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21 Mar, 2017

La catastrofe culturale delle donne in tv

Bia Sarasini, Il Manifesto

Ha detto di no, il direttore generale della Rai Campo Dall’Orto, dopo le scuse del direttore di RaiUno Fabiano e lo stupore autoaccusatorio della presidente Maggioni. La ricetta sessista e razzista proposta da Parliamone di sabato, fatta di donne ossequienti, servizievoli e sostanzialmente mignotte, in onda sabato scorso, non corrisponde alla visione del servizio pubblico, ha dichiarato.

Il programma è cancellato. Una decisione inevitabile, per il clamore delle proteste di fronte alla messa in scena di uno pseudo dibattito sui gusti degli uomini italiani, attratti dalla presunta arrendevolezza delle donne dell’Est. Sempiterne straniere bionde, ben diverse dalle svedesi inseguite negli anni sessanta-settanta, allora apprezzate perché emancipate, libere. Ragazze che nessuno si sarebbe sognato di immaginare come mogli. Miti rovesciati che la dicono lunga sui ribaltamenti avvenuti. Alle italiane oggi si rimprovera la troppa libertà. E la scarsa disponibilità a trattare gli uomini come sultani.

La protesta è stata un successo. Il sit-in convocato da NonUnaDiMeno si annunciava imponente. Con una decisione senza precedenti – in passato si erano ascoltati piuttosto i diktat dall’alto – la governance Rai ha deciso di non sfidare la piazza. In sintonia con il governo in fuga dai referendum?

Ma il cambiamento a cui allude Campo Dall’Orto per i pomeriggi in tv è anche il segno di una nuova linea editoriale? O si continuerà a rimestare in quel mix di bassi sentimenti, viscere, pregiudizi che impastano da decenni le ore pomeridiane della tv pubblica? Non è che sabato scorso sia stato trasmesso qualcosa di mai visto, in Rai. Ma chi se ne accorge, della poderosa struttura dirigenziale? L’attenzione ossessiva alla politica e ai programmi di informazione gioca brutti scherzi. Maschilisti. I pomeriggi sarebbero robetta minore. Per donne. Per adolescenti. Una catastrofe culturale e politica.

20 Mar, 2017

Progetto Susy

Venerdì 28 aprile 2017, ore 17.30
Scup
Via della Stazione Tuscolana, 84

* Saluti
* Riccardo Troisi – “Le sfide dell’economia sociale e solidale in Europa e nel Mondo. Presentazione risultati della ricerca progetto Susy”
* Monica Di Sisto – “Economia solidale e rapporti con le istituzioni locali : un’opportunità da cogliere”
* Tavola rotonda: confronto con le realtà di economia solidale e le istituzioni locali su “Quali prospettive per lo sviluppo dell’economia sociale e solidale a Roma e nel lazio ?” Coordina Gabriella D’Amico (Assobotteghe)

SUSY – SUstainable and Solidarity EconomY- è un programma di educazione non formale della durata di 3 anni, promosso in Italia dal COSPE e Fairwatch in collaborazione con numerosi partner provenienti da 23 paesi Europei:

Il progetto SUSY è un’opportunità per aumentare la consapevolezza sui meccanismi di interdipendenza che caratterizzano il mondo in cui viviamo e per promuovere una maggiore responsabilità, individuale e collettiva, rispetto ai modelli di produzione, distribuzione, consumo. Un’occasione per analizzare, dibattere, sostenere e rafforzare i principi e le pratiche di Economia Sociale e Solidale per la promozione di un modello di società più equo e giusto, partendo dalla conoscenza e dalla diffusione delle esperienze virtuose.

Uno degli strumenti utilizzati è la ricerca internazionale sulle buone pratiche di ESS “Economia trasformativa: opportunità e sfide dell’economia sociale e solidale in 55 territori in Europa e nel mondo” coordinata da Fairwatch. In questo sforzo, attualmente una delle più importanti ricerche sul tema, sono stati coinvolti 80 ricercatori, realizzate 550 interviste e mappate 1.100 pratiche di ESS che coinvolgono più di 13.000 persone.

Queste esperienze forniscono un quadro generale di come l’ESS può tradursi in pratiche concrete, coinvolgendo ambiti diversi – dall’agricoltura ai servizi- riflettendo le peculiarità di ogni contesto nazionale. La ricerca è stata condotta in 32 paesi, 23 dei quali sono Stati membri dell’UE (46 territori) e 9 paesi in America Latina, Africa e Asia (Bolivia, Brasile, Uruguay, Mozambico, Tunisia, Palestina, India, Malesia, Mauritius).

Per ulteriori informazioni sulla Ricerca Internazionale e altro visitate il sito web del progetto SUSY:
www.solidarityeconomy.eu

Mappa online SUSY
Ci sono molte alternative. Rendiamole visibili!!
La ricerca SUSY ha mappato 55 pratiche di ESS, ma ce sono molte di più!
In collaborazione con TransforMap, il progetto SUSY ha prodotto una mappa online dell’ESS in Italia e in Europa. Vai al sito http://www.solidarityeconomy.eu/susy-map/

20 Mar, 2017

Domani a Ostia con Libera in ricordo delle vittime di mafia

Parteciperò domani all’iniziativa organizzata da Libera a Ostia, in occasione della Giornata della Memoria e dell’Impegno per ricordare le vittime innocenti di tutte le mafie. Una scelta condivisibile quella di celebrare lì questa giornata, nel primo municipio della Capitale sciolto per mafia, che oggi vede le migliori realtà civiche e associative di quel territorio in prima linea per la promozione della legalità e della giustizia sociale.

Proprio da Ostia, passando lungo tutto il Litorale laziale duramente colpito dalle infiltrazioni mafiose, il nostro impegno da amministratori e da cittadini è stato quello di muoverci seguendo idealmente il solco tracciato da Libera e da Don Ciotti, impegnati anche nel Lazio nella lotta contro le mafie in maniera concreta e tangibile.

Una ricorrenza, quella del 21 marzo, che per la Regione Lazio assume un doppio significato, perché per la prima volta coincide con la Giornata regionale contro tutte le mafie, istituita dal Consiglio nel luglio scorso.

Domani sarà quindi la giornata del ricordo ma anche un monito per non abbassare la guardia e l’occasione per ribadire che non possono più esistere terre di mezzo.

20 Mar, 2017

Nettuno, ferma condanna per aggressione a ragazzo bengalese

Esprimo vicinanza al ragazzo di nazionalità bengalese aggredito sabato scorso sulla linea ferroviaria Roma-Nettuno. A seguito del pestaggio, avvenuto da parte di un gruppo di ragazzi che si trovavano a bordo del convoglio, il giovane ha riportato gravi lesioni e fratture al volto e si trova ricoverato in ospedale.  L’ipotesi attualmente al vaglio degli inquirenti, che si sia trattata di un’aggressione a sfondo razzista e non di una rapina, se confermata desta a maggior ragione una forte preoccupazione.  Mi auguro che possa essere fatta piena luce al più presto sul grave episodio e spero per il ragazzo in una pronta guarigione.
E’ quanto afferma la consigliera regionale di Art. 1 – Movimento democratico e progressista, Marta Bonafoni.

20 Mar, 2017

Nelle foreste fra Turchia e Bulgaria: “Qui fermiamo l’invasione dell’Islam”

Francesca Paci, La Stampa

Passo veloce e il più possibile felpato, braccia sulla testa a protezione dai rami, bocche cucite. Per intercettare i migranti che dal confine turco cercano di entrare in Bulgaria si avanza in colonna fin dentro la foresta di Strandzha e poi via, sparpagliati in gruppi di tre. Chi trova dei «presunti profughi», come li chiamano i volontari del BNOShipka, avverte i compagni con il cellulare e chiama la polizia di frontiera.

«Dato che il governo non fa nulla, a parte obbedire alla Merkel e lasciar entrare chiunque dichiari una nazionalità a caso, ci pensiamo noi: da quattro anni presidiamo le montagne per proteggere dai terroristi e dall’invasione pianificata da Erdogan il nostro Paese e l’intera Europa». Vladimir Rusev è il comandante di questi 65 bulgari in mimetica e passamontagna che hanno parcheggiato le auto targate Varna, Burgas, Stara Zagora, Plovdiv e Dalgopolin in una radura vicino Yasna Polyana, a 30 km dal confine, per dare il cambio al turno precedente.

Ex ufficiale dell’esercito in pensione, il pluridecorato Rusev gestisce una società d’intelligence e security specializzata in zone di conflitto e anima il BNOShipka, il movimento nazionalista intitolato alla città simbolo della vittoria bulgaro-russa sugli ottomani di Sulayman Pascià. «Par-ti-gia-ni», scandisce. Guai a definirli miliziani o «cacciatori»: «Non portiamo armi, non arrestiamo nessuno, rispettiamo la legge che autorizza i cittadini a impedire i crimini e considera un crimine varcare illegalmente il confine».

Le lattine di Red Bull e fagioli turchi abbandonate lungo il ruscello nascosto tra gli alberi segnano la strada. Da quando l’accordo tra Ankara e Bruxelles ha sigillato la rotta balcanica e in particolare la Grecia, ai migranti non restano che il mar Mediterraneo o i boschi bulgari per affidarsi ai trafficanti e puntare all’Europa del nord. Rusev, fluente in russo, greco, turco ed ebraico, sostiene di averne respinti migliaia dei 10 mila che si fanno sotto ogni mese, moltissimi passando da Zvezdez.

«I rifiuti servono anche da segnaletica per l’appuntamento con chi li porta in Serbia o per indicare il percorso a chi segue» spiega Attila, 35 anni, bagnino.

L’identikit del volontario di BNOShipka è sintomatico del malessere che si porta dentro un paese passato per 5 secoli di dominazione ottomana, 45 anni di dittatura sovietica e, nel 2007, il sogno di un salvifico destino europeo naufragato sulla transizione dal socialismo reale pagata a dosi massicce di disoccupazione, la fuga dei cervelli, la corruzione endemica. C’è il muratore 30enne Ilia convinto che dietro i profughi ci sia una strategia destabilizzante «guidata da americani e da ebrei».

Kamal, musulmano, che vuole tenere l’Isis lontano da casa impacchettando la frontiera come un’opera del connazionale Christo. Todor, 35enne, impiegato delle ferrovie e nemico dell’«Islam colonizzatore» quanto simpatizzante di Putin. Tikhamir, fioraio, deluso da Bruxelles che «non ha trasformato la Bulgaria nella Svezia e ora la vorrebbe come Raqqa». E poi ancora l’avvocato europeista Lachezar felice di aver archiviato il giogo sovietico e deciso a non finire in quello coranico, Siliane che a 67 anni marcia e raccoglie erbe per curare eventuali ferite, la disoccupata Asia arruolatasi perché «i bulgari guadagnano 150 euro e gli immigrati molto di piu». Dai 20 ai 30 anni c’e di tutto: 800 persone a rotazione giorno e notte che non ricevono un soldo e si pagano la benzina.

S’intravede lo spettro dell’Islam dietro le quinte di questa caccia nella foreste, lo stesso riconoscibile nei mal di pancia politici del Paese che a novembre ha eletto il nuovo presidente filo-russo Rumen Radev e il 26 marzo voterà per il rimpiazzo del parlamento dopo le dimissioni del premier europeista Borisov. E poco importa che la etnicamente omogenea Bulgaria da 7 milioni di abitanti ospiti oggi ufficialmente tra i 7 e i 15 mila migranti in 6 campi aperti e 2 centri chiusi e che, per questo, abbia appena ricevuto dall’Ue 150 milioni di euro. La notizia più diffusa sui social è quella degli incidenti di novembre nella struttura di Harmanli, dove risiedono 3 mila richiedenti asilo.
«Il BNOShikpa ha più consensi fuori che dentro al Paese e si muove ai margini della legislazione bulgara» ci dice il direttore dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni di Sofia Radoslav Stamenko. Capita che i suoi uomini, come quelli di Amnesty International o del Bulgarian Helsinki Commitee, incrocino metaforicamente le spade con i volontari del comandante Rusev: gli attivisti pro-migranti chiamano la guardia di frontiera e gli altri, anziché essere aiutati dalle forze dell’ordine come vorrebbero, devono mostrare i documenti per provare di essere regolari.

«Dobbiamo contrastare le cosiddette organizzazioni umanitarie che addestrano i migranti a entrare illegalmente in Europa, ma più ci demonizzano e più cresciamo tra la gente, contiamo già 20 mila membri e 40 mila sostenitori» racconta l’agricoltore Ivan al termine della seduta di flessioni ed esercizi di autodifesa in cui si mira alle gambe e non alla testa. In realtà non ce n’é mai stato bisogno, e neppure del coltello che tutti portano alla cintura:

«Quando i migranti vedono la mimetica si bloccano, hanno paura, al massimo provano a scappare. Noi comunque, sapendo che in Turchia si comprano perfino le famiglie, ci prendiamo cura delle rarissime donne e dei bambini, sapendoli vittime, e consegniamo gli uomini alla polizia. Quasi nessuno è un vero rifugiato. E poi, dovremmo aver compassione di chi “compra” i ragazzini per sconfinare? Abbiamo almeno 4 mila minori non accompagnati negli orfanotrofi bulgari».

Piove. Il terreno è scivoloso. È ora di spostarsi a ridosso del confine, a Brodilovo, dove, con regolare permesso, i volontari aiutano la costruzione della barriera, appena 67 km dei 230 che si snodano lungo il confine turco e degli altri 570 lungo quello greco. I tre varchi ufficiali sono deserti. Non lontano, oltre lo sguardo, qualcuno terrorizzato aspetta probabilmente la notte nascosto tra alberi e cespugli.

19 Mar, 2017

#iostocongabriele

Sabato 22 aprile 2017, ore 11
Piazza del Quirinale

In queste ore, il nostro Ministero degli Esteri sta chiedendo alla Turchia che Gabriele Del Grande, fermato nella regione di Hatay il 9 aprile, ed ancora oggi detenuto in isolamento in un centro di identificazione ed espulsione nella cittadina di Mugla, sia rimesso in libertà, “nel pieno rispetto della legge”.

Anche noi di Baobab Experience ci uniamo alla mobilitazione per la liberazione di Gabriele, contrari come siamo a qualunque forma di limitazione della libertà di movimento di ogni persona e di ogni forma di repressione e censura su chi produce pensiero e informazione.

Allo stesso tempo, osserviamo ancora una volta come le dichiarazioni e le iniziative delle nostre autorità di governo e diplomatiche appaiano grottesche nella loro dissonanza con l’accondiscendenza con cui, appena un anno fa, con lo stesso governo turco verso il quale oggi richiediamo il rispetto della legge e dei diritti, abbiamo stipulato un accordo europeo sulle migrazioni che, per usare le parole di OXFAM in un suo recente rapporto, “non è possibile applicare senza violare gli standard internazionali in materia di diritti dei richiedenti asilo”, e che “mette a rischio i più elementari diritti umani”.

La nostra indignazione per la privazione della libertà di Gabriele è pari a quella con cui assistiamo alle meschine giravolte di chi non prova alcun imbarazzo a stipulare qualunque tipo di accordo con qualunque tipo di “governo” – capi tribali libici inclusi – a cui delegare lo sporco lavoro di bloccare le migrazioni con qualunque mezzo, e che senza nessuna vergogna alza la voce ogni qual volta la tutela del diritto sia difesa a voce alta solo in base al colore del passaporto di chi ne sia il titolare.

#iostocongabriele

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