazione.

Una valutazione che deve tener conto in primo luogo delle condizioni di vita e di salute di molti ambulanti e, di conseguenza, del modo in cui vengono svolti i controlli anti abusivismo. Proprio per questo, è quanto mai necessario fare chiarezza sull’accaduto e accertare con il massimo impegno cosa sia realmente successo nel corso di quel controllo.

Tragedie di questo tipo devono e possono essere evitate e qualunque lotta alla contraffazione non può prescindere dall’umanità verso l’anello più debole e più visibile di questa catena.

Anche la politica deve fare la sua parte, ripensando a nuovi modelli di assistenza, perché un’amministrazione o un governo che scambia il tema dei migranti con quello del decoro alimenta solo un clima di tensione e di guerra tra poveri che nulla a che fare con la sicurezza dei cittadini.

04 Mag, 2017

Nian, senegalese morto in un blitz: vittima del decoro

Mario Di Vito e Rachele Gonnelli, Il Manifesto

Si può morire di decoro, crollando a terra a pochi passi dal Lungotevere e dalle vetrine di design. Si può morire in uno sbocco di sangue dopo aver passato ore e ore trascinandosi dietro un borsone nero pieno di finte pochette di marca a nascondersi dai vigili urbani della squadra dei Falchi, mobilitati per la prima grande retata anti ambulanti dell’era Minniti lanciata ieri mattina nel cuore di Roma con l’ausilio anche di un elicottero: in pratica una caccia all’uomo da far invidia alle battute padane alla ricerca del terribile Igor il Serbo. Può succedere soprattutto se questa vita la fai da trent’anni.

SI CHIAMAVA Nian Maguette, aveva 54 anni, originario della regione di Louga in Senegal, si guadagnava da vivere, per sé e per i suoi tre figli, facendo il venditore ambulante, due li aveva portati in Italia e l’altro era rimasto in Senegal con la madre. È morto intorno all’ora di pranzo sul marciapiede di via Beatrice Cenci, all’ingresso del Ghetto, dopo aver passato la mattinata a scappare dal blitz contro l’abusivismo nella zona intorno all’antico Ponte Fabricio, di qua e di là del fiume. Le testimonianze sugli ultimi attimi in vita di Nian divergono: alcuni testimoni sostengono che l’uomo sia stato inseguito da una moto della municipale, forse investito e abbia sbattuto la testa. Altri invece riferiscono che l’ambulante stesse barcollando per la strada fino a quando si è accasciato ed è morto così, lasciando per terra una macchia di sangue densa e estesa ancora ben visibile diverse ore dopo i fatti.

IL NEGOZIANTE che lo ha visto attraverso la vetrata accasciarsi riverso a terra con le braccia in avanti dice di aver pensato inizialmente a uno svenimento. Una passante ha chiamato il 118 e gli infermieri hanno provato in tutti i modi a rianimarlo, inutilmente. Quando Nian è stato alla fine coperto da un telo dorato, del tutto simile a quelli dati ai migranti salvati in mare, gli altri venditori senegalesi fuggiti nelle stradine attorno, si sono radunati e hanno inscenato un mini corteo di protesta. Sono stati dispersi dalla celere a colpi di manganello nel giro di pochi minuti. È probabile che nei prossimi giorni la comunità senegalese di Roma organizzi una manifestazione per chiedere verità e giustizia.

GLI UOMINI DELLA POLIZIA cittadina, poi, hanno anche portato in centrale un ragazzo senegalese che, pur non essendo un testimone oculare, stava riportando ai cronisti le voci sull’inseguimento tra i vigili in moto e Nian. Gli uomini della polizia locale l’hanno interrotto a metà racconto, intimandogli in maniera perentoria di seguirlo in commissariato per mettere agli atti la sua versione. A trattare sul punto sono arrivati anche due giovani avvocati, che, dovesse essercene il bisogno, proveranno a prendere in carico il caso.

Il sostituto procuratore Francesco Paolo Marinaro ha aperto un fascicolo d’inchiesta, per ora senza ipotesi di reato né indagati, in attesa delle informative della municipale e, soprattutto, dei risultati dell’autopsia che è stata disposta sul corpo di Maguette.

I RAGAZZI DELLA COMUNITÀ senegalese raccontano che Nian era in Italia da trent’anni, viveva sulla Prenestina e cercava di sfamare la sua famiglia vendendo borse per le strade della Capitale, riuscendoci peraltro a stento. «Era un uomo buono che lavorava davvero per un pezzo di pane – racconta Diop, 35 anni, prima di essere portato in commissariato –, non riusciva nemmeno a mandare i soldi in Senegal, dove ha un altro figlio. Cercava di tornarci spesso, l’ultima volta sarà stato due o tre mesi fa».

I VIGILI, per bocca del vice comandante Antonio Di Maggio, negano ogni addebito: «Non esiste alcun coinvolgimento diretto tra l’operazione antiabusivismo e il decesso del cittadino senegalese».
Intanto, sulla pagina Fb del corpo di polizia locale di Roma Capitale si esulta per il successo del blitz: sequestri e multe per trentamila euro, somme che verosimilmente non verranno mai pagate. Con l’aggiunta della foto della catasta di borsoni di merce requisita, si rileva come la presenza dei venditori abusivi risultasse «dannosa anche dal punto di vista del decoro urbano in un sito sottoposto a vincolo paesaggistico». Nemmeno un accenno a Nian Maguette, morto di decoro.

28 Apr, 2017

“Sospetti, fango e ombre danneggiano il nostro lavoro. Noi salviamo vite umane”

Andrea Pasqualetto, Corriere della Sera

Gabriele Eminente, lei dirige Medici senza Frontiere Italia, che opera nei soccorsi in mare con due navi. Il procuratore di Catania dice che alcune Ong potrebbero essere finanziate da trafficanti, Cosa ne pensa?
“Il procuratore ha il diritto di portare avanti la sua indagine e noi non abbiamo alcuna intenzione di interferire. Ma dobbiamo respingere qualsiasi illazione riguardante il nostro lavoro. Medici senza frontiere non ha alcun contatto con questi criminali e men che meno è finanziata dai trafficanti”.

26 Apr, 2017

Pescatori di uomini senza frontiere

Erri De Luca, Il Fatto Quotidiano

Alle 6 di mattina a 18 miglia dalla costa libica Pietro Catania, capitano della nave salvataggio Prudence di Medici Senza Frontiere, mi fa vedere sulla carta nautica tre gommoni segnalati in partenza nella notte dalle spiagge di Sabrata. Alle 6 di mattina hanno raggiunto le 8 miglia di distanza. Inizio il turno di avvistamento al binocolo. Il radar di bordo non basta a segnalare un’imbarcazione bassa, fatta di gomma e di corpi umani. Sull’altro bordo di prua Matthias Kennes, responsabile di Msf, sorveglia il rimanente pezzo di orizzonte. Si vedono le luci della costa, l’alba è limpida. Passano le ore inutilmente.

Veniamo a sapere che i gommoni sono stati intercettati dalle motovedette libiche e costrette al rientro. Avevano raggiunto le 15 miglia, perciò fuori dal limite territoriale delle 12, che sono in terra 22 km. Potevano lasciarli stare. Sono già condannati a morte se fanno naufragio entro il limite, dove non possiamo intervenire. Li riportano a terra per chiuderli di nuovo in qualche gabbia: non tutti. Uno dei gommoni trainati si rovescia. Affogano in novantasette.

Quando si tratta di vite umane, le devo scrivere con le lettere e non con le cifre. Ventisette invece sono ammesse alla lotteria della salvezza. A bordo della Prudence era tutto pronto. Restiamo con i pugni chiusi, senza poterli aprire per raccogliere. Guardo il mare stasera: disteso, pareggiato a tappeto. Non si può affondare senza onde. Bestemmia al mare è affogare quando è calmo, quando non esiste alcuna forza di natura avversa, tranne la nostra. Siamo coi pugni chiusi.

Non soffro il maldimare, ho imparato da bambino a stare in equilibrio sulle onde. Non soffro il maldimare, ma stasera soffro il male, il dolore del mare, la sua pena d’inghiottire da fermo i naviganti. È creatura vivente il mare che i Latini chiamarono con affetto Nostrum, perché nessuno potesse dire: è mio. La nave in cui mi trovo vuole risparmiare al Mediterraneo altre fosse comuni. Rimaniamo al largo un giorno e un’altra notte di veglia.

Questo è oggi il trasporto delle vite sul Mediterraneo, da una parte crociere in girotondo, dall’altra parte zattere alla deriva, affidate all’arbitrio di chi intasca quattrini sia dai trafficanti che dall’Unione europea. Una pacchia per loro: perché dovrebbero rinunciare a uno dei contribuenti? Un naufragio qua e là, l’arresto di qualche gommone a casaccio, così per fingere di rispettare gli accordi. Gli accordi prevedono i naufragi? Non sia mai detto.

Gli accordi ammettono effetti collaterali, colpa degli irriducibili che vogliono viaggiare per forza. Proprio così, per forza: vengono prelevati di notte dai recinti, a scaglioni di centocinquanta è costretti a salire sul gommone. Costretti: parecchi vorrebbero ritirarsi di fronte al buio e al rischio assurdo. Non possono. Chi resiste, sale sotto spinta di armi. Uno di questi, recuperato in un salvataggio precedente, aveva un proiettile nella gamba. I trafficanti li incalzano, poi affidano bussola a timone a uno del carico. Gli scafisti non ci sono più.

Una delle unità veloci calate dalla Prudence per avvicinamento ai gommoni, chiede a quello che regge la barra del fuoribordo di spegnere il motore. Risponde che non lo sa fare. Gli scafisti hanno messo in moto e lui sa solo reggere la barra. L’unità veloce è costretta all’abbordaggio. Lionel, operativo di Msf, si fa tenere per i piedi e dalla prua si lancia sul motore fuoribordo del gommone per spegnerlo. Gli scafisti non esistono più.

Nel porto di Augusta in Sicilia, dove salgo a bordo della Prudence, c’è un campo di primo internamento per chi sbarca da navi soccorso. A fianco, grandi gru caricano rottami di ferro dentro stive dirette a fonderie in Asia. Viaggiano con documenti in regola pure i chiodi arrugginiti. Gli esseri umani del campo vicino sono invece carico fuorilegge in attesa di respingimento.

Le ultime procedure introdotte dal nuovo malgoverno cancellano il diritto di appello del richiedente asilo, in caso di primo rigetto della sua domanda. Tolgono il diritto di appello: a chi ha perso tutto quello che poteva già perdere. Si scrivono e si approvano da noi leggi d’ inciviltà feroce. Qualche svaporato nostrano dice che i gommoni partono perché ci sono le navi di soccorso al largo.

Sono venti anni che partono zattere a motore imbottite di umanità spaesata. La prima fu affondata nella Pasqua del ‘97 da una nave militare italiana che aveva l’ordine d’imporre un abusivo blocco navale in acque internazionali. Veniva dall’Albania, il suo nome era Kater i Rades. Lo Stato italiano se la cavò con dei risarcimenti alle famiglie dei circa novanta annegati.

Sono venti anni che viaggiano sul Mediterraneo zattere a motore senza alcun soccorso. Ora che finalmente esiste una comunità internazionale di pronto intervento in mare, sarebbe colpa sua se partono i gommoni. Come dire che esistono le malattie per colpa delle medicine. Se i delfini venissero in aiuto dei dispersi in mare, questi svaporati li accuserebbero di complicità coi trafficanti. In verità la loro fandonia intende accusare i soccorritori d’interrompere il regolare svolgimento del naufragio. Perché siamo e dobbiamo rimanere contemporanei incalliti del più lungo e massiccio affogamento in mare della storia umana.

Il giorno seguente all’alba torniamo a scrutare l’orizzonte dietro le lenti dei binocoli. Sappiamo che sono partiti di notte da Sabrata. Il mio compagno di cabina, Firas, di origini siriane, legge su FB messaggi in arabo dove si scambiano queste notizie. Localizziamo il primo gommone, stracarico, gli uomini stanno a cavallo dei tubolari, a prua è mezzo sgonfio. Si cala l’unità veloce che per prima cosa distribuisce giubbotti di salvataggio. Spesso la vista del soccorso produce una pericolosa agitazione a bordo del gommone. Il mare è quello piatto di ieri. Firas a prua col megafono mantiene la calma spiegando le manovre seguenti.

Quando tutti hanno indossato il giubbotto, la Prudence si accosta e aggancia il gommone alla sua fiancata. Da una scaletta di corda salgono a bordo uno per volta, aiutati da braccia robuste. Alcuni non si reggono in piedi per la posizione forzata tenuta sul gommone per molte ore. Salgono donne incinte e due bambini. A ognuno viene dato subito uno zainetto con una tuta, barrette caloriche, succhi di frutta, acqua, un asciugamano. La squadra medica fa a ognuno una prima visita. Tre container sul ponte sono attrezzati a unità ospedaliera, divisa in rianimazione, pronto soccorso, isolamento per casi infettivi e una piccola sala parto. Se ne occupa Stefano Geniere Nigra, giovane medico torinese.

A bordo della Prudence non si usa il termine di profughi, migranti e titoli affini. Sono chiamati ospiti. Ricevono la più urgente ospitalità, quella data a chi arriva dal deserto. Mi affaccio sul gommone svuotato, il fondo è tenuto insieme da un tavolato sconnesso. Ha portato centoventinove persone, con un motorino fuoribordo di 40 cavalli. Dalle sei di mattina fino a sera si raggiungono altri tre gommoni sparsi fuori delle 12 miglia, più un trasbordo da una nave soccorso più piccola che era a limite di carico. A sera si trovano sistemati seicentoquarantanove ospiti.

La Prudence può contenerne mille, è la più grande unità della zona. La sera si fa rotta su Reggio Calabria, destinazione assegnata dal comando di Roma. Gli ospiti finalmente al sicuro, nutriti, riscaldati, iniziano preghiere, canti e ballano insieme, popoli di terre diverse e lontane tra loro. Sono a bordo, diretti in Italia. È la sola parte del viaggio che non costa loro nulla. È il solo dono, l’unico passaggio gratis venuto loro incontro. È anche il migliore trasporto. Qui sul mare è successo il sottosopra dell’economia: il peggiore trasporto è costato loro carissimo, il migliore invece niente. Esultano per liberazione. Ho con me il passaporto.

Nessuno di loro ha un documento nè un bagaglio. Il loro esilio li ha privati del nome, l’ identità è che sono vivi e basta. I loro figli, i loro nipoti vorranno sapere, ritrovare le impossibili piste attraversate, l’epica leggendaria che oggi è un trafiletto in cronaca, in caso di strage. “Ennesimo” è l’aggettivo osceno che accompagna il titolo, accanto al neutrale sostantivo di naufragio.

Ennesimo: il cronista è stanco di dover tenere il conto, alzare il sopracciglio per l’ennesima volta. Sulle rive del lago Kinneret, chiamato Tiberiade dai conquistatori venuti da Roma, il giovane fondatore del cristianesimo cercò i primi compagni. Erano di mestiere pescatori. Al giovane piacevano le metafore. Secondo Matteo (4,19) disse : “Venite con me, vi farò pescatori di uomini”. Eccomi in un tempo e su una nave che applica alla lettera l’impulsiva metafora. Sto con persone che si sono messe a pescare uomini, donne, bambini. Il Mediterraneo è un lago Kinneret salato e più grande.

Chi sono questi pescatori? Per coincidenza con la vicenda precedente, a bordo sono tredici, ma senza un Iscariota in squadra. Quattro di personale medico, tre organizzatori tecnici, tre interpreti e mediatori culturali, una psicologa, una responsabile delle comunicazioni e in più il coordinatore. Ognuno ha esperienza di interventi con Msf in varie aree del mondo. Hanno scelto la professione del soccorso, ma per farla non è sufficiente la competenza. Serve una catapulta interiore pronta al lancio dove si grida aiuto.

Hanno passaporti di molte nazioni, ma il loro titolo è: senza frontiere. Qui nelle acque internazionali sono nel loro ambiente. Quando la loro presenza è indispensabile, non valgono i confini. Perciò disturbano spesso la condotta dei governi coinvolti. Hanno scelto di non prendere fondi dall’ Unione Europea. Perciò non piacciono alla sua agenzia Frontex, che si occupa di frontiere nel Mediterraneo e non sopporta l’impegno di organismi indipendenti, anche se salvano vite che senza di loro andrebbero perdute.

Domenica mattina di Pasqua la Prudence è in vista del porto di Reggio Calabria. Troveremo sul molo in un giorno di festa solenne il dispositivo necessario alla sbarco? Il dubbio si dilegua all’imbocco del porto: primi si vedono per numero e colore di magliette azzurre i giovani volontari cattolici che cantano cori di benvenuti. Poi il personale medico al completo, i funzionari di polizia del servizio immigrazione, i molti autobus per il trasporto degli sbarcati nelle varie destinazioni.

A ognuno che scende lungo la passerella, i volontari danno un opuscolo in varie lingue che informa su diritti e procedure, a conferma di quanto già spiegato a bordo. Scendo e ricevo addirittura il saluto del sindaco venuto al molo con alcuni assessori. Non riesco a credere: è domenica di Pasqua, ma sono tutti pronti a funzionare con efficienza, cordialità, rispetto. A Reggio Calabria, mi dicono, è prassi da due anni. Matthias Kennes mi conferma che anche nel porto di Palermo hanno un simile spirito di servizio negli sbarchi. Gli uomini e le donne scendono separatamente. Una di loro si volta intorno smarrita. Una funzionaria di polizia fa chiedere a un’interprete cosa stia cercando. Si tratta del marito. La funzionaria lo va a cercare, lo trova e si assicura che la coppia viaggi insieme. Si può fare: tenere insieme procedure e senso di umanità solidale. Grazie Reggio.

Il mattino dopo si è di nuovo in mare dopo un rifornimento accelerato. Si va a velocità sostenuta, c’è urgenza in zona. Sono partiti molti gommoni e sul posto la nave Phoenix del Moas è già carica, con intorno nove gommoni, cioè mille persone senza acqua nè giubbotti salvataggio. Sono tenuti insieme con qualche corda. Abbiamo davanti almeno trenta ore di navigazione e mare grosso che ci rallenta. Non potremo arrivare in tempo. Uno dei gommoni cede e nessuno può farci niente. Questo può spiegare che i trafficanti lanciano gommoni al largo senza nessun calcolo circa la presenza di soccorsi.

La loro unica condizione è che il mare sia calmo, non per motivi umanitari, ma perché centocinquanta persone spinte da un motore di 40 cavalli non riescono a prendere il largo se il mare appena increspa. A bordo della Prudence queste partenze vengono chiamate lanci, perché scagliati da un lanciatore che rimane a riva. L’intensità dei lanci di aprile è dovuta alla nostra fornitura di motovedette nuove alla Guardia Costiera libica, che entreranno in servizio a maggio. I trafficanti nell’incertezza affrettano tutti i lanci consentiti dalle condizioni meteo.

Il capitano Pietro Catania e il suo equipaggio sono coinvolti anima e corpo in queste operazioni, perché sono gente di mare. Non badano a turni né a orari, fanno tutt’uno con la gioventù di Msf. In rotta da Reggio Calabria la nave incontra maltempo. Veniamo a sapere che è rimasto un gommone, in attesa fuori delle 12 miglia. Siamo i meno lontani ma comunque arriveremo troppo tardi. Allora da Lampedusa, che sta parecchio più a sud di noi, la Guardia Costiera manda due motovedette veloci, che arrivano molto prima e salvano centoquarantatre persone caricandole a bordo. Ci corrono incontro e le trasferiscono da noi. I due equipaggi sono partiti così in fretta da Lampedusa, da non avere caricato neanche il cibo per loro. Sono digiuni, i marinai della Prudence li riforniscono per il loro viaggio di ritorno.

Salgono centoquarantatre persone intirizzite, una donna all’ottavo mese di gravidanza. I loro occhi hanno perduto espressione di domanda, di preghiera, di messa a fuoco. Stanno ancora fissando l’orizzonte vuoto. “Lo senti dall’odore, da quanto tempo stanno in acqua” mi dice Cristian Paluccio, comandante in seconda. Lo sento forte anch’io, è tannino, materia da conciatore di pelle, un sudore di cuoio. Ricevuto lo zainetto di primo ristoro si mettono in fila per la doccia. Si tolgono di dosso il fradicio di naufraghi. Dopo il getto di acqua dolce, per loro anche più dolce, riprendono espressione i loro occhi. Cercano i volti, cominciano a chiedere notizie, a capire chi li accoglie al sicuro. Affiorano i canti, i ritmi e il contagioso ballo.

Non ho uso di tatuaggi, la mia superficie riporta solo i segni degli anni. Ma gli avvenimenti del mondo che mi hanno coinvolto fisicamente, mi hanno inciso tatuaggi dalla parte interna della pelle. Abito dentro la mia, posso percepirli e li distinguo. Ho disegni scritti sul lato che non scolorisce. Le due settimane a bordo mi hanno impresso un tatuaggio nuovo: una scala di corda che pesca nel vuoto. Dal suo ultimo gradino ho visto spuntare una per una le facce di chi risaliva dal bordo di un abisso. Stipati in una zattera, scalavano i gradini della loro salvezza. Quelle centinaia di facce: non ho la virtù di poterle trattenere.

Ho avuto l’assurdo privilegio di averle viste. Di loro mi resta la scala di corda che hanno scalato seminudi e scalzi su pioli di legno. Pratico alpinismo e credo di sapere di preciso cosa sia il verbo scalare. Invece non lo sapevo. Ho imparato in mare a bordo di una nave quello che nessuna cima raggiunta mi ha insegnato prima. Perciò sotto pelle si è impresso il tatuaggio di una scala di corda coi pioli di legno.

24 Apr, 2017

Chi è ipocrita sui migranti

Chiara Saraceno, La Repubblica

Chi è ipocrita sulla questione dei salvataggi in mare dei migranti? Le Ong e chi le sostiene finanziariamente (ma anche la marina italiana e Frontex) perché effettuano i salvataggi pur sapendo che c’è chi lucra sui migranti sia nei luoghi di arrivo, o chi fa finta di non vedere e non sapere che premono alle porte dell’Europa persone così disperate da correre rischi inenarrabili, compresa la morte, pur di sfuggire alle condizioni di vita che sono loro toccate in sorte?

21 Apr, 2017

Migranti: Roma ancora una volta impreparata, si trovi una soluzione

Roma è ancora una volta impreparata all’accoglienza. L’appello lanciato oggi in conferenza stampa da Baobab experience, MEDU e della Rete Legale per i Migranti, dopo l’ennesimo sgombero di ieri dei 60 migranti che avevano trovato rifugio vicino alla stazione Tiburtina, è chiaro e condivisibile: se non verrà predisposto subito un piano credibile di accoglienza per i cosiddetti transitanti, con i nuovi sbarchi saranno centinaia le persone in fuga da guerre e persecuzioni, obbligate a dormire per strada senza alcuna assistenza se non quella prestata da cittadini e associazioni.
Al momento, infatti, non sono previste nuove strutture che possano accogliere i flussi migratori in arrivo e se fosse confermata la chiusura del centro Cri di via del Frantoio a giugno, in assenza di soluzioni alternative, sarebbe davvero grave.
Roma Capitale ha un unico modo per rispondere: intervenire in maniera tempestiva, destinando spazi di accoglienza alle persone più vulnerabili e imprimendo un’accelerata alle politiche di inclusione in questa città. Non farlo sarebbe una vergogna per la Roma che accoglie.

14 Apr, 2017

Naufragio con cento morti a largo della Libia

Rachele Gonnelli, IL Manifesto

Sono annegati in 97 a sole sei miglia dalla costa ovest di Tripoli, tutti migranti arrivati in Libia dall’Africa subsahariana. Erano a bordo di un grosso gommone bianco stracarico ed evidentemente danneggiato già in partenza: il portavoce della guardia costiera di Tripoli, Ayoub Qassem, ha detto all’agenzia Reuters che la base dell’imbarcazione non ha retto, si è sfasciata, portando a fondo la maggior parte delle persone a bordo, tra cui quindici tra donne e bambini.

La guardia costiera libica è riuscita a recuperare solo ventitrè naufraghi, quelli in grado di nuotare. I migranti salvati sono stati portati nella caserma della guardia costiera a Qarqaresh, alla periferia della capitale, dove – sempre secondo le dichiarazioni di Ayoub Qassem – sono stati rifocillati e curati. E nelle prossime ore probabilmente verranno trasferiti nei nuovi centri di detenzione per migranti aperti a Tajura, nei sobborghi a nord-ovest della città, che per altro sarebbero già stracolmi.

MARE DI MORTI Questi 97 morti, ufficialmente «dispersi in mare», vanno ad aggiungersi ai 664 morti o dispersi stimati dall’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) fino al 9 aprile scorso, quasi tutti – oltre il 90 per cento – in naufragi simili sempre lungo la rotta Libia-Italia. Oltre agli africani, per lo più in fuga dalla grave siccità che ha colpito il Sahel, si sono recentemente aggiunti verso quest’unica porta d’ingresso pericolosa e illegale verso l’Europa anche migranti che hanno fatto un percorso molto più lungo. Il portavoce dell’Oim a Roma, Flavio Di Giacomo, fa infatti notare che tra gli oltre 2.100 migranti soccorsi in mare e portati in Italia di recente, c’erano anche circa 500 bengalesi e 50 siriani.

La rotta del Mediterraneo centrale è però sempre più rischiosa. L’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, calcola che si è passati da 1, 8 morti a 3,4 ogni 100 arrivi. Ma il rischio di morire, o di essere torturato e abusato, è molto frequente anche a terra, in Libia.

MERCATO DI SCHIAVI Un recente rapporto dell’Oim – che ha avuto molto risalto sulla stampa britannica in questi giorni corredato da interviste a migranti sbarcati in Italia – parla del mercato degli schiavi in Niger e a Sahba, nel sud ovest della Libia, dove i prezzi per un uomo o una donna oscillano tra i 200 e i 250 dollari. Come già riportato dalle testimoonianze raccolte dalla ong romana anti-tratta BeFree, i migranti subsahariani sono venduti e comprati dai trafficanti libici, e le donne violentate e costrette a prostituirsi, con il supporto di migranti ghanesi o nigeriani assoltati come «kapò» nei compound di detenzione. L’ufficio libico dell’Oim calcola che in Libia i migranti in attesa di imbarcarsi per l’Europa, quasi sempre dal porto di Sabrata, sulla costa di nord-ovest, siano tra gli 800 mila e il milione.

ONG CONTRO FRONTEX Le accuse formulate due giorni fa dal direttore esecutivo dell’agenzia europea Frontex, Fabrice Leggeri, contro le ong che salvano – ha ammesso – «i due terzi dei migranti in mare con le loro navi di soccorso mentre mai come oggi quel tratto di Mediterraneo è pieno di navi pubbliche», cioè militari e le 11 di Frontex. Leggeri ha accusato però le ong umanitarie di collaborare con i trafficanti: «sappiamo di casi in cui gli scafisti hanno dato ai migranti che si imbarcavano i telefoni delle ong». La denuncia di Frontex viene definita «una fake-news» dall’imprenditore Michael Buschheuer a capo e della ong tedesca Sea Eye che nel 2016 da sola ha salvato oltre 5.500 vite umane. Mentre Riccardo Gatti, della ong spagnola Proactiva Open Arms a bordo della nave Golfo Azzurro, ha detto che nell’ultimo mese hanno subito intimidazioni e pressioni «da parte di forze di polizia e ufficiali di Frontex», saliti a bordo per frugare nei conti e negli stili di vita degli operatori.

PAESE «SICURO» L’Italia e la Ue firmano Memorandum e promettono centinaia di milioni a Tripoli e ai capitribù del Fezzan per tenersi i migranti, ma la situazione non è affatto pacificata. Si è anzi innescata una nuova escalation della guerra civile per il controllo del Fezzan e della via tra Sebha e Jufra tra la «Brigata 12», fedele al generale Haftar, e le milizie misuratine chiamate «Terza forza». Tanto che gli ambasciatori di Russia, Usa, Cina, Gb e Francia – riporta l’agenzia Nova – si dicono preoccupati.