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Misure per il rispetto dei diritti e la tutela della dignità umana all’interno del Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria

Premesso che

– che i Centri di identificazione ed espulsione (CIE), istituiti dalla legge 6 marzo 1998, n. 40, e previsti dal Testo Unico sull’immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), all’epoca con il nome di Cpt, sono strutture di trattenimento degli stranieri in condizione di irregolarità, destinati all’espulsione;

– che l’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, così come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, c.d. legge “Bossi-Fini”, prevede che “quando non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento”, “il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso” il CIE e che quindi tali strutture siano destinate al trattenimento, convalidato dal Giudice di Pace, dei cittadini stranieri extracomunitari irregolari e destinati all’espulsione,

– che la Direttiva Europea 115/2008 definisce le modalità di trattenimento dei migranti irregolarmente presenti negli Stati membri, considerando la privazione della libertà personale soltanto come estrema ratio nella serie di misure che possono portare ai rimpatri;

– che dall’8 agosto 2009, con l’entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94 (c.d. Pacchetto Sicurezza), il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri è passato da 60 giorni a 180 giorni complessivi, rafforzando così la loro natura di luoghi di permanenza obbligatoria, caratterizzandosi come luoghi di detenzione amministrativa delle migranti e dei migranti;

– che secondo i dati forniti dalla Polizia di Stato, nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i CIE operativi in Italia. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) del 50,54 per cento. Rispetto al 2010, il rapporto tra i migranti rimpatriati rispetto al totale dei trattenuti nei CIE è incrementato di appena il 2,3%, mentre rispetto al 2011, l’incremento del tasso di efficacia nei rimpatri è risultato peri allo 0,3%;

– che la L.R. 14 Luglio 2008, n. 10 del Lazio, “Disposizioni per la promozione e la tutela dell’esercizio dei diritti civili e sociali e la piena uguaglianza dei cittadini stranieri immigrati”, interviene con estrema puntualità nel definire politiche regionali atte ad intervenire nelle condizioni di vita, di salute e di rispetto dignità negli allora CPT.

Considerato

– che il citato articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, al comma 2, dispone che in tali centri lo straniero è trattenuto “con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità”;

– che l’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 specifica che le modalità del trattamento nei CIE “devono garantire, nel rispetto del regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all’interno del centro e con visitatore proveniente dall’esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona” e che in tali centri devono essere presenti “i servizi sanitari essenziali, gli interventi di socializzazione e la libertà di culto” e i “servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale”;

– che all’interno dei CIE si sono verificati gravi violazioni dei diritti umani, come denunciato sia da inchieste ed articoli di stampa, sia dalle associazioni di volontariato e dalle associazioni per la tutela dei diritti umani tra le quali Amnesty International e Medici senza Frontiere, e fin dall’indagine interministeriale presentata dall’Ambasciatore Staffan de Mistura nel 2007;

– che in particolare, come risulta dall’indagine “Arcipelago CIE” realizzata tra febbraio 2012 e febbraio 2013 da Medici per i diritti umani (MEDU) e pubblicata a maggio 2013, la struttura dei CIE è simile a quella dei centri di internamento: «L’inattività forzosa per prolungati periodi di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all’incertezza sulla durata e l’esito del trattenimento, rendono il disagio psichico dei migranti uno degli aspetti più preoccupanti e di più difficile gestione all’interno dei centri»;

– che in particolare, ha destato preoccupazione la presenza nei CIE di un elevato numero di ex detenuti, che dopo aver scontato pene anche di diversi anni, vengono trattenuti per ulteriori lunghi periodi di tempo all’interno dei CIE, nonostante una direttiva interministeriale del 30 luglio 2007, degli allora Ministri Amato e Mastella, stabilisse che, in linea con le indicazioni dell’allora “Rapporto de Mistura”, l’identificazione per i detenuti dovesse avvenire in carcere, e non più negli allora CPT, da considerarsi come luoghi destinati più utilmente al riconoscimento di altri soggetti. Riconoscimento che, comunque, si presenta problematico e che causa un considerevole impiego di forze dell’ordine, sia per gli impegnativi compiti di sorveglianza che per quelli di accompagnamento presso i tribunali competenti;

– che tutte le criticità rilevate nel corso delle visite da parte di delegazioni di parlamentari, sono fortemente aggravate dall’allungamento del termine massimo di permanenza all’interno dei CIE che, senza riuscire a facilitare il problema dell’identificazione e dei rimpatri, ha finito per creare una sorta di limbo giuridico, caratterizzato dalla negazione di diritti – anche fondamentali – nel quale i trattenuti possono permanere fino a 18 mesi e al quale occorre urgentemente porre rimedio.

Rilevato

– che le soluzioni prospettate nel progetto di revisione del “sistema Cie”, presentato dalla Commissione de Mistura nel 2007,  muovono dal presupposto della necessità dei CIE e prevedono numerose novità sia dal punto di vista amministrativo che del funzionamento vero e proprio;

– che in tal senso, nel c.d. Rapporto Ruperto, redatto nell’anno 2013 su incarico del ministro Cancellieri, al fine di analizzare la situazione in cui versano i Centri di Identificazione ed Espulsione italiani, si coglie una sorta di ulteriore discostamento delle prassi e delle normative sul trattenimento amministrativo in Italia, rispetto alla Direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio, nota come “direttiva rimpatri”;

– che numerosi passi del rapporto offrono soluzioni alla questione dei migranti non condivisibili;

– che, ad esempio, nel Rapporto si prevede che molti migranti senza documenti potranno essere rimpatriati con maggiore velocità utilizzando non i CIE, ma i CPSA (Centri di primo soccorso e accoglienza), che, con procedimenti spesso informali, comportano il rischio del ricorso alle espulsioni cc.dd. collettive –  la cui pratica è da ritenersi illegittima secondo l’articolo 4 del Protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo – in violazione gli stessi accordi di Schengen;

– che un altro aspetto su cui il Rapporto si sofferma è la necessità di prevenire e contenere gli atti di ribellione, isolando in appositi spazi i rivoltosi e addirittura i “potenziali” rivoltosi, prevedendo celle speciali in carceri speciali;

– che a riguardo, la sentenza n. 1410 del 12 dicembre 2012 del Tribunale di Crotone, ha stabilito che i protagonisti della rivolta nel CIE di Crotone non sono colpevoli di danneggiamento e offesa a pubblico ufficiale in quanto agirono per “legittima difesa” e la reazione degli stranieri alle “offese ingiuste” è da considerarsi proporzionata. Il giudice ha infatti scritto che, nel caso dei CIE, si tratta di “strutture – nel loro complesso – al limite della decenza, intendendo tale ultimo termine nella sua precisa etimologia, ossia di conveniente alla loro destinazione: che è quella di accogliere essere umani. E, si badi, esseri umani in quanto tali, e non in quanto stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale; per cui lo standard qualitativo delle condizioni di alloggio non deve essere rapportato al cittadino straniero irregolare medio (magari abituato a condizioni abitative precarie), ma al cittadino medio, senza distinzione di condizione o di nazionalità o di razza”.

Rilevato inoltre

– che il caso di Alma Shalabayeva ha mostrato come, secondo quanto dichiarato dal Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato Luigi Manconi, in un articolo pubblicato su l’Unità del 17 luglio 2013, “la politica dei respingimenti venga praticata con brutale efficienza nei confronti di migliaia di anonimi immigrati e richiedenti asilo” e come, dunque, tale caso istituzionale “potrebbe rappresentare l’occasione per ripensare a fondo la materia e per interrogarsi, in particolare, sulla legittimità di queste forme di rimpatrio: quante espulsioni espongono lo straniero al rischio di trattamenti illegali e crudeli?”;

– che dal 21 dicembre scorso, le forme di protesta che da sempre caratterizzano la vita nel CIE di Ponte Galeria, hanno assunto una forma più cruenta e di rilevanza nazionale, portando alcuni trattenuti a cucirsi le labbra per tentare di rompere il silenzio che caratterizza le loro condizioni e le assurde ragioni del loro trattenimento.

Tanto premesso e rilevato, consapevoli che tale questione è materia dell’esecutivo e del Parlamento, ma tenendo conto del ruolo significativo che nelle relazioni istituzionali riveste la Conferenza Stato – Regioni, e del potere di indirizzo che le Regioni hanno in seno a detta Conferenza, il Consiglio regionale

Impegna il Presidente della Regione Lazio e la Giunta:

– ad intervenire per un opera di monitoraggio e trasparenza continuo e assiduo presso il CIE di Ponte Galeria, affinché vengano garantite per i cittadini migranti trattenuti, condizioni di dignità, di rispetto del diritto alla difesa, di condizioni di salute decenti e di impiego di risorse atte ad evitare ulteriori motivi di sofferenza ai cittadini migranti;

– ad operare, in collaborazione con le autorità competenti, affinché ogni accadimento che si verifica nel CIE possa essere subitamente reso noto, verificato, anche con l’ausilio di soggetti terzi, a puro carattere volontario, che operano in difesa dei diritti dei migranti;

– a svolgere un approfondito mandato ispettivo per verificare le ragioni delle recenti e continue situazioni di tensione che mettono a rischio l’incolumità dei soggetti interessati;

– ad esprimere formalmente al governo nella sua interezza, al Ministro dell’Interno, ai ministri competenti, il proprio giudizio fortemente critico nei confronti della struttura ospitata all’interno del territorio regionale, evidenziandone i costi esosi, l’inutilità strutturale nell’economia dei processi migratori, l’irriformabilità connessa tanto alle norme legislative che ne determinano l’esistenza quanto alla inadeguatezza dello stesso edificio che lo ospita, fino a chiederne la chiusura;

– ad esprimere al Governo la necessità di una radicale modifica delle norme che concernono l’immigrazione.

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