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27 Gen, 2014

Subito in Consiglio Regionale la mozione per la chiusura dei CIE

La notizia della nuova protesta partita nel Cie di Ponte Galeria, dove 13 persone provenienti da Lampedusa si sono cucite le labbra, mi addolora ma non mi sorprende. Gia’ sul finire dell’anno scorso avevamo avvertito di come la protesta sarebbe potuta riprendere da un momento all’altro, in assenza di novita’ per la condizione dei detenuti nel Cie.

Cosi’ e’ accaduto: a quanto apprendiamo infatti 7 dei ragazzi che si sono cuciti la bocca oggi sono gli stessi che hanno messo in scena la protesta che si e’ tenuta pochi giorni prima di Natale.
E’ una volta di piu’ grave che, per ottenere di nuovo attenzione, dei ragazzi rinchiusi all’interno di quella struttura debbano esternare una richiesta d’aiuto attraverso gesti clamorosi come il cucirsi le labbra e rifiutare il cibo. E dover tornare a farlo per chiederci di intervenire subito.

Nel mio sopralluogo di dicembre scorso ho constatato che in quel luogo le condizioni di vita sono inumane e ho subito presentato una mozione, sottoscritta dalla maggioranza tutta. Nel documento si chiede al Governo la radicale modifica delle norme su l’immigrazione con il definitivo superamento della legge Bossi-Fini, e per quanto riguarda “La Lampedusa della Regione Lazio” di operare un monitoraggio per garantire ai migranti trattenuti condizioni di dignità, di rispetto del diritto alla difesa legale e alla salute ma anche l’impiego di risorse per evitare ulteriori motivi di sofferenza.

Inoltre, si chiede formalmente al Governo, visti i costi esosi e l’inadeguatezza dell’edificio che ospita il Cie, la chiusura del centro di Ponte Galeria. Il Parlamento ora deve provvedere con urgenza ad approvare le norme necessarie affinchè si possa mettere la parola fine a situazioni drammatiche che fanno notizia ma poi restano tali. La politica non può più permettersi lentezze e negligenza di fronte alla vita e alla dignita’ delle persone, di tutte le persone.

Per questo mi auguro che la mozione che ho presentato possa essere discussa e approvata quanto prima dal Consiglio regionale del Lazio.

23 Gen, 2014

Mai più CIE. Assemblea Pubblica

Mercoledì 5 febbraio, ore 17.00
Nuovo Cinema Palazzo
Piazza dei Sannitit – Roma

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Mai più CIE

In vista dell’appuntamento di sabato 15 febbario – che chiederà a gran voce la chiusura del CIE di Ponte Galeria e di tutti gli altri Centri, dove migliaia di persone vengono detenute senza aver commesso alcun reato e dove i diritti fondamentali vengono quotidianamente calpestati – mercoledì 5 febbraio alle 17:00 ospiteremo un’assemblea pubblica per costruire insieme la manifestazione.
Di seguito l’appello delle Reti Antirazziste e dei Movimenti per il diritto all’abitare.

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Mai più CIE – Diritti e accoglienza per tutti
Sabato 15 febbraio 2014 corteo al Centro d’Identificazione ed Espulsione di Roma-Ponte Galeria

Dopo le mobilitazioni dell’autunno per casa e reddito, la Roma Meticcia è tornata in piazza il 18 dicembre. Un corteo numeroso e determinato ha attraversato le strade della capitale nella “giornata internazionale dei migranti” per chiedere una legge organica che garantisca il diritto d’asilo, la chiusura dei CIE, un’accoglienza dignitosa contro il business delle cooperative a partire dal diritto all’abitare e l’abrogazione di tutti i provvedimenti legislativi in materia di immigrazione che minano la libertà e il diritto di scelta delle persone a muoversi e risiedere dove meglio credono. La mobilità transnazionale dei migranti sfida infatti le politiche neoliberali di austerity e confinamento, ponendo il tema della costruzione di un nuovo modello sociale, di una diversa modalità di vita in comune, che forza gli angusti confini degli stati nazionali ed al tempo stesso le retoriche bipartisan dell’accoglienza e del multiculturalismo.

Mentre da piazza del Popolo qualche “forcone” rivendicava una “soluzione italiana” alla crisi, noi affermavamo con determinazione che “le lotte contro l’austerità non hanno frontiere”. Pochi giorni dopo in diversi nodi decisivi del sistema di governo dei flussi migratori esplodevano proteste auto-organizzate. A Mineo, nel CARA più grande d’Italia, i richiedenti asilo riprendevano la mobilitazione contro le condizioni di vita indegne e i tempi di attesa infiniti. A Lampedusa, i migranti intrappolati sull’isola e trattati come animali nel Centro di Prima Accoglienza chiedevano dignità e il trasferimento immediato. A Ponte Galeria, numerosi reclusi si cucivano la bocca e iniziavano uno sciopero della fame contro una detenzione ingiusta e illegittima e per la liberazione di tutti i migranti imprigionati nei Centri di Identificazione ed Espulsione.

Anche nel dibattito politico le questioni connesse con le migrazioni e con il carattere meticcio della nostra società sono all’ordine del giorno dall’inizio dell’autunno appena trascorso. Da una parte, la Lega Nord e le formazioni neofasciste continuano a usare il colore della pelle di un ministro per promuovere una campagna razzista e dare visibilità alle posizioni anti-immigrati. Dall’altra, dopo ogni nuova strage in mare o “scandalo” sulla gestione dei CIE, i partiti di governo si lanciano in false dichiarazioni d’intenti, senza avere in realtà intenzione di modificare le politiche di controllo dell’immigrazione, se non in senso peggiorativo o per operazioni di facciata. La questione del reato di clandestinità e l’emendamento ipocrita appena approvato al Senato sulla materia ne sono l’ultima dimostrazione.

In questo contesto, crediamo necessario mobilitarci per rivendicare dal basso una radicale trasformazione delle leggi che governano la vita di migliaia di cittadini migranti. In continuità con le proteste degli ultimi mesi dentro e fuori i CIE, chiediamo l’immediata chiusura di questi lager, dove migliaia di persone vengono detenute senza aver commesso alcun reato, dove i diritti fondamentali vengono calpestati quotidianamente. I CIE costituiscono uno degli ingranaggi del sistema di governo dei flussi migratori, che rende la popolazione migrante illegale e ricattabile, ai fini dello sfruttamento nel/del lavoro e nella/della vita e della collocazione in un ruolo subalterno nella società. I CIE hanno un costo umano e un costo economico – di soldi pubblici – che non abbiamo più intenzione di pagare.

Al momento, oltre la metà dei CIE italiani sono stati chiusi grazie alle rivolte e alle proteste che li hanno interessati. È arrivato il momento di chiudere anche Ponte Galeria! Proprio oggi i cittadini migranti detenuti in quel luogo si sono cuciti nuovamente la bocca, ricominciando lo sciopero della fame: perché le promesse fatte dai rappresentanti delle istituzioni dopo la protesta di dicembre non sono state mantenute, perché i CIE non si possono riformare ma vanno chiusi per sempre. Vogliamo sostenere questa mobilitazione, aprendo una campagna condivisa e includente per mettere fine all’orrore di Ponte Galeria. Vogliamo farlo con i migranti auto-organizzati delle occupazioni, i movimenti per il diritto all’abitare, le reti e le associazioni anti-razziste, le comunità straniere e tutti coloro che credono che non debba esserci alcuno spazio per i CIE e per le leggi discriminatorie.

Vogliamo avviare questa campagna nel mese di febbraio, anche verso un 1 marzo di mobilitazione meticcia che non lasceremo alle passerelle dei politici, recuperandone il significato originario della partecipazione e della pratica dei diritti messa in atto dai migranti.

Invitiamo tutti e tutte a partecipare a un’assemblea pubblica mercoledì 5 febbraio alle ore 17.00 al Nuovo Cinema Palazzo, per discutere insieme della campagna che ci porterà il 15 febbraio in corteo a Ponte Galeria per dire “mai più CIE” e “diritti e accoglienza x tutti”.

Reti antirazziste
Movimenti per il diritto all’abitare

#NOcie #FacciamoliUscire #RomaMeticcia

Mercoledì 5 febbraio h. 17:00
Assemblea pubblica
Nuovo Cinema Palazzo

Sabato 15 febbraio h.15:00
CORTEO AL CENTRO D’IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE DI ROMA
#MAIPIUCIE chiudiamo Ponte Galeria

27 Dic, 2013

Lettera di Natale dal Cie di Ponte Galeria

Quando arrivo a Ponte Galeria alle 5 del pomeriggio del giorno di Natale la conta della protesta è così aggiornata: nel reparto maschile ci sono ancora 4 ragazzi con le bocche cucite, in 16 hanno passato l’ultima notte fuori coi materassi e le coperte e un freddo micidiale, in 24 ancora rifiutano il cibo (cioè saltano colazione, pranzo e cena).

L’eco dello svuotamento del centro di Lampedusa e’ ancora fortissima nonché viziata da un fraintendimento: se hanno liberato loro perché non anche noi? Se lo chiedevano gli “ospiti” del centro romano e così erano pronti anche ad arrampicarsi sui tetti per ottenere lo stesso risultato… Salvo poi accettare la spiegazione: sono stati trasferiti, non liberati.

La libertà non abita le leggi italiane sull’immigrazione.

Al Cie si vede che è Natale perché c’è meno gente, meno personale ad accoglierti all’ingresso.
L’attesa ai cancelli, i primi di una lunghissima serie che fanno di quel posto un luogo di indiscutibile detenzione, dura un po’ più dell’altra volta. Ma sono sempre tutti gentilissimi, disponibili a ogni domanda.

In infermeria un ragazzo straniero si sta facendo visitare dietro il paravento: nessun problema grave e non è uno delle bocche cucite. È proprio davanti alla sala del medico che compare don Emanuele.
“Viene qui spesso?” “Non quanto vorrei, ma tutte le volte che posso. Teniamola viva questa cosa”, mi dice quel prete dallo sguardo mite e chiaro, “questo è un posto assurdo”, aggiunge.

Gli fa eco il più giovane e gentile dei ragazzi di Auxilium che già domenica scorsa mi ha accompagnata in giro per il centro, dice “è così… Anch’io quando mi chiedono che lavoro faccio alla fine rispondo il secondino, vado in giro tutto il giorno con tutte queste chiavi, apro e chiudo cancelli”.

Don Emanuele ha appena finito di celebrare una funzione religiosa nella cappella del reparto maschile del Cie: non proprio una Messa, un momento di parola e di ascolto che ha visto insieme cristiani e musulmani. Li ho trovati stanchi ma sereni mi dice e aggiunge: innocenti. Non per la legge che li ha richiusi la’ penso io.
Don Emanuele ha anche chiesto loro di allentare la tortura che si stanno infliggendo: la vostra protesta sta avendo riscontri perché è pacifica, spiega, ma scucitevi le bocche, fatelo oggi che è Natale.

E ce la fa don Emanuele a smuoverli. Arriva uno dei mediatori del Cie a dircelo, è trafelato, quasi gioioso: hanno smesso, si sono scuciti, per rispetto della vostra religione mi spiegano poi gli stessi migranti. Ma è una sospensione, non un’interruzione, pronti a ricominciare se non arriveranno risposte vere dal governo (presumibilmente, massimo due mesi di permanenza nei Cie con valore retroattivo).

La notizia ci mette di buonumore tutti.
Don Emanuele chiede della carta e una penna: vuole andare a scrivere, con i ragazzi.

Lo raggiungiamo nella sala mensa del reparto maschile: tavoli chiari come quelli delle mense degli uffici, tutti gli ospiti del centro hanno gli occhi stravolti dalla stanchezza, un paio dormono accasciati sul tavolo.
Don Emanuele scrive sotto dettato, una lettera a Papa Francesco.

Qualcuno gli detta i suoi pensieri direttamente in italiano, più spesso c’è bisogno dell’aiuto del mediatore, in fondo alla sala il piccolo rinfresco di Natale preparato dal personale del Cie ( spumante, coca cola, panettone) può aspettare.

Oggi all’Angelus Bergoglio ha parlato dei migranti di Lampedusa, dal Cie di Ponte Galeria hanno parole per lui.

“Santo Padre”, comincia la lettera.
E poi giù un collage di pensieri e richieste che messe una dopo l’altra fanno una lettera spietata, per noi, per colpa delle nostre leggi.

Tu che hai scelto il nome del Santo dei poveri, tu che ti sei voluto chiamare Francesco, noi siamo i nuovi poveri.
Alla legge non chiediamo altro che tempi umani, non vogliamo buttare la nostra vita.
Ci siamo scuciti la bocca ma è solo una pausa, per rispetto della vostra religione, siamo pronti a cucirci di nuovo, anche le palpebre (qui don Emanuele fa fatica a scrivere alla lettera ciò che vogliono i migranti).
La nostra sofferenza è arrivata all’osso, non siamo carne da macello.
Siamo venuti in Italia col miraggio di una vita migliore, finora abbiamo visto solo sbarre.
Per me i Cie sono delle piccole Auschwitz.
Alcuni di noi hanno sbagliato ma tutti hanno diritto a una seconda possibilità.

La morte l’abbiamo già vista nel nostro Paese, la morte l’abbiamo già vista in mare, possiamo anche continuare lo sciopero della fame. Fino alla morte.

In effetti, al Cie di Ponte Galeria in 24 anche stasera, e ormai da cinque giorni, hanno rifiutato la cena.

23 Dic, 2013

“Trattati come animali, era meglio il carcere”

“Come gli animali: in gabbia”. Ahmed lo ripete due, tre volte per spiegare cosa significa vivere dentro un Cie. Lui a Ponte Galeria c’è arrivato tre mesi fa, spedito qui dal carcere di Lanciano dove ha scontato 4 anni per droga. In questi giorni di tensioni e proteste si è fatto portavoce della situazione all’interno del centro: sabato in otto hanno deciso di cucirsi la bocca con ago e filo improvvisati.
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23 Dic, 2013

Mozione Cie Ponte Galeria

Misure per il rispetto dei diritti e la tutela della dignità umana all’interno del Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria

Premesso che

– che i Centri di identificazione ed espulsione (CIE), istituiti dalla legge 6 marzo 1998, n. 40, e previsti dal Testo Unico sull’immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), all’epoca con il nome di Cpt, sono strutture di trattenimento degli stranieri in condizione di irregolarità, destinati all’espulsione;

– che l’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, così come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, c.d. legge “Bossi-Fini”, prevede che “quando non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento”, “il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso” il CIE e che quindi tali strutture siano destinate al trattenimento, convalidato dal Giudice di Pace, dei cittadini stranieri extracomunitari irregolari e destinati all’espulsione,

– che la Direttiva Europea 115/2008 definisce le modalità di trattenimento dei migranti irregolarmente presenti negli Stati membri, considerando la privazione della libertà personale soltanto come estrema ratio nella serie di misure che possono portare ai rimpatri;

– che dall’8 agosto 2009, con l’entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94 (c.d. Pacchetto Sicurezza), il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri è passato da 60 giorni a 180 giorni complessivi, rafforzando così la loro natura di luoghi di permanenza obbligatoria, caratterizzandosi come luoghi di detenzione amministrativa delle migranti e dei migranti;

– che secondo i dati forniti dalla Polizia di Stato, nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i CIE operativi in Italia. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) del 50,54 per cento. Rispetto al 2010, il rapporto tra i migranti rimpatriati rispetto al totale dei trattenuti nei CIE è incrementato di appena il 2,3%, mentre rispetto al 2011, l’incremento del tasso di efficacia nei rimpatri è risultato peri allo 0,3%;

– che la L.R. 14 Luglio 2008, n. 10 del Lazio, “Disposizioni per la promozione e la tutela dell’esercizio dei diritti civili e sociali e la piena uguaglianza dei cittadini stranieri immigrati”, interviene con estrema puntualità nel definire politiche regionali atte ad intervenire nelle condizioni di vita, di salute e di rispetto dignità negli allora CPT.

Considerato

– che il citato articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, al comma 2, dispone che in tali centri lo straniero è trattenuto “con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità”;

– che l’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 specifica che le modalità del trattamento nei CIE “devono garantire, nel rispetto del regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all’interno del centro e con visitatore proveniente dall’esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona” e che in tali centri devono essere presenti “i servizi sanitari essenziali, gli interventi di socializzazione e la libertà di culto” e i “servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale”;

– che all’interno dei CIE si sono verificati gravi violazioni dei diritti umani, come denunciato sia da inchieste ed articoli di stampa, sia dalle associazioni di volontariato e dalle associazioni per la tutela dei diritti umani tra le quali Amnesty International e Medici senza Frontiere, e fin dall’indagine interministeriale presentata dall’Ambasciatore Staffan de Mistura nel 2007;

– che in particolare, come risulta dall’indagine “Arcipelago CIE” realizzata tra febbraio 2012 e febbraio 2013 da Medici per i diritti umani (MEDU) e pubblicata a maggio 2013, la struttura dei CIE è simile a quella dei centri di internamento: «L’inattività forzosa per prolungati periodi di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all’incertezza sulla durata e l’esito del trattenimento, rendono il disagio psichico dei migranti uno degli aspetti più preoccupanti e di più difficile gestione all’interno dei centri»;

– che in particolare, ha destato preoccupazione la presenza nei CIE di un elevato numero di ex detenuti, che dopo aver scontato pene anche di diversi anni, vengono trattenuti per ulteriori lunghi periodi di tempo all’interno dei CIE, nonostante una direttiva interministeriale del 30 luglio 2007, degli allora Ministri Amato e Mastella, stabilisse che, in linea con le indicazioni dell’allora “Rapporto de Mistura”, l’identificazione per i detenuti dovesse avvenire in carcere, e non più negli allora CPT, da considerarsi come luoghi destinati più utilmente al riconoscimento di altri soggetti. Riconoscimento che, comunque, si presenta problematico e che causa un considerevole impiego di forze dell’ordine, sia per gli impegnativi compiti di sorveglianza che per quelli di accompagnamento presso i tribunali competenti;

– che tutte le criticità rilevate nel corso delle visite da parte di delegazioni di parlamentari, sono fortemente aggravate dall’allungamento del termine massimo di permanenza all’interno dei CIE che, senza riuscire a facilitare il problema dell’identificazione e dei rimpatri, ha finito per creare una sorta di limbo giuridico, caratterizzato dalla negazione di diritti – anche fondamentali – nel quale i trattenuti possono permanere fino a 18 mesi e al quale occorre urgentemente porre rimedio.

Rilevato

– che le soluzioni prospettate nel progetto di revisione del “sistema Cie”, presentato dalla Commissione de Mistura nel 2007,  muovono dal presupposto della necessità dei CIE e prevedono numerose novità sia dal punto di vista amministrativo che del funzionamento vero e proprio;

– che in tal senso, nel c.d. Rapporto Ruperto, redatto nell’anno 2013 su incarico del ministro Cancellieri, al fine di analizzare la situazione in cui versano i Centri di Identificazione ed Espulsione italiani, si coglie una sorta di ulteriore discostamento delle prassi e delle normative sul trattenimento amministrativo in Italia, rispetto alla Direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio, nota come “direttiva rimpatri”;

– che numerosi passi del rapporto offrono soluzioni alla questione dei migranti non condivisibili;

– che, ad esempio, nel Rapporto si prevede che molti migranti senza documenti potranno essere rimpatriati con maggiore velocità utilizzando non i CIE, ma i CPSA (Centri di primo soccorso e accoglienza), che, con procedimenti spesso informali, comportano il rischio del ricorso alle espulsioni cc.dd. collettive –  la cui pratica è da ritenersi illegittima secondo l’articolo 4 del Protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo – in violazione gli stessi accordi di Schengen;

– che un altro aspetto su cui il Rapporto si sofferma è la necessità di prevenire e contenere gli atti di ribellione, isolando in appositi spazi i rivoltosi e addirittura i “potenziali” rivoltosi, prevedendo celle speciali in carceri speciali;

– che a riguardo, la sentenza n. 1410 del 12 dicembre 2012 del Tribunale di Crotone, ha stabilito che i protagonisti della rivolta nel CIE di Crotone non sono colpevoli di danneggiamento e offesa a pubblico ufficiale in quanto agirono per “legittima difesa” e la reazione degli stranieri alle “offese ingiuste” è da considerarsi proporzionata. Il giudice ha infatti scritto che, nel caso dei CIE, si tratta di “strutture – nel loro complesso – al limite della decenza, intendendo tale ultimo termine nella sua precisa etimologia, ossia di conveniente alla loro destinazione: che è quella di accogliere essere umani. E, si badi, esseri umani in quanto tali, e non in quanto stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale; per cui lo standard qualitativo delle condizioni di alloggio non deve essere rapportato al cittadino straniero irregolare medio (magari abituato a condizioni abitative precarie), ma al cittadino medio, senza distinzione di condizione o di nazionalità o di razza”.

Rilevato inoltre

– che il caso di Alma Shalabayeva ha mostrato come, secondo quanto dichiarato dal Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato Luigi Manconi, in un articolo pubblicato su l’Unità del 17 luglio 2013, “la politica dei respingimenti venga praticata con brutale efficienza nei confronti di migliaia di anonimi immigrati e richiedenti asilo” e come, dunque, tale caso istituzionale “potrebbe rappresentare l’occasione per ripensare a fondo la materia e per interrogarsi, in particolare, sulla legittimità di queste forme di rimpatrio: quante espulsioni espongono lo straniero al rischio di trattamenti illegali e crudeli?”;

– che dal 21 dicembre scorso, le forme di protesta che da sempre caratterizzano la vita nel CIE di Ponte Galeria, hanno assunto una forma più cruenta e di rilevanza nazionale, portando alcuni trattenuti a cucirsi le labbra per tentare di rompere il silenzio che caratterizza le loro condizioni e le assurde ragioni del loro trattenimento.

Tanto premesso e rilevato, consapevoli che tale questione è materia dell’esecutivo e del Parlamento, ma tenendo conto del ruolo significativo che nelle relazioni istituzionali riveste la Conferenza Stato – Regioni, e del potere di indirizzo che le Regioni hanno in seno a detta Conferenza, il Consiglio regionale

Impegna il Presidente della Regione Lazio e la Giunta:

– ad intervenire per un opera di monitoraggio e trasparenza continuo e assiduo presso il CIE di Ponte Galeria, affinché vengano garantite per i cittadini migranti trattenuti, condizioni di dignità, di rispetto del diritto alla difesa, di condizioni di salute decenti e di impiego di risorse atte ad evitare ulteriori motivi di sofferenza ai cittadini migranti;

– ad operare, in collaborazione con le autorità competenti, affinché ogni accadimento che si verifica nel CIE possa essere subitamente reso noto, verificato, anche con l’ausilio di soggetti terzi, a puro carattere volontario, che operano in difesa dei diritti dei migranti;

– a svolgere un approfondito mandato ispettivo per verificare le ragioni delle recenti e continue situazioni di tensione che mettono a rischio l’incolumità dei soggetti interessati;

– ad esprimere formalmente al governo nella sua interezza, al Ministro dell’Interno, ai ministri competenti, il proprio giudizio fortemente critico nei confronti della struttura ospitata all’interno del territorio regionale, evidenziandone i costi esosi, l’inutilità strutturale nell’economia dei processi migratori, l’irriformabilità connessa tanto alle norme legislative che ne determinano l’esistenza quanto alla inadeguatezza dello stesso edificio che lo ospita, fino a chiederne la chiusura;

– ad esprimere al Governo la necessità di una radicale modifica delle norme che concernono l’immigrazione.

22 Dic, 2013

Cie di Ponte Galeria: situazione disumana, intervenga subito il Governo

Questa mattina sono stata in visita al Cie di Ponte Galeria, dove ieri nove ragazzi si sono cuciti la bocca per protestare contro lo stato detentivo in cui si trovano senza aver commesso alcun reato. Ho parlato con alcuni di loro e mi hanno chiesto un’unica cosa: di poter uscire, di tornare ad essere liberi.

In particolare, mi sono trattenuta con Kerim, 26 anni, arrivato dalla Libia dopo aver pagato 4000 euro quel viaggio della speranza che ormai abbiamo imparato a conoscere anche troppo bene. Anche Kerim, un mese fa, è sbarcato a Lampedusa. Ha iniziato a lavorare, poi, per effetto di una delle peggiori leggi di questo Paese, la Bossi-Fini, si è ritrovato rinchiuso dentro la “nostra Lampedusa”, a Ponte Galeria.

Lo stato detentivo dei reclusi nel Cie, la condizione di totale isolamento e la negazione dei diritti umani, è palese: per raggiungere le gabbie attraverso le quali sono riuscita a parlare con i ragazzi, ho dovuto oltrepassare diverse porte chiuse come i cancelli delle carceri, gli stessi detenuti possono sì muoversi dentro le diverse aree del Centro ma lo fanno sempre all’interno di altissime recinzioni invalicabili.

Da ieri, oltre ai nove ragazzi con le bocche cucite, tutti i reclusi nordafricani, dei 61 trattenuti nell’area riservata agli uomini nel Cie, sono anche in sciopero della fame e alcuni di loro stanno anche saltando le terapie mediche. A detta dello stesso direttore del Centro, Vincenzo Lutrelli, la situazione stavolta è seria, i giovani immigrati  sembrano intenzionati ad andare avanti fino a che non otterranno risposte.

Per questo, ribadendo la necessità di un’immediata cancellazione della legge Bossi-Fini, chiedo nel frattempo un intervento immediato del governo sull’emergenza Ponte Galeria, per porre fine a una situazione disumana. Come consigliera regionale presenterò a breve una mozione che impegni in questo senso la giunta regionale e garantisca un impegno per il monitoraggio e la trasparenza di tutto ciò che accade all’interno del Cie.

22 Dic, 2013

Cie, dove la “clemenza necessaria” non arriva

Cucirsi la bocca a volte può fare meno male che sentire il proprio grido afono, silenziato dal muro invalicabile e intangibile che avvolge i Cie. Nemmeno in carcere quello – “regolamentare” – è facile assistere a una protesta come quella adottata ieri da almeno cinque detenuti immigrati reclusi nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, a Roma.
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16 Dic, 2013

“Liberi o meglio morire”. I senza speranza del Cara

Qualcuno prende il microfono e spiega: “Se parliamo, se ci lamentiamo, se la prendono con noi: non ci picchiano, questo no. Però se qualcuno di noi ha il colloquio per il permesso la settimana successiva, questo viene rimandato di mesi”. Ecco perché alcuni rispondono di no alle domande, non vogliono essere fotografati, forse. Più in là dalla folla, di fronte al cancello presidiato dai militari italiani, si ferma un pullman, da lì scendono altre persone e mano a mano scaricano grandi quantità di cibo: semola, patate, uova, verdura: “Immaginate voi di mangiare ogni giorno per un anno: riso e maccheroni, maccheroni e riso”, spiega Ahziz.
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12 Dic, 2013

Poveri Cie, due giorni senza capire e farsi capire

Un assenza, quella del mediatore, che ha reso impossibile alla signora comprendere le informazioni di base: orari e regole; quali erano i propri diritti; a quali servizi poteva avere accesso; persino dove era capitata e come poter uscirne. E invece a causa dell’assenza di un mediatore che parlasse la sua lingua è stata due giorni, dal trattenimento all’udienza con il giudice di pace, senza poter parlare con qualcuno.
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01 Lug, 2013

“Io, espulso dall’Itala dopo 30 anni, ma ormai non so più l’arabo”

“Senato’, m’hanno detto che mi riportano nel mio paese. Benissimo, allora fateme uscire da qui. Perché io sto già nel mio paese”. Fuori diluvia, eppure è estate. Ma il cortocircuito di Cherif, l’italiano clandestino, è un ossimoro ancora più efficace. Cherif ha poco più di cinquant’anni. Da trenta vive in Italia.

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