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05 Mag, 2016

Zagrebelsky: “La ‘riforma’ è un abito nuovo per coprire vecchie vergogne”

Silvia Truzzi, Il Fatto Quotidiano

“Oggi si fa politica per ottenere l’immunità. Massoneria affaristica, lobby e finanza: il malaffare crea un ordinamento che convive con quello legale. Ma è illusorio credere invece che si possa sconfiggere tutto questo solo con il processo penale, per batterlo serve invece più democrazia. A differenza di Napolitano, penso che nuovo Senato e Italicum siano un progetto per separare la politica dai cittadini e darla a chi sta in alto”.

04 Nov, 2015

Se la politica non ricomincia dalle sofferenze degli ultimi

Da quando è iniziato il caso Marino ricevo telefonate e messaggi, da compagni e amici, il cui contenuto è pressappoco questo: “Facciamo qualcosa, non possiamo assistere alla morte della democrazia”. Ma questo sentimento autentico di malcontento, o di disagio, o di frustrazione, non arriva oltre una sana quanto legittima indignazione “trasformando la spontaneità in organizzazione, la folla in massa cosciente, il dissenso in proposta politica alternativa”, come ha ben scritto Angelo D’orsi (il manifesto, 1 novembre).
Enzo Scandurra, Il Manifesto

23 Ott, 2015

Quando si sveglia il cuore della mia città

Ormai lo faccio da qualche anno. Tutte le mattine di buon’ora corro per le strade del mio quartiere: la rassegna stampa in cuffia, gli occhi e le gambe ben piantati sulla mia città. Sono momenti a cui non riesco più a rinunciare, li ho resi uno dei pilastri del mio impegno di amministratrice locale. Mi pare di vederla meglio Roma all’alba, di capirla di più. Corro nelle ore in cui la notte lascia il passo al giorno. Quando il caos e il puzzo del traffico ancora tacciono, e riesco a sentire il profumo del caffè che arriva da dietro alla tapparella appena aperta al primo piano, o la musica che suona da una radio nascosta dietro a quel davanzale in cui tutte le mattine sono stese a rigenerarsi le lenzuola e i cuscini della notte.

All’alba si vede la città che riparte, con la sua forza, le sue fatiche, le sue contraddizioni. Protagonisti fissi della scena sono naturalmente i cani con i loro padroni, accanto alle signore anziane che scendono di casa accompagnate dalle badanti straniere, e si fermano sui muretti dell’isola pedonale a leggere i giornali insieme. Così in quella piazza tutti i giorni vedo avanzare silenziosa e quasi inconsapevole quella convivenza tra diversi che invece sembra così impossibile da raggiungere tra le urla televisive. Qua e là spuntano mezzi addormentati i ragazzini delle medie, concentrati nel loro tragitto casa-scuola che poi è anche la strada che, attraverso i loro passi nella città, li conduce verso l’adolescenza.

Il mattino è anche l’ora dei mestieri. Quelli che si prendono cura di Roma. Stamani, per dire, c’erano due camion con l’escavatrice fermi sotto casa. Si vede che aprono qualche cantiere qui intorno. Sempre, ci sono i camion della nettezza urbana, che oltre a svuotare i cassonetti segnalano l’ultimo frigorifero abbandonato sul marciapiede da qualche civilissimo residente.

Gli spazzini in effetti ultimamente sembrano aumentati. Spazzano, e falciano l’erba che altrimenti in alcune fasi della tormentata amministrazione della città trasforma la mia corsa in una specie di trekking di montagna. Come in un teatro, fa da sfondo al mio andare in giro per il quartiere un muro lungo e grande che recinta una scuola. È un muro magico, che si rinnova più o meno ogni settimana: perché è il muro che i writers della zona hanno eletto a loro tela. Così ogni tanto il passo rallenta per ammirare l’ultima creazione che – quasi scientificamente – è accompagnata dall’incazzatura che mi fa vedere le bottigliette spray buttate nell’aiuola. Lasciate la’. Come se al bello, a Roma, non potesse che accompagnarsi sempre anche il brutto, il cosiddetto degrado.

Ma c’è un fotogramma che io ho eletto a mia scena preferita mentre corro e la città si risveglia. È per me quello il tasto che misura la temperatura del rapporto tra lo Stato, l’amministrazione pubblica, e la vita dei suoi cittadini. Ogni mattina poco prima delle 7.30 incontro in piazza il pullmino di Roma Capitale che accompagna a scuola i ragazzi disabili. Gli corro di fianco, senza intralciare, ma osservo tutti i giorni quella scena che sempre mi commuove e mi dà pensiero.

Lei scende accompagnata dalla mamma, dal papà o da entrambi.

A volte è serena e sorride. Più spesso quando si apre il portone comincia ad urlare, non vuole andare. Se c’è la mamma la porta delicata per un braccio, e per fare quei pochi metri deve sfoderare tutta la sua forza perché lei è già adolescente e piena di energie. Se c’è il papà fa sempre lo stesso gesto: posa a terra la sua ventiquattr’ore di cuoio e la convince a salire, ancora una volta, su quel pullmino. Accolta dal buongiorno degli operatori sociali e dell’autista.

Da anni negli occhi di quei genitori nel momento del saluto io vedo sempre la stessa cosa: l’ansia di separarsi, forse anche il senso di colpa. E il sollievo di poter tirare il fiato almeno per qualche ora, vedendo affidata la propria figlia in buone mani. Che in fondo sono le mani della città, le nostre.

Ecco, io non so cosa succederà nei prossimi giorni e mesi a Roma.

Credo però una cosa: che per ripartire questa città ha bisogno innanzitutto (non solo ma innanzitutto) di ricominciare da qui. Dalla cura.

Che è cura degli spazi, delle persone, delle relazioni.

Da quella stanza in cui tutti i giorni suona la sveglia, la luce del comodino si accende, e la giornata comincia. E come andrà, se sarà una giornata bella, semplice, serena, felice, dipende anche dalle scelte della politica.

22 Ott, 2015

Saskia Sassen e i predatori della vita perduta

 

Ambi­zione e rigore. Saskia Sas­sen ha entrambe le carat­te­ri­sti­che. Il suo rigore emerge nella mole di dati rac­colti, ela­bo­rati e assem­blati per dare rile­vanza empi­rica alle ambi­ziose tesi che pro­pone. Lo ha sem­pre fatto, in tutte le sue ricer­che che hanno scan­dito una vita acca­de­mica all’insegna di un noma­di­smo intel­let­tuale che l’ha por­tata a sog­gior­nare in molti paesi – Argen­tina, Ita­lia, Regno Unito, Stati Uniti – per com­pren­dere una ten­denza ormai dive­nuta realtà, la glo­ba­liz­za­zione. Dal suo noma­di­smo intel­let­tuale è infatti nato Glo­bal Cities (Utet), il libro che l’ha fatta cono­scere al pub­blico (e che è stato più volte aggior­nato), ma anche le altre opere sui con­flitti den­tro e con­tro la glo­ba­liz­za­zione (Glo­ba­liz­zati e scon­tenti, Il Sag­gia­tore), le migra­zioni (Migranti, coloni, rifu­giati, Fel­tri­nelli).
Benedetto Vecchi, Il Manifesto

 

21 Ott, 2015

Quel saluto dal balcone

La folla dei vicini l’ha assolto subito e il corteo che a sera canta l’inno d’Italia lo festeggia.
Passa da Vaprio d’Adda l’incarnazione della politica della paura, con il signor Francesco Sicignano che ha ammazzato un ladro e quando arriva la sera saluta dal balcone più alto, e non nasconde un sorriso. Forse è automatico sorridere, se questa è considerata una guerra, come non pochi gridano, se si è scampato il pericolo, e se il morto è niente più di un nemico. Ma un nemico disarmato.
Piero Colaprico, La Repubblica

21 Ott, 2015

L’insostenibile stanchezza della democrazia

Tra le tante insidie linguistiche che fanno presa nel nostro tempo c’è la “governabilità”, una parola venuta dal tempo dei discorsi
sulla “grande riforma” costituzionale che hanno preso campo alla fine degli anni Settanta e, da allora, ci accompagnano tutti i giorni. Cerchiamo di rimettere le cose a posto, a cominciare dal vocabolario.
Gustavo Zagrebelsky, La Repubblica