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21 Dic, 2017

I 5 Stelle dopo Roma volgiono distruggere anche la Regione

La rubrica fake a 5 stelle va aggiornata con un nuovo capitolo, quello sui fondi europei. I pentastellati oggi si giocano una palla sbilenca, che riguarda normali accertamenti della Commissione Europea relativi, a quanto si apprenderebbe da un documento riservato, a otto progetti su ottomila, oltretutto della vecchia programmazione 2007-2013. Evidentemente, non contenti dello sfascio di Roma, i 5 stelle vorrebbero, con la loro conclamata incapacità che dimostrano quotidianamente, ridurre allo stesso modo la Regione Lazio, una delle poche amministrazioni che funziona. Noi non lo permetteremo.

26 Set, 2017

Ricollocamenti, il flop dell’Ue che rafforza i populisti

Carlo Lania, Il Manifesto

La coincidenza dei tempi non avrebbe potuto essere peggiore. Oggi scadono infatti i termini fissati due anni fa dalla Commissione europea per il programma di ricollocamento dei richiedenti asilo da Italia e Grecia e la data ha finito col sovrapporsi ai risultati delle elezioni in Germania che hanno visto una forte affermazione dell’estrema destra. Risultati che adesso non fanno sperare in niente di buono per quanto riguarda le politiche sull’immigrazione che Bruxelles potrebbe adottare a partire da domani. Ma andiamo con ordine.

Se non proprio annunciato, quello delle relocation era un fallimento abbastanza prevedibile visto l’atteggiamento riluttante, quando non proprio ostile, con cui gli Stati europei hanno dato seguito alla proposta fatta nel 2015 dal presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker di dividersi 160 mila profughi (soprattutto eritrei e iracheni) provenienti dai due Paesi che sopportano da sempre il peso della crisi dei migranti. In 24 mesi i rifugiati effettivamente trasferiti sono stati però appena 27.695, contro i 6.000 al mese ottimisticamente preventivati da Juncker. Di coloro che hanno trovato accoglienza, appena 8.451 provengono dall’Italia, contro i 34.953 posti disponibili. Altri 3.443 potrebbero aggiungersi nei prossimi giorni. Stando ai dati del Viminale sono infatti 1.256 le richieste di trasferimento già approvate, 992 quelle in attesa del via libera da parte dello Stato di accoglienza e 1.195 le domande istruite e per le quali deve essere ancora individuato un Paese destinatario.

Per correre ai ripari questa mattina a Bruxelles il commissario Ue all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos chiederà agli Stati membri una proroga del programma, proponendo di proseguire con i ricollocamenti fino a quando non sarà varata la riforma di Dublino. E qui l’amarezza per l’insuccesso del programma rischia di trasformarsi in beffa. Insieme all’Italia a spingere di più per cambiare il regolamento che assegna al Paese di primo ingresso la presa in carico del migrante sono stati finora Francia e Germania. La cancelliera Angela Merkel ha però sempre rinviato ogni discussione a dopo le elezioni tedesche. Ora che le urne hanno parlato, le sue prime dichiarazioni sembrano frenare ogni voglia di mettere mano a Dublino. «Dobbiamo capire le paure degli elettori dell’AfD e riconquistarli», ha spiegato dopo il voto.

Il successo del partito di estrema destra tedesco rafforza la posizione di quanti sono contrari all’accoglienza e frenano anche per riformare Dublino. A partire da Ungheria, Repubblica ceca, Polonia e Slovacchia, con i primi tre paesi già nel mirino della commissione Ue, ma anche l’Austria, chiamata anch’essa al voto tra meno di un mese. I sondaggi danno in testa Sebastian Kurz, 31enne ministro degli Esteri e leader dei popolari, uno che vorrebbe confinare i migranti a Lampedusa e non perde mai occasione per minacciare la chiusura del Brennero.

A questo punto la cosa più probabile è che prima di Dublino Bruxelles decida di ritoccare il Trattato di Schengen. A spingere in questa direzione sono Francia e germania ma anche Austria, Norvegia e Danimarca, tutti Paesi che in un documento comune presentato all’ultimo vertice dei ministri degli Interni Ue hanno già chiesto di semplificare le norme che autorizzano il ripristino dei controlli alle frontiere interne prolungandone la durata massina fino a due anni (e non più sei mesi rinnovabili per un massimo di tre volte come accade oggi).

Una richiesta giustificata per motivi di sicurezza legati l pericolo di possibili attacchi terroristici, ma dietro i quali si intuisce anche la volontà di un ulteriore giro di vite nei confronti dei migranti. Lo stesso Avramopoulos non esclude che si possa andare in questa direzione, al punto di aver già annunciato di voler presentare le modifiche entro la fine di settembre. Avramopoulos andrà però incontro anche a un’altra richiesta avanzata da berlino e Parigi, quella di accelerare sui rimpatri degli irregolari. «Dal momento che solo il 36% dei migranti che non ha diritto a restare in Ue viene rimpatriato – ha spiegato il commissario – è chiaro che tutti gli attori devono aumentare il proprio lavoro in modo significativo»

04 Mag, 2016

I muri nel cuore d’Europa e i fantasmi del Novecento

Nadia Urbinati, La Repubblica

L’Europa è nata sul diritto di movimento, E’ stata voluta da ex-nemici mortali che si impegnarono a garantire la libertà di movimento ai loro concittadini, per rendere i confini porosi e infine, con il Trattato di Shengen, aperti agli europei e, seppure con minore certezza, agli immigrati col permesso di soggiorno dei rispettivi Paesi.

10 Set, 2015

Marcia delle donne e degli uomini scalzi: saremo presenti

“Ci saremo, perchè quella di domani è una giornata di solidarietà, di rispetto, di accoglienza che nasce spontaneamente dalle coscienze e dalla sensibilità di ognuno di noi. Una risposta che ha il sapore della ribellione verso i governi che operano respingimenti inumani, che criminalizzano donne, uomini e bambini costretti alla fuga. Domani si griderà più forte di chi in questi mesi ha fomentato paura e allarmismi.

Noi ci saremo per unirci alla richiesta di politiche migratorie europee e globali in grado di affrontare il dramma di centinaia di migliaia di persone che fuggono dalla fame e dalla guerra. Un modo per dire che c’è una coscienza che viene da questa parte del mondo, che non abbiamo paura di accogliere e che siamo interessati al destino delle persone più che a quello dei confini nazionali.”

A dichiararlo in una nota Gino De Paolis e Marta Bonafoni, Capogruppo e Consigliera Sel alla Regione Lazio.

30 Lug, 2015

La nostra libertà comincia dai migranti

Migranti e confini. Le ferite d’Europa. Un po’ per volta l’Europa sta ritrovando le sue radici: confini inviolabili, egoismi e pregiudizi nazionali e razziali, l’eredità di un secolo e mezzo di colonialismo, le conseguenze di guerre dissennate a cavallo del terzo millennio, gli effetti del pensiero unico occidentale in forma di liberismo sfrenato.

Da Lam­pe­dusa non si entra. Da Calais non si esce. Da Ven­ti­mi­glia non si passa. Dalla Ser­bia a Buda­pest si viag­gia in vagoni piom­bati. A Ceuta e Melilla, enclave spa­gnole in terra d’Africa, come al con­fine fra Bul­ga­ria e Tur­chia o al con­fine fra Unghe­ria e Ser­bia, si alzano reti­co­lati e muri.

Un po’ per volta l’Europa sta ritro­vando le sue radici: con­fini invio­la­bili, egoi­smi e pre­giu­dizi nazio­nali e raz­ziali, l’eredità di un secolo e mezzo di colo­nia­li­smo, le con­se­guenze di guerre dis­sen­nate a cavallo del terzo mil­len­nio, gli effetti del pen­siero unico occi­den­tale in forma di libe­ri­smo sfre­nato. Il tun­nel di Calais è una vivida meta­fora di tutto que­sto: pen­sato per unire, è diven­tato una inva­li­ca­bile bar­riera divi­so­ria per chi non ha i soldi del biglietto – anzi, una bar­riera fra chi i soldi ce li ha e chi no.

Scri­vendo su un altro con­fine e un altro muro – quello fra Stati Uniti e Mes­sico, la scrit­trice chi­cana Glo­ria Anzal­dúa con­clude: il con­fine «es una herida abierta», è una ferita aperta, dove il Terzo Mondo si stro­fina con il Primo, e san­guina. Come il Rio Grande e il muro che lo costeg­gia, anche Lam­pe­dusa, Calais, Ven­ti­mi­glia sono ferite aperte, il san­gui­nante con­fine fra un Primo Mondo sem­pre più sel­vag­gio e un Terzo Mondo che non ce la fa più a sop­por­tare fame, guerra e dit­ta­ture come destini ine­lut­ta­bili e viene a chie­der­cene il conto. Adesso que­sti due mondi non si stro­fi­nano più sol­tanto ai con­fini fra loro, ma anche den­tro l’Europa stessa, e la insan­gui­nano tutta; ma il senso è sem­pre quello: l’insopportabilità di un mondo in cui ric­chezza e risorse si ripar­ti­scono in misura sem­pre più ingiu­sta e disu­guale. Un tempo, di que­ste ingiu­sti­zie si occu­pava la sini­stra. Oggi, ci rac­con­tano, sono finite le ideo­lo­gie; ma la lotta di classe con­ti­nua, in forme inso­lite e dram­ma­ti­che. Da un lato, quella guerra di classe dei ric­chi con­tro i poveri di cui ha scritto elo­quen­te­mente Luciano Gal­lino (e di cui la vicenda greca è una variante significativa).

Dall’altro, la più antica lotta dei poveri per avere anche loro quello che hanno i ric­chi: l’immigrazione di massa è infine (ed è sem­pre stata) pro­prio que­sto, l’arma estrema dei dan­nati della terra per un minimo di accesso ai beni della terra su cui viviamo tutti. A dif­fe­renza delle forme di lotta e dei con­flitti sociali del secolo scorso, que­sta lotta non è mossa dal pro­getto di abbat­tere un sistema, ma dall’ansia di con­di­vi­derlo; non dall’ostilità ma dal desi­de­rio, dal sogno, se non dall’amore idea­liz­zato. Solo che sic­come il sistema che vor­reb­bero con­di­vi­dere è in realtà retto da egoi­smo ed esclu­sioni, la richie­sta di con­di­vi­sione ne mette a nudo limiti e ipo­cri­sie, impone ine­vi­ta­bil­mente il cam­bia­mento e per que­sto l’Europa la per­ce­pi­sce come inva­sione e minac­cia e cerca in tutti i modi di fer­marla. Ma fer­mare un simile cam­bia­mento epo­cale è come pro­vare a fer­mare il mare con le mani.

E’ dif­fi­cile dire come pos­siamo noi svol­gere un ruolo in que­sta nuova lotta di classe . Il lavoro di tante forme di volon­ta­riato e di inter­vento di base è pre­zioso, aiuta, salva vite, crea rap­porti; ma le dimen­sioni del dramma sono almeno per ora supe­riori alle forze che può met­tere in campo da solo. Io credo che dob­biamo comun­que tutti accet­tare che le nostre vite non pos­sono con­ti­nuare uguali come se nulla fosse, magari con un po’ di tol­le­ranza e bene­vo­lenza in più. Né noi né i migranti ci pos­siamo sal­vare da soli: quelli che dicono “prima gli ita­liani” non hanno capito che entrambi abbiamo biso­gno delle stesse cose – casa, lavoro, salute, scuola, diritti, tutte cose che i migranti cer­cano e che noi stiamo un poco per volta per­dendo, e che pos­siamo forse sal­vare e recu­pe­rare insieme, per tutti.

Dob­biamo ritro­vare alla demo­cra­zia il suo signi­fi­cato pro­fondo, che non sta nella poli­tica e nelle isti­tu­zioni ma nelle anime: demo­cra­zia come soli­da­rietà, come capa­cità di rico­no­scere nell’umanità degli altri la nostra uma­nità stessa. C’è ancora qual­cuno che lavora su questo?

Diceva un testo sacro del pen­siero libe­rale: la mia libertà fini­sce dove comin­cia quella del mio vicino: che è pre­ci­sa­mente un invito a vedere il vicino, spe­cie si diverso e nuovo, come un limite alla pro­pria libertà, come un osta­colo e un poten­ziale nemico. Io credo che dovremmo rifor­mu­larlo: la nostra libertà comin­cia dove comin­cia la libertà del nostro vicino, i nostri diritti e quelli dei migranti sono per sem­pre inse­pa­ra­bili, la libertà di tutti noi fini­sce, e comin­cia, a Lam­pe­dusa, a Ven­ti­mi­glia e a Calais.

Alessandro Portelli, Il Manifesto