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23 Set, 2013

Centri antiviolenza, rischio chiusura

Arriva in parlamento il DL sul femminicidio, dove nemmeno si parla dei luoghi in cui, ogni anno, oltre 14mila donne trovano assistenza psicologica e rifugio se sono vittime di soprusi in famiglia. Eppure molte di queste realtà sono allo stremo per mancanza di fondi. E ad alcune non resta che chiudere i battenti.

Finanziamenti a singhiozzo. Affitti salati da pagare. Rischio di sfratti. Pochissime risorse da investire. Il lavoro che si trasforma automaticamente in volontariato. Fino, in alcuni casi, alla chiusura di centri e case rifugio per donne maltrattate che dovrebbero svolgere un ruolo centrale e determinante nel contrasto alla “guerra silenziosa” che ogni anno fa in Italia centinaia di vittime.

La situazione dei centri anti violenza (CAV) in Italia peggiora di giorno in giorno, nell’indifferenza del Palazzo. Tagli e difficoltà ad accedere periodicamente alle programmazioni regionali, una mannaia. Il decreto sul femminicidio, varato durante l’ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva, non menziona nemmeno i CAV. Per Titti Carrano, presidente della D.i.Re (Donne in rete contro la violenza), nel dl manca “qualunque riferimento al riconoscimento del ruolo che i centri svolgono da anni in Italia: chiediamo il loro coinvolgimento nei tavoli tecnici che si occupano di violenza e lo stanziamento di specifici e adeguati fondi definiti nella legge di stabilità”.

Un provvedimento (andrà in aula il 23 settembre) che esclude – come previsto dalla Convenzione di Istanbul – gli interventi di prevenzione. Come quelli svolti dai CAV: supporto legale e psicologico alla donna maltrattata, collaborazione con forze dell’ordine e servizi sociali, Telefono Rosa h24 per le emergenze, attività di promozione culturale con corsi nelle scuole, convegni, seminari e iniziative di vario genere. Poi le case rifugio per ospitare le donne in pericolo e impossibilitate a tornare a casa per paura del compagno aguzzino.

Sono 124 le donne uccise nel 2012 e 14mila quelle che si rivolgono, ogni anno, ai 63 centri anti violenza aderenti a D.i.Re. A questi vanno aggiunti un’altra quarantina autocensiti per un totale di 100 centri presenti sul territorio nazionale. E nel 2013 sono in aumento le donne che si rivolgono ai CAV, sintomo di una maggiore consapevolezza.

“E’ arrivata un’ingiunzione di pagamento, siamo a rischio sfratto” denuncia Cinzia Maroccoli, presidente del CAV di Potenza, l’unico dell’intera Basilicata. Si caratterizza per costituirsi parte civile ai processi contro gli uomini maltrattanti. Aperto dal 1989, fino al 2001 è andato avanti con autofinanziamenti. “I soldi arrivano a singhiozzo – spiega – Siamo ancora in avanzo della cifra del 2011 mentre non conosciamo ancora l’importo per il 2013”. In mancanza di risorse, ecco la riduzione dei servizi, il lavoro delle operatrici che diventa volontariato e la morosità nella locazione di 1200 euro al mese. Il CAV ha anticipato soldi e si è indebitato con la banca, con la speranza che arrivino i finanziamenti regionali. Prima o poi. Assenti le risorse per ampliare la casa rifugio al momento capace di ospitare 5 donne. “A volte dobbiamo rifiutare le richieste per mancanza di posti e indirizzare le donne maltrattate verso altre strutture di accoglienza” spiega la presidente “La nostra è precarietà esistenziale, non riusciamo a prospettare un intervento di lungo periodo. Ci negano un futuro”. E due signore ospitate sono all’ottavo mese e sul punto di partorire.

Altri centri rifugio sono stati costretti direttamente a chiudere. Come il caso a Cosenza del “Roberta Lanzino”. Parliamo con la responsabile, Antonella Veltri, che racconta come nel 2010 abbiano preso la sofferta decisione per la mancanza di fondi. Ad oggi sono morosi con il proprietario dello stabile. Rischiavano di chiudere anche il centro di supporto legale e psicologico, per fortuna è arrivata una boccata d’ossigeno: “La Provincia ci ha assegnato un posto”. Un passo importante.
“Ovviamente il lavoro” afferma Veltri “resterà volontario e una qualsiasi spesa sarà coperta da autofinanziamenti o iniziative autorganizzate (riffe o vendita di candele per strada)”. I pochi spiccioli in arrivo dalla Regione non sono sufficienti.

Se al Sud si evidenziano situazioni limite, al Nord i CAV versano in condizioni poco migliori. A parte il Trentino che è la regione più virtuosa e più attenta al finanziamento dei centri. Secondo un calcolo dell’Unione europea, ogni Paese dovrebbe prevedere un posto sicuro per vittime di violenza di genere ogni 10mila abitanti. In Italia ne servirebbero circa 6mila. Nella realtà sono soltanto 500. A fine anno potrebbero essere ancora meno le case rifugio. Così come le operatrici spesso disincentivate da tale corsa ad ostacoli.

In Emilia Romagna il CAV di Lugo adesso è riuscito ad accedere a finanziamenti comunali ma ha rischiato la chiusura. “Il nostro è volontariato puro” racconta Nadia Somma, presidente dell’associazione Demetra donne in aiuto “Abbiamo ridotto a 6 ore alla settimana il nostro intervento: tra affitto, rimborso benzina, elaborazione progetti, spese varie non avevamo più soldi”. E invece servirebbero risorse anche per corsi di formazione a procure e forze dell’ordine: “Spesso” continua Somma “un agente confonde le violenze domestiche per conflitti familiari non intervenendo a dovere sul compagno maltrattante”. Mentre nel caso di affidi in comune, si costringe la donna a continuare ad incontrare l’uomo che dopo il distacco diviene maggiormente violento.

La rete D.i.Re promette battaglia per modificare il decreto in Parlamento. Così come alcuni parlamentari sensibili al tema. Celeste Costantino, deputata di Sel, ha intrapreso un viaggio nazionale nei centri, chiamato #RestiamoVive, per testimoniare le difficoltà in cui versano queste strutture,  raccogliere dati e numeri, ascoltare dalla viva voce delle operatrici le difficoltà del lavoro quotidiano:  “Dal Nord al Sud del Paese i CAV si ritrovano a lavorare in una situazione davvero insostenibile. Al più presto serve un piano di finanziamento nazionale per la prevenzione, percorsi di aiuto per gli uomini maltrattanti, un Osservatorio nazionale, l’introduzione dell’educazione sentimentale nelle scuole, proposta di legge, quest’ultima, che ho già depositato. Il dl femminicidio è stato scritto senza tenere conto della complessità del tema e con un’ottica da ‘pacchetto sicurezza’. Un’occasione persa dopo aver votato all’unanimità la Convenzione di Istanbul”.

Giacomo Russo Spena, L’Espresso

21 Set, 2013

Poveri figli

Un pasto caldo, un posto tra i banchi di scuola, cure mediche, dei giochi, il senso di sicurezza. Il minimo indispensabile per un bambino. Eppure l’Italia, considerata ancora un Paese ricco, non sa più dare benessere ai suoi cittadini, ancor meno ai suoi bambini: 1 milione e 800mila minori vivono sotto la soglia di povertà e più di 700mila in condizioni di miseria assoluta.
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19 Set, 2013

Il femminicidio delle larghissime intese

La storia è lunga, il dibattito tra le femministe complesso e accidentato, fin da quando nel senso comune cominciò a farsi strada l’idea che la violenza contro le donne non era una questione di offesa al pudore o alla morale,in cui si sono per decenni esercitati giudici e penalisti su quanto la “provocazione” femminile desse o non desse adito al desiderio irrefrenabile dell’uomo cacciatore e su come le mogli non dovessero rifiutarsi al debito coniugale.
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18 Set, 2013

Rom e sinti: 2 proposte di legge in favore della minoranza

In Italia vivono circa 170 mila rom e sinti, che rappresentano la terza minoranza più cospicua sul territorio nazionale, dopo sardi e friulani. Nonostante la consistenza numerica e i richiami alla tutela da parte delle istituzioni europee, il nostro Paese risulta ancora privo di strumenti giuridici per la salvaguardia culturale e linguistica di tale minoranza che continua ad essere uno dei gruppi più sistematicamente discriminati ed esclusi.

In un convegno dal titolo “Rom, Sinti e Caminanti: una proposta di legge per il riconoscimento, la tutela e la promozione sociale della minoranza”, l’Associazione 21 luglio e la Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato hanno avviato questo pomeriggio in Senato una riflessione sulle possibili strade da percorrere per la salvaguardia dei diritti delle comunità rom e sinte nel nostro Paese.

Al convegno, presieduto dal presidente della Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani Luigi Manconi, ha partecipato anche il Ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge, al cui dicastero appartengono le competenze in materia di politiche rivolte a rom e sinti in Italia.

I lavori del convegno sono stati l’occasione per la presentazione di due disegni di legge da parte del senatore Francesco Palermo, eletto alla scorse elezioni politiche nel collegio uninominale di Bolzano. Il primo disegno di legge prevede la ratifica e l’esecuzione della “Carta europea delle lingue regionali o minoritarie”, firmata a Strasburgo il 5 novembre 1992, proponendo in questo modo di includere anche la minoranza rom e sinta tra quelle da tutelare dal punto di vista linguistico e culturale; il secondo disegno di legge si intitola invece “Norme per la tutela e le pari opportunità della minoranza dei rom e dei sinti”.

Le comunità rom e sinte in Italia, in quanto “sprovviste di territorio”, non sono state fino ad oggi riconosciute a livello normativo come minoranze culturali e linguistiche e, pertanto, non sono state incluse tra quelle tutelate dalla Legge del 15 dicembre 1999 n. 482 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”. Tale legge riconosce dodici minoranze la cui lingua e cultura è tutelata: dai 1.300.000 sardi fino ai 2.100 croati che vivono in tre comuni del Molise.

Già in passato il Comitato dei Ministri dell’Educazione dell’Unione Europea, con la risoluzione 153/89 del 22 maggio 1989, nel dare indicazioni per una corretta scolarizzazione dei bambini rom, sosteneva che si dovesse tenere conto del fatto che «la loro cultura e la loro lingua fanno parte da più di mezzo millennio del patrimonio culturale e linguistico europeo». Affermazione ribadita anche dal Parlamento europeo nel 1994 con la “Risoluzione sulla situazione dei rom nella comunità” (A3-0124/94), in cui si riconosce «che il popolo Rom è una delle minoranze più importanti dell’Unione Europea», per cui vanno tutelate «la lingua e gli altri aspetti della cultura rom come parte integrante del patrimonio culturale europeo»; e quindi si «raccomanda ai governi degli Stati membri di completare la Convenzione europea dei diritti umani con protocollo aggiuntivo sulle minoranze, nel quale la definizione di minoranza possa comprendere i rom in forma esplicita, attraverso un riferimento alle minoranze che non abbiano un territorio proprio».

Secondo l’Associazione 21 luglio il marchio del “non cittadino” continua a restare impresso sull’esistenza di ogni rom e sinto nel nostro Paese, un marchio legato ad un antiziganismo che rivive sotto le forme di norme escludenti e selettive, come la cosiddetta politica dei “campi nomadi”.

La ratifica e l’esecuzione della “Carta europea delle lingue regionali o minoritarie”, includendo la minoranza rom e sinta tra quelle da tutelare dal punto di vista linguistico e culturale, potrebbe costituire un primo passo significativo ai fini dell’inclusione sociale delle comunità rom e sinte in Italia. Esso si configurerebbe infatti come un intervento complessivo rivolto ad una minoranza portatrice di una storia e di una cultura che è parte integrante della cultura italiana ed europea e non semplicemente un intervento rivolto ad un gruppo socialmente emarginato.

«La Strategia Nazionale di Inclusione dei rom, sinti e caminanti adottata dall’Italia nel 2012 – ha affermato Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio – impegna il governo italiano per il biennio 2012-2013 alla definizione di un disegno di legge governativo per il riconoscimento dei rom come minoranza nazionale. Tale riconoscimento, già garantito per le altre minoranze linguistiche presenti nel nostro Paese, è urgente perché potrebbe costituire un presupposto essenziale per restituire dignità a chi, come rom e sinti, vive da tantissimi anni in Italia».

Quanto al secondo disegno di legge presentato dal senatore Palermo, quello relativo alle “Norme per la tutela e le pari opportunità della minoranza dei rom e dei sinti”, esso merita, secondo l’Associazione 21 luglio, un approfondimento e un ampio dibattito che devono necessariamente coinvolgere in primis le stesse comunità rom e sinte.

Associazione 21 luglio
17 settembre 2013

18 Set, 2013

Il fascino della melma

Il fascino della melma. Difficile descrivere altrimenti la politica italiana, se ancor oggi i costumi sono quelli di trent’anni fa: incapacità di ripulire le proprie stanze prima che intervenga la mano del guardiano della legge (magistrato, polizia), e con perentorietà cogente spazzi i pavimenti, chiuda le porte da chiudere.
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16 Set, 2013

I giovani non escono dalla crisi. Un milione di disoccupati in più

Una generazione duramente colpita dalla crisi. Tanto da lasciare sul campo, in soli tre anni, un milione tondo di disoccupati in più. E con poche speranze per il futuro. La generazione in questione è quella degli under 35, la prova delle loro difficoltà sul lavoro è offerta dalle tabelle dell’Istat riferite al secondo trimestre del 2013.
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