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24 Set, 2013

Donne migranti e IVG

Diminuiscono gli aborti in Italia, ma le donne immigrate sono in controtendenza.

I Paesi che in Europa hanno il più basso tasso di abortività sono Svizzera, Germania, Olanda, Belgio e Italia. Ma anche se in Italia dal 1983 a oggi è il numero delle Ivg è diminuito del 50% risultano ancora alti i tassi per le donne straniere. Qual è la causa di questa differenza?

Il quadro statistico  di riferimento
Dalle relazioni che ogni anno fornisce il Ministero della Salute sull’applicazione della legge 194 risulta dal 1983 al 2011 siamo passati da un tasso di abortività su mille gravidanze dal 27,5 al 16,3, portando a una diminuzione effettiva del 40 per cento. Quando si parla di donne migranti il discorso si complica. A livello di numeri assoluti dal 1995 ad oggi il numero delle Ivg è sicuramente cresciuto: prima, su cento interruzioni di gravidanza, 6.6 erano riconducibili a straniere. Oggi sono 34. Ma se andiamo a guardare i dati Istat, risulta che il tasso di abortività delle donne provenienti dai paesi a forte pressione migratoria dal 2003 al 2009 è sceso con lo stabilizzarsi dell’esperienza migratoria.

Rimane però più elevato, come abbiamo già detto, rispetto a quello delle italiane. Le classi di età divergono: rispetto alle italiane che si attestano maggiormente tra fasce iniziali e finali del ciclo riproduttivo, le migranti sono maggiormente presenti nelle fasce centrali (18/34 anni). Le altre differenze sono relative al livello di istruzione (medio alto per le italiane e medio basso per le migranti), e lo stato civile: tra le migranti sono soprattutto le donne sposate a ricorrere alla 194.  Altro dato divergente è rispetto alle Ivg ripetute: tra le straniere l’incidenza è doppia rispetto alle italiane.

Perché le cose vanno così
«Le donne italiane sono maggiormente consapevoli dei mezzi di contraccezioni come la pillola, tipica del nostro sistema», spiega Mara Tognetti, docente di sociologia all’Università Bicocca di Milano e autrice del libro La salute delle immigrate. «In altri paesi si ricorre ad altri tipi di anticoncezionali. Per esempio, la spirale in Sud America, utilizzata anche in età giovanile. C’è pure il ricorso ad iniezioni anticoncezionali che hanno durata di sei mesi. Noi non possiamo “leggere” le Ivg delle italiane come quelle che avvengono tra le donne immigrate». Le motivazioni sono varie: «Le condizioni migratorie», prosegue Tognetti, «non sempre consentono di avere figli: c’è il rischio di perdere il lavoro;  alle volte non hanno una rete di supporto o sostegno, il nostro welfare pensa sempre che ci sia una famiglia dietro una donna».

Altri cause possono essere ricercate nella instabilità abitativa o di coabitazione. Una relazione stabile incide come gli aspetti economici. «Ma ci sono donne che si trovano a fare aborti ripetuti perché mosse dal bisogno, in larga parte inconsapevole, di dimostrare di essere ancora fertili».  Il contesto di provenienza ovviamente ha un peso: «Non bisogna dimenticare che le popolazioni vengono da contesti differenti con politiche demografiche diverse. In Cina la politica del figlio unico ha segnato generazioni di donne per cui l’ivg è considerato un normale mezzo di contraccezione. Questo vale anche per molte donne del Est Europa». E questo è un fattore che può spiegare come mai tra alcune nazionalità ci sia un numero più alto di IVG ripetute.

Caso studio: le romene di Arezzo
Proprio questa situazione cioè le Ivg ripetute tra le straniere ha portato alcune amministrazioni e le aziende sanitarie locali (Asl) ad interessarsi del fenomeno. All’interno di “Vivere insieme: quarto rapporto sull’immigrazione e i processi di inclusione in provincia di Arezzo” curato da Oxfam c’è un capitolo dedicato alla situazione delle  donne rumene. «Questa ricerca» spiega la ricercatrice Giovanna Tizzi «è stata fortemente voluta dalla Asl per vari motivi. Le IVG ripetute sono pericolose per la salute disica e psichica delle donne, ma incidono anche molto sulla psesa sanitaria». Rappresentano inoltre una sorta di fardello frustrante per gli operatori: «Più volte le operatrici sanitarie ci hanno detto che si domandano come sia possibile, dove sbagliano».

Lo studio evidenzia che a ricorrere maggiormente alle interruzioni di gravidanza sono, nell’ordine, provenienti da Perù, Nigeria, Romania, Moldavia, Cina. Hanno in media un’età compres tra i 28 e i 40 anni e spesso hanno fatto  la prima Ivg nel paese d’origine. I motivi che portano a tale scelte sono solitamente riconducibili ad una situazione socioeconomica sfavorevole, problemi con il partner o una maternità già realizzata. Viene riscontrata con frequenza anche una conoscenza  non adeguata dei metodi contraccettivi. Ma per quanto riguarda le rumene emerge una specificità: durante la dittatura di Ceausesco era di fatto vietato usare anticoncezionali e l’Ivg è stata legalizzata nel 1989. Non ci sono state che in epoca recentissima percorsi educativi e preventivi. I prezzi dei contraccettivi sono stati per molto tempo proibitivi. Rimangono ancora i luoghi comuni sulla pillola (fa ingrassare, aumenta la peluria, ecc.) e sugli altri metodi che ne rendono difficoltoso l’uso.

Vittime di Tratta
In altri casi invece i problemi sono strettamente legati al contesto politico culturale di arrivo: è il caso delle vittime di sfruttamento sessuale. Il tipo di vita a cui sono sottoposte fa si che siano particolarmente a rischio di Ivg ripetute, sia per irregolarità dello “stile di vita”, sia per le ripercussioni psicologiche che tale situazione comporta, sia per il costo dei contraccettivi. Nel loro caso gli operatori consigliano sempre il preservativo oltre che ad altri metodi anticoncezionali ma non sempre il cliente è d’accordo o alle volte l’offerta di somme più alte le convince a non prendere precauzioni. «Questa situazione fa sì che tra le persone che seguiamo con la nostra unità di strada, ci siano state donne che sono ricorse alle Ivg ripetute varie volte, anche sette o otto» osserva  Lisa Bertini della Cooperativa Cat di Firenze. «Oltre alle difficoltà derivanti dallo sfruttamento c’è anche il problema legato all’assenza di un permesso di soggiorno.

Quando la legge 194 è stata pensata non c’era ancora un flusso significativo di migranti nel Paese per cui i documenti non erano un problema». Il tesserino Stp (straniero temporaneamente presente) risolve in parte le difficoltà dato che comprende tra le visite mediche essenziali quelle legate alla maternità e all’Ivg. Però… «Succede che certe strutture ospedaliere chiedano anche un documento di identità, per i motivi più disparati, che spesso le vittime di tratta non possiedono», prosegue Bertini. «Questa difficoltà di accesso possono condurre al ricorso ad aborti clandestini, con tutto ciò che ne deriva in termini di rischi per la salute».

Aborti autoindotti
Uno degli incrementi registrati riguarda la pratica dell’aborto autoindotto, spesso attraverso l’assunzione di farmaci ad hoc acquistati attraverso reti illegali.  In molti casi queste situazioni vengono presentate come aborti spontanei. Da notare che, mentre tra le italiane l’indicatore degli aborti spontanei è rimasto invariato nel tempo, per le straniere e quasi quadruplicato passando dal 5% del 1998 al 17% del 2008. Non ci sono fonti certe visto la difficoltà a reperire informazioni in questi ambiti, ma sembra che farmaci che dovrebbero essere venduti solo con ricetta medica, siano recuperabili facilmente senza, tramite internet. Usati in dose massicce producono o facilitano un aborto spontaneo. Basta digitare il nome di uno di questi farmaci, che su google immediatamente spuntano fuori le istruzioni per l’uso abortivo. «Ma non sono i soli modi per procurarsi un aborto»,  dice  Bertini. «Per quanto riguarda le vittime di tratta alle volte ci pensano le mammane con i ferri o peggio gli sfruttatori con le botte che producono degli aborti che di spontaneo non hanno niente».

Consultori
Sono ampliamente utilizzati dai migranti. «E’ un dato più che evidente e storico, da sempre», afferma Tognetti. «E’ un servizio più che noto, in particolare per le donne del est Europa. Di facile accesso, a bassa soglia, è stato disponibile e flessibile nei confronti delle donne migranti. Ma non è sufficiente». Un altro problema è che le donne migranti tendono a rivolgersi ai consultori quando hanno un problema e mai con l’idea di fare prevenzione.  «Non fanno prevenzione, pap test anche dove ci sono dei protocolli strutturati e di facile accesso. D’altra parte c’è una diversa idee culturalmente di maternità, si pensi al mondo arabo e alla medicina cinese. E’ una questione rispetto alla quale dovremmo tutti interrogarci e anche porre questioni precise agli operatori, che spesso non sono preparati a trattare con utenze diverse da quelle autoctone».

Francesca Materozzi, Corriere Immigrazione
23 settembre 2013

01 Lug, 2013

“Io, espulso dall’Itala dopo 30 anni, ma ormai non so più l’arabo”

“Senato’, m’hanno detto che mi riportano nel mio paese. Benissimo, allora fateme uscire da qui. Perché io sto già nel mio paese”. Fuori diluvia, eppure è estate. Ma il cortocircuito di Cherif, l’italiano clandestino, è un ossimoro ancora più efficace. Cherif ha poco più di cinquant’anni. Da trenta vive in Italia.

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24 Giu, 2013

Seconde a chi?

Giovani donne di seconda generazione tra cittadinanza e politica
Giovedì 27 giugno, dalle ore 12.00 alle ore 13.30

Sala “Caduti di Nassirya”,
Senato della Repubblica
Palazzo Madama – Roma    

Melina è una ragazza diciannovenne nata in Italia cui è stata rifiutata la cittadinanza perché è stata in Ecuador (il paese di origine dei suoi genitori) per meno di un anno quando ne aveva quattro. E’ questa una delle ultime delle centinaia di storie, circolate nella rete, di discriminazioni e cittadinanza negata.

A partire dall’ossimoro “lo straniero nato in Italia” – così recita l’art.4 dalla legge in vigore sulla cittadinanza – si può stilare un elenco infinito di paradossi creati dalla legge che (s) regola la vita di un milione di ragazze e ragazzi, figli di genitori stranieri, ma nati e/o cresciuti in Italia, non definibili con la categoria di stranieri né tanto meno di immigrati, ma al contempo non considerati giuridicamente come cittadini italiani.

Ci sono imprenditrici e imprenditori con un percorso scolastico nelle nostre scuole e università che investono nel nostro mercato del lavoro, ma sono senza cittadinanza. Ci sono ragazze e ragazzi nati in Italia da genitori stranieri con permesso di soggiorno regolare che possono ritrovarsi da un momento all’altro in un Cie perché i genitori hanno perso il lavoro. Ma questi stessi giovani sono l’altra Italia, che studia, lavora, crea e arricchisce culturalmente e economicamente il nostro Paese.

Nel marzo di quest’anno un gruppo di giovani di seconda generazione (che ha sostenuto la campagna L’Italia sono anch’io per una proposta di legge di iniziativa popolare per la riforma della cittadinanza: più di 110.000 firme raccolte) lancia una petizione on line, con l’obiettivo di “suonare la sveglia” ai neoeletti. Il risultato? Sedicimila firme in pochi giorni.
Un milione di giovani nati o vissuti in Italia aspetta da anni una nuova legge sulla cittadinanza per avere gli stessi diritti dei cittadini italiani. In particolare, dopo le grandi battaglie del 900 per il diritto al voto, in Italia le giovani donne di origine familiare straniera non possono partecipare alla vita politica perché a loro questo diritto è ancora negato, non avendo la cittadinanza.

E’ proprio questo intreccio di problemi che affronta il progetto Seconde a chi? Giovani donne di seconda generazione tra cittadinanza e politica, che sarà presentato giovedì 27 giugno 2013 ore 12-13.30, sala “Caduti di Nassirya”, Senato della Repubblica, Palazzo Madama, Piazza Madama 11, Roma

Il progetto si inserisce nel progetto europeo “More women in european politics” ed è gestito per l’Italia da Sinistra Ecologia e Libertà, e da una validissime equipe di ricercatrici, composta da donne di seconda generazione e italiane.

Nella conferenza stampa verranno trattate dall’equipe del progetto e dai parlamentari le questioni legislative e politiche in merito alla riforma della cittadinanza e alle discriminazioni in atto, verranno illustrate le azioni del progetto tendenti a valorizzare la ricchezza culturale – testimoniata da più di 40 siti e blog – delle soggettività, delle iniziative e delle lotte per i propri diritti delle giovani donne di origine familiare straniera.

Introducono:
Elettra Deiana, Giorgia Bordoni, Samia Oursana, Rosa Jijion

Partecipano:
i deputati Sergio Boccadutri, Khalid Chaouki, Celeste Costantino, Marco Furfaro, Marisa Nicchi;
le senatrici: Loredana De Petris, Alessia Petraglia
Livia Turco, presidente della Fondazione Nilde Iotti

Abbiamo invitato:
Cécile Kyenge, Ministra per l’integrazione
Josefa Idem, Ministra per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili
Giorgio Sorial, deputato M5S
Mario Marazziti, deputato Scelta civica per l’Italia.

L’invito viene esteso alle associazioni interessate

per informazioni e conferme:
Stefania Vulterini, vulterini@tiscali.it, 347/8419378 ufficio stampa

Isabella Peretti, perettiisabella@hotmail.com, 347/6983202, collaboratrice del progetto

N.B. Agli uomini è richiesto di indossare giacca e cravatta

L’accesso alla sala è consentito fino al raggiungimento della capienza massima
Entro il 26 giugno va compilata la lista dei partecipanti e dei giornalisti per l’accredito: si prega di confermare la propria presenza

22 Giu, 2013

Orientali da noi, occidentali all’est: romene in cerca di patria

L’altra metà del cielo e l’altra metà della lingua: quattro scrittrici romene che usano l’italiano, e vivono nel nostro Paese, provano a descrivere se stesse in altrettanti racconti. Dal punto di vista… e qui comincia il difficile. Perché l’antologia Ritorno a casa, curata da una scrittrice italo-rumena emergente, Irina Turcanu, adotta un’insolita e spiazzante prospettiva che potremmo definire “della terra di mezzo”.
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21 Giu, 2013

Di untori e altri demoni

Martedì 25 giugno, ore 20.30
Teatro Palladium
Roma

Il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), la campagna LasciateCIEntrare e Antigone sono lieti di invitarVi in occasione della giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura allo spettacolo “DI UNTORI E ALTRI DEMONI”

Ingresso libero

Un evento-spettacolo che denuncia la tortura comunque e ovunque, non solo come pratica diffusa in paesi lontani ma anche come fenomeno presente nel qui e ora, nei centri di detenzione europei, nei CIE, nelle nostre carceri. In un mondo, dove ancora oggi, ci sono luoghi in cui la pratica della tortura  continua ad esistere o altri dove comunque non ci sono esplicite leggi che la condannino, riuniamo video, teatro e testimonianze in un unico evento di denuncia sulla tortura e sui trattamenti inumani e degradanti in tutti i luoghi di detenzione.

Introduce l’evento:
Jean Leonard Touadi

Con un monologo di Erri De Luca “La slegatura”

Proiezione del video “Inside carceri”, realizzato da Antigone

Spettacolo teatrale “Di Untori e Altri Demoni”, formazione e regia di Nube Sandoval e Bernardo Rey.

Protagonisti i rifugiati che hanno partecipato ai laboratorio di riabilitazione psico-sociale promossi nell’ambito del progetto Together with Vi.To. –
progetto di Accoglienza e Cura delle Vittime di Tortura del CIR.

Per ulteriori informazioni:
Ufficio stampa CIR
Valeria Carlini* 335 17 58 435 carlini@cir-onlus.org
Yasmine Mttendorff 335 60 29 838 mittendorff@cir-onlus.org
Tel. 06-69200114 int. 216 -230 cirstampa@cir-onlus.org

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20 Giu, 2013

Da Roma a Dublino: nuove idee dal territorio per le politiche di integrazione

Venerdì 21 giugno dalle ore 19, presso il Centro congressi di Eataly Roma, Air Terminal Ostiense, piazzale XII Ottobre 1492, si terrà un’iniziativa di Prime, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato 2013, dal titolo Da Roma a Dublino. Nuove idee dal territorio per le politiche di integrazione.

Info e prenotazioni:
info@prime-italia.org

Centro congressi di Eataly Roma
Air Terminal Ostiense
Piazzale XII Ottobre, 1492

18 Giu, 2013

Ciao ciao signore!

Il lettore M. di Alessandria ha un figlio di due anni e mezzo che, appena incrocia una persona per strada, le getta la voce al collo: «Ciao ciao signore!», «Ciao ciao signora!». Poi si ferma ad aspettare dallo sconosciuto un cenno che lo rassicuri sul fatto di essere considerato con analoga attenzione. Il quartiere dove M. passeggia con suo figlio è frequentato da una fauna variopinta e stratificata: puoi trovarvi la donna col chador e l’indigeno anziano che rimembra ancora di quando i Grigi dell’Alessandria sconfissero per due a zero il Grande Torino (era il 1947). Ma per il piccolo inesausto salutatore non esistono differenze. Alla donna col chador e all’indigeno anziano affida lo stesso «ciao ciao» ecumenico, da non confondersi col «ciaociao» nevrotico che gli adulti sputano nei loro telefonini al termine di una conversazione.

M. contempla il mondo con gli occhi di suo figlio e pensa al giorno, ormai prossimo, in cui l’incanto finirà. Quando anche lui, come ogni altro abitante del pianeta, comincerà a nutrirsi di contrapposizioni rassicuranti: italiani e stranieri, belli e brutti, ripetenti e promossi, juventini e milanisti. Un piano inclinato, dove per affermare la propria debole individualità si corre sempre più in fretta verso la sottolineatura delle divergenze, fino a sentirsi diversi da tutti gli altri e al tempo stesso così anonimi. Secondo M., la società dovrebbe difendere con i denti la propensione dei bambini di due anni e mezzo a considerare le persone tutte uguali tra loro e tutte uguali a noi. Invece passiamo l’infanzia a dimenticare ciò che a due anni e mezzo sapevamo benissimo. E il resto della vita a cercare di ricordarcelo.

Massimo Gramellini (La Stampa)

16 Giu, 2013

Nojian, nata su un barcone

E’ nata su un barcone in legno di pochi metri, il primo pianto in mezzo al mare, nel pieno di una traversata dalla Turchia, solo un telo nero a nascondere il parto agli occhi degli altri 159 compagni di sventura. Ha solo due giorni ma la piccola Nojian – che significa “nuova vita” – sta bene, pesa più di due chili e ora di lei si occupano i pediatri e le ostetriche dell’ospedale di Locri.