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Da ore non mi tolgo dalla testa questa foto.
Di #AntonioMegalizzi si è detto – a ragione – del sorriso, dell’entusiasmo e della passione.

Io invece non riesco a togliermi dagli occhi queste cuffie.

Credo sia memoria e immedesimazione insieme. Una roba che non mi fa uscire parole troppo lucide.
Anche io ho cominciato con una radio universitaria, ormai più di venti anni fa. Avevo 18 anni. Anche per me quelle cuffie hanno rappresentato il primo vero contatto col mondo, con le mie aspirazioni, con la Politica. Poi sono passata a insegnarla agli altri la radio, e quelle cuffie le ho fatte indossare a ragazzi e ragazze di ogni età, anche l’età di Antonio. Il magnifico ultimo miglio prima dei trenta.

Oggi dovremmo inondare i social della sua voce, altroché. In questi giorni l’ho ascoltato: il timbro limpido, il ritmo perfetto, la determinazione. Era un bravo radiofonico Antonio, e parlava non solo di Europa ma anche di come sommergere di dignità e professionalità il mestiere di giornalista, troppo spesso precario e sottopagato.

Se le interviste di Antonio e delle sue migliaia di colleghi e colleghe al mondo avessero avuto lo spazio che meritavano, forse oggi non staremmo qui a parlare di muri e sovranismo, ma di curiosità, giustizia e fratellanza. Di un’Europa unita.
Invece le voci come quelle di Antonio nell’Europa dei grandi e dei contabili noi non le sentiamo mai. E ce ne accorgiamo ora che ci resta il suo silenzio.

Ma una cosa voglio dire, chi conosce la radio lo sa: i silenzi quando arrivano in onda non sono per forza dei “vuoti”, possono essere dei “pieni” più pesanti di mille parole. Quando irrompono nell’aria all’apice della notizia i silenzi possono urlare. E quando poi lasciano di nuovo lo spazio alla voce, la ritrovano più forte, efficace e potente.

Ecco, dopo questo terribile silenzio, credo che noi dobbiamo impegnarci ad essere la voce che riparte. Anche la sua: la bella voce del giornalista radiofonico Antonio Megalizzi.

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